di Marco Benedettelli – 12 giugno 2024

Corridoi umanitari: una scelta di umanità

 Una soluzione di certo complessa, piena di paletti, freni burocratici e politici, ma a oggi il corridoio umanitario è l'unico strumento per accogliere in sicurezza i profughi. Ne parliamo con Donatella Linguiti di Amad, da anni in prima linea nell'ideare e realizzare questi tortuosi percorsi internazionali

Un piccolo gruppo di volontarie in meno di due anni è riuscito ad attivare ben 194 corridoi umanitari, portando in Italia, in condizioni di sicurezza e legalità, ad ogni missione famiglie intere con bambini, oltre che individui singoli. E dopo l’atterraggio, la stessa associazione, in rete con altre realtà, ha curato il loro inserimento, si è organizzata per sistemarle in accoglienza familiare, casa per casa, e poi ha accompagnato i profughi nelle le più svariate pratiche legali di richiesta di protezione e supporto sanitario e ha dato il via a progetti sociali per la loro inclusione.

Un lavoro incredibile, tenace, imponente. Questa realtà, un’aps, si chiama Amad – Associazione Multietnica Antirazzista Donne e opera ad Ancona, la sua sede è incuneata nel quartiere a maggior percentuale migratoria della città. A ripercorrere per Vdossier il lavoro degli ultimi due anni, che ha salvato dalla persecuzione dei Talebani tante persone, è la presidente di Amad, Donatella Linguiti, da sempre attiva nel mondo del sociale, docente e già Sottosegretaria alle pari opportunità durante il secondo Governo Prodi.

La vicenda dei corridoi umanitari guidati da Amad inizia nel 2021 ed è andata avanti pienamente fino al cambio di esecutivo, entrato in carica a fine ottobre del 2022. Gli ultimi arrivi già organizzati sono di fine 2023. “Poi questa modalità di intervento si è arenata. Non c’è stata più la volontà di portarla avanti. Ora abbiamo sei persone afghane ferme in Iran, che avevano ricevuto il nullaosta d’ingresso dal precedente Governo ma che al momento non si vedono rilasciare il visto dall’Ambasciata italiana. Sono le uniche che ci sono rimaste bloccate, sui 200 casi seguiti, ognuno composto anche da nuclei familiari – spiega Linguiti – Ma la speranza di finalizzare il loro viaggio in noi è sempre vigile”. 

Era l’agosto del 2021 quando tutto si è messo in moto. Dall’Afghanistan arrivavano notizie drammatiche, il Paese stava tornando in mano ai Talebani dopo il ritiro delle truppe Usa e per decine e decine di migliaia di cittadini che a quel regime si erano opposti, in tante forme, era il terrore. “Ci sono iniziate ad arrivare tantissime richieste di aiuto, donne e uomini, soprattutto della zona di Herat dove c’era il contingente italiano. Come Amad eravamo già in relazione con l’Afghanistan attraverso numerose persone che collaboravano con la nostra organizzazione”.  

In quel clima ferragostano, l’aps si mette in contatto con l’associazione Un Ponte Per, già ben radicata in Medio Oriente e Asia Centrale. E quindi si confronta con la Fondazione Pangea, forte nelle relazioni col Ministero degli Esteri.  Costatati obiettivi e idealità d’intenti, parte subito un’azione di rete. “Grazie al lavoro si squadra, siamo riusciti da attivare dei corridoi umanitari in una modalità senza costi per lo Stato – ricorda Linguiti – I primi casi sono stati quelli di parenti degli afghani che già conoscevamo in Italia”.

L’organizzazione delle operazioni è stata a dir poco complessa, si trattava di verificare le domande di chi chiedeva accoglienza, controllare il profilo delle singole persone, adempiendo i doppi requisiti di sicurezza della Farnesina e del Viminale. Erano donne e uomini che già avevano rapporti col nostro Governo, lavorando a Kabul per istituzioni e agenzie Italiane, individui o famiglie nella possibilità di attrezzarsi per la richiesta di visto e pagarsi il biglietto aereo a proprie spese.

Ma poi Amad si è subito impegnata anche per situazioni a rischio, specifiche. “Ogni corridoio è stata una storia a sé, costruita persona per persona, famiglia per famiglia, a seconda delle infinite sfaccettature ed esigenze. Per dei casi più critici, per esempio, abbiamo organizzato raccolte fondi ad hoc, destinate al finanziamento del viaggio”, continua Donatella Linguiti. Gli Afghani partivano prevalentemente da Teheran e quindi decisivo è stato il coinvolgimento di tanti iraniani che hanno collaborato nell’accogliere i profughi usciti oltre frontiera, supportandoli anche nel periodo della richiesta di visto, fino al volo. La situazione per gli Afghani in Iran è comunque estremamente difficile e si è trattato per molti di un’attesa logorante, non priva di risvolti amari e tragici. “Un ragazzo che era aspettava il visto per un nostro corridoio a un certo punto non ha più voluto aspettare e ha deciso di partire a piedi. Abbiamo poi scoperto che ha perso la vita nel naufragio di Cutro”, racconta Donatella.

Per ogni arrivo, anche il lavoro di mediazione culturale in Italia è stato imponente. Staffette di attiviste si sono occupate di andare a prendere chi, magari disorientato, senza conoscere il nostro Paese e la nostra lingua, atterrava nella nuova realtà. Famiglie e persone sono state sistemate in accoglienza familiare, nelle Marche come in tutta la penisola, grazie alla sensibilità di tanti italiani o nelle case di connazionali afghani già trasferiti. Anche qui la solidarietà ha trovato le sue strade attraverso la rete, con le soluzioni abitative individuate assieme a Un Ponte Per e con il supporto del Cnca, il Coordinamento Nazionale Comunità di Accoglienza.

La gamma di storie conosciute, affrontate, di soluzioni trovate, di combinazioni e ricerche, è inesauribili. Diciotto persone per esempio sono state accolte in tre case protette nella provincia di Ancona, grazie ai fondi di Pangea. “C’è stato tutto il lavoro con le prefetture e le questure per le richieste dei permessi di accoglienza umanitaria e con le Asl per le pratiche sanitarie,– ricorda l’ex Sottosegretaria – C’era chi arrivava denutrito e malato, chi aveva bisogno di cure odontoiatriche o di interventi d’appendicite e sono state quindi attivate le opportune procedure per i migranti privi di permessi di soggiorno”.

Amad si è mossa anche rispetto alle attività d’integrazione, da costruire nel tempo. Oltre alla gestione dello sportello dove chiedere possibili soluzioni ai vari problemi, sono stati subito organizzati corsi di lingua intensivi, a piccoli gruppi per insegnare il più velocemente possibile. Si è dato il via a laboratori sociali, di sartoria per esempio, o quello ancora attivo di teatro dove afghane e afghani metto tutt’ora in scena la loro storia, “uno strumento essenziale per rielaborale il proprio lutto”, riflette Donatella Linguiti. Questa serie di azioni si è integrata, in una logica interstiziale, con le altre che l’associazione guida anche al di là dell’emergenza afghana: di sportello per donne vittima di violenza, di orientamento al lavoro, di sostengo all’eco femminismo, di aiuto alle fragilità.

“La nostra associazione è un osservatorio che ci permette di intercettare e mettere a fuoco i problemi più urgenti per la fascia di popolazione a cui ci rivolgiamo. È da qui che nascono i nostri progetti, che presentiamo ai bandi”. Alcuni degli afghani arrivati grazie a questa ciclopica attività umanitaria e transfrontaliera hanno proseguito il loro viaggio altrove, in altre nazioni, circa un 30%. Tanti altri si stanno inserendo nel tessuto italiano con la protezione umanitaria, c’è chi lavora, chi studia.  “Ora vogliamo portare in Italia quelle sei persone afghane ferme in Iran. Una porta, prima o poi, si aprirà. Continuiamo a crederci”, conclude fiduciosa la presidente di Amad. 

 

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Un momento del "Teatro Sociale" organizzato da Amad

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