di Violetta Cantori – 14 settembre 2023

Alluvione, riaffiora il dolore dei volontari

 42 comuni colpiti, 16 morti, più di 23.000 sfollati. Spenti i riflettori dell'emergenza, la tragedia che ha colpito l'Emilia-Romagna sembra svanita dal dibattito pubblico, rimossa. Ma le ferite umane rimangono. E quelle dei volontari in queste settimane stanno venendo a galla

“Pensavamo che peggio di così non potesse andare, invece ci sbagliavamo, anche se alla fine, insomma, è andata anche bene”. Così Ennio Lambertini di C.O.E.R. Corpo Operatori Emergenza Radio e Protezione Civile ODV ha ricordato l’alluvione che quest’anno ha colpito Budrio, paesino rurale della pianura bolognese già segnato dall’alluvione del 2019. Nella scorsa primavera la piena del Torrente Idice ha distrutto un ponte, allagato strade, campi, case e ha travolto il fuoristrada a bordo del quale lui e il suo collega stavano andando a evacuare una famiglia. “Stavamo verificando il numero civico con l’accensione della lampada quando abbiamo visto dei bagliori in mezzo alla strada. Pensavamo fossero persone, ma in un attimo l’onda d’urto della rottura dell’argine ci ha travolti e buttati nel fosso. Per fortuna. Perché il fosso ci ha ancorato, altrimenti la forza dell’acqua ci avrebbe fatto rotolare chissà dove e non saremmo mai riusciti ad uscire”. Nell’abitacolo inclinato e quasi del tutto sommerso erano rimasti circa 15 o 20 cm d’aria, meno della dimensione di un viso intero. Gli sportelli erano bloccati dalle sicure e qualsiasi movimento era difficoltoso e rischioso a causa del peso dell’acqua che avrebbe potuto inclinare ancora di più l’auto. Senza perdersi d’animo, forti dell’esperienza e dell’addestramento, i due volontari sono riusciti a mettersi in salvo e hanno inviato altri soccorsi alla famiglia che li aspettava con quasi 3 metri d’acqua in casa. Ma non è questo episodio che Ennio rievoca con più forza. Nel 2019 ha dovuto soccorrere persone care, e nel maggio scorso si è trovato ad aiutare una famiglia che quattro anni prima aveva perso tutto ed era di nuovo nella stessa situazione. “Sono episodi drammatici che puoi affrontare perché sei un volontario formato a gestire questo tipo di stress”.

A volte anche i volontari che soccorrono sono vittime dell’emergenza, e con la recente alluvione, dall’Emilia alla Romagna sono affioriate storie come quella di Ennio, e di due volontarie cesenati.

La sede di Associazione Croce Rossa Italiana Comitato di Cesena Odv, situata a ridosso del punto in cui il fiume Savio è esondato, è stata uno dei primi edifici alluvionati della città, ha raccontato la vicepresidente Catia Bianchi. “Nonostante ci fosse stata un’allerta ben diramata dal giorno prima, mai avremmo pensato che l’acqua sarebbe potuta salire tanto. La prima notte è stata molto impegnativa, perché insieme a noi si stavano allagando i condomini della zona, continuava a diluviare, l’acqua allagava le strade e le case a una velocità incredibile, e dovevamo mettere in salvo le persone. Abbiamo subito cercato di mettere in sicurezza i vicini e abbiamo evacuato una residenza per anziani. È stata una vera e propria emergenza nell’emergenza, ma siamo formati anche per questo, e abbiamo saputo reagire”.

Croce Rossa ha trasferito il suo “quartier generale” in un magazzino collocato in una zona distaccata e sicura della città, dove ancora oggi gestisce tutte le attività. Oltre alla sede, l’associazione ha perso il materiale che non era riuscita a portare al secondo piano dell’edificio quando era stata diramata l’allerta, un pulmino per il trasporto degli utenti, un’ambulanza e sei auto dei dipendenti che erano in servizio quella sera. “Sembra assurdo dirlo – ha affermato la volontaria con un nodo alla gola percettibile dal suono della voce – ma l’impatto emotivo di aver perso la sede arriva ora, perché non abbiamo avuto il tempo di pensare ai nostri danni, prima. Nella strada che percorro ogni giorno vedo ancora il segno del fango in case fantasma, spalancate, vuote. Queste immagini le ricorderemo per molto tempo, così come gli occhi traumatizzati e colmi di gratitudine degli anziani che lasciavano la loro abitazione e i loro ricordi per salire su un gommone”.

Rimaniamo a Cesena con Francesca Stagno, fondatrice e volontaria di Associazione Twiga Odv. “Sapevo che al Centro Don Milani avevano aperto un punto di accoglienza per le persone alluvionate e sono andata a dare una mano insieme agli altri volontari della mia associazione. Una sera, mentre tornavo a casa, sono passata in una via parallela a quella dove si trova il mio garage e l’ho vista piena di mobili ed elettrodomestici accatastati. Sono subito andata a vedere, ho aperto il garage ed è scesa la colata di fango”. Francesca in un attimo è passata da volontaria che aiuta a vittima dello stesso dramma.

“Non ci tenevo l’auto, era il luogo dei miei ricordi, molti legati a persone care che non ci sono più. Ho provato a richiuderlo a fatica, un po’ per il fango e un po’ perché nel quartiere in quei giorni non c’era corrente elettrica, sono tornata a casa, ho fatto finta di niente. L’indomani la prima reazione è stata di buttare tutto, poi mi è salita una grande ansia, e ho iniziato a cercare di salvare quel che potevo. Ho ripreso ad aiutare gli altri senza sosta e mi sono resa conto che in quei momenti, insieme alle persone belle che conoscevo e ho conosciuto, non pensavo a quello che mi era successo, anche se piangevo spesso, senza preavviso. In fondo i miei erano solo ricordi, e avevo già iniziato a costruirne di nuovi. Da noi si presentavano persone in ciabatte e canotta che avevano perso la casa, e si sentivano addirittura in colpa e chiedevano di aiutare chi aveva più bisogno. Ma chi, in quel momento, aveva più bisogno di loro?”.

Francesca è medico, e quando andava in Kenya con la sua associazione si prendeva cura di persone con patologie anche piuttosto gravi che “non avevano niente e si trovavano nel mezzo del niente e nonostante tutto sorridevano”. Lì era “super inquadrata”, non una lacrima. Le nascondeva dietro i sorrisi e le lasciava ai momenti di solitudine o alle notti insonni dei ritorni in Italia. “Quando una cosa come questa succede a te, però, va a toccare altre corde. È come se l’acqua avesse rotto l’argine delle emozioni.”

Francesca vorrebbe lasciarsi alle spalle il terrore e il senso di impotenza mentre da un ponte vedeva salire l’acqua del fiume. Ennio e Catia non vogliono dimenticare nulla di tutto questo. Ciò che tutti e tre tengono stretto a sé è “il bello che non t’aspetti”.

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Un volontario della Croce Rossa Italiana all'opera durante l'alluvione © CRI Cesena

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