di Paola Springhetti e Marco Travaglini – 23 novembre 2021

Pubbliche amministrazioni e Terzo settore: e se la Riforma non bastasse?

 Co-progettazione e co-programmazione sono le attività che mettono al lavoro sullo stesso tavolo volontariato e Pubblica Amministrazione. In questo quadro si inserisce il protocollo firmato da CSV Lazio e Anci Lazio

Da tempo i Centri di Servizio per il Volontariato sono impegnati, a più livelli, sul fronte della co-progettazione e co-programmazione, le attività che danno concretezza al rapporto tra volontariato e Pubblica Amministrazione finalizzato a lavorare insieme per raggiungere obiettivi comuni. L’hanno inserita nelle proprie attività e nei propri bandi, come è successo a Venezia nella primavera scorsa, quando il CSV, tramite un avviso pubblico, ha invitato le associazioni a candidarsi per partecipare alla co-progettazione di quattro azioni pilota di portierato sociale. 

Hanno sostenuto percorsi di co-progettazione con gli enti locali, come è successo nel 2018 in Emilia Romagna, dove la Regione ha scelto di destinare oltre un milione e 720 mila euro a iniziative territoriali, invece di fare un unico bando regionale, e ha adottato una procedura di co-progettazione che ha coinvolto gli Uffici di piano e i CSV. O ancora, come è successo nel 2017 nel palermitano, dove Villa Castello, a Bagheria, sequestrata alla mafia, è diventata un centro sociale polivalente, dopo un percorso di co-progettazione avviato dall’Amministrazione comunale e facilitato dal CeSVoP – Centro di Servizi per il Volontariato di Palermo, che ha messo in rete le associazioni. Ora il centro sociale è gestito grazie a un patto di collaborazione con gli enti di Terzo settore e i volontari. 

I CSV, inoltre, hanno lavorato sulla formazione, inserendo questi temi nelle proposte alle associazioni anche a livello nazionale, infatti sono stati al centro del progetto Capacit’Azione, realizzato da Forum Terzo Settore Lazio in collaborazione con il Forum Nazionale del Terzo Settore e CSVnet, l’associazione nazionale dei Centri di servizio per il volontariato, e sulla diffusione della cultura della collaborazione, come ha fatto il Cesvot – Centro Servizi Volontariato Toscana, che ha pubblicato il volume “Collaborare, non competere. Co-programmazione, co-progettazione, convenzioni nel Codice del Terzo settore”, scritto da Luca Gori, disponibile sul sito del CSV toscano.

Si colloca in questo contesto, la recente esperienza del CSV Lazio, che ha firmato un protocollo con Anci Lazio nel quale si definiscono gli ambiti di collaborazione e si disciplina l’attività da fare assieme. Quattro gli ambiti di azione comune individuati: l’attivazione di rapporti virtuosi e processi sinergici; l’organizzazione di eventi, convegni e percorsi formativi comuni ad amministratori e associazioni; la possibilità di promuovere e svolgere ricerche, di carattere sociale e scientifico, anche in funzione della progettazione comune; l’impegno a promuovere l’azione volontaria e la crescita della cultura della solidarietà e della cittadinanza attiva. 

Il protocollo segna un passo avanti importante verso la costruzione di un’amministrazione condivisa, perché offre una cornice di riferimento per tutti coloro che vogliono intraprendere azioni e percorsi in questo senso.

La co-progettazione e la co-programmazione restano comunque un traguardo ancora da raggiungere, nonostante la riforma del Terzo settore (Decreto Legislativo 3 luglio 2017, n. 117), che all’articolo 55 afferma che «le amministrazioni pubbliche… nell’esercizio delle proprie funzioni di programmazione e organizzazione a livello territoriale… Assicurano il coinvolgimento attivo degli enti del Terzo settore, attraverso forme di co-programmazione e co-progettazione e accreditamento». Poi, a giugno 2020, c’è stato il pronunciamento della Corte Costituzionale, che ha sciolto i dubbi interpretativi, precisando che quell’articolo costituisce un’applicazione del principio costituzionale di sussidiarietà orizzontale (art. 118, Cost.), «strutturando e ampliando una prospettiva che era già stata prefigurata, ma limitatamente a interventi innovativi e sperimentali in ambito sociale (…)».

Da ricordare anche la modifica al Codice dei Contratti Pubblici introdotta dal Decreto semplificazioni nel 2020 per coordinarlo con il Codice del Terzo Settore, tramite la conversione in legge del DL Semplificazioni (DL 76/2020) che ha riconosciuto pari dignità e legittimità ad appalti e agli strumenti collaborativi come la co-programmazione e la co-progettazione e le altre forme previste dal Codice del Terzo settore. Infine, a marzo 2021, il Ministro Orlando ha firmato il decreto di adozione delle Linee guida sul Rapporto tra Pubbliche Amministrazioni ed Enti del Terzo Settore. 

Eppure, il rapporto tra volontariato e Terzo settore da una parte, Pubbliche Amministrazioni dall’altra, sembra restare farraginoso, in qualche caso deludente, soprattutto per le associazioni, che si sentono “usate” nel momento dell’emergenza, ma poi dimenticate, quando si tratta di elaborare proposte che davvero rispondano ai bisogni delle persone e dei territori. E questo nonostante il lungo periodo della pandemia e della crisi economica e sociale da essa provocata, che ha spinto molti enti locali a stabilire forme più strette, e a volte inedite, di collaborazione. 

Se resterà qualcosa di tutto questo e se co-programmazione e  co-progettazione caratterizzeranno il modo di lavorare sui servizi e sui progetti futuri, nel nome di un welfare più efficace e di comunità più inclusive lo si vedrà quando arriveranno le risorse legate al PNRR (Piano nazionale di Ripresa e Resilienza).

Vdossier ne ha discusso con Luca Vecchi, delegato Anci al welfare e sindaco di Reggio Emilia, e Maurizio Mumolo, direttore del Forum Nazionale del Terzo settore Per capire quale sia la finalità che accomuna Istituzioni pubbliche e Terzo Settore.

Secondo Maurizio Mumolo la sentenza 131 della Corte costituzionale ha una portata straordinaria, perché ha sbloccato una delle scelte di maggior portata del Codice del Terzo settore – contenuta del titolo VII, in particolare negli articoli 55, 56 e 57 – che nei primi tempi dopo l’approvazione era rimasta un po’ in ombra: gli enti del Terzo settore, nei primi anni di implementazione della riforma, si sono più che altro concentrati sugli aspetti di natura burocratico-amministrativa, cioè su cosa sarebbe cambiato nella loro vita ordinaria. In un secondo momento, però, se non altro per ragioni di natura difensiva, questa parte del codice ha cominciato a trovare attenzione. Tanto gli enti di Terzo settore, quanto le istituzioni pubbliche hanno incominciato a intravvederne la portata strategica. Successivamente, la sentenza della Corte Costituzionale ha offerto la chiave per superare una serie di ostacoli posti da ambienti istituzionali: in particolare, un parere del Consiglio di Stato, formulato a seguito di una richiesta dell’Anac, aveva fortemente ridotto la portata di queste norme. La Corte Costituzionale, invece, ha ribaltato l’orientamento del Consiglio di Stato e mostrato l’effettiva apertura dell’articolo 55. L’importanza di questo articolo, infatti, non è nella prassi collaborativa tra istituzioni pubbliche ed enti di Terzo settore – questa è ormai consolidata da molti decenni di collaborazione tra le associazioni dei vari territori con gli enti locali di riferimento, su tantissimi temi, ma nel definire la co-progettazione, che era già prevista all’interno della 328, come il rapporto tipico, ordinario, normale, che si deve instaurare tra le Istituzioni pubbliche e gli enti di Terzo settore. E tutto questo non solo in una materia specifica, quale potevano essere i servizi sociali e i servizi alla persona o le attività sperimentali, ma in tutte le attività di interesse generale su cui gli enti di Terzo settore operano, non solo perché questi svolgono attività senza scopo di lucro, non solo perché sono soggetti a un regime particolare di trasparenza e controllo, ma perché, e questo è l’elemento importante che ha sottolineato la Corte Costituzionale,  condividono con le istituzioni pubbliche una comune finalità, occupandosi del bene comune.

La copertura politica, culturale e giuridica è però insufficiente. Secondo Luca Vecchi, infatti, la riforma del Terzo settore, la sentenza e i provvedimenti successivi, ad esempio il decreto semplificazioni, non sono ancora da considerarsi sufficienti, per dare gambe a una innovazione di portata epocale, che rappresenta un modo completamente diverso di far funzionare la Pubblica Amministrazione, in particolar modo nell’ambito dei servizi alle persone. “Credo – afferma Vecchi – “che ci sia bisogno di un forte lavoro culturale e anche di formazione della classe dirigente tecnica della Pubblica Amministrazione in senso lato. Perché gestire, attraverso lo schema della co-progettazione e co-programmazione – che di fatto prefigurano un superamento delle gare – servizi anche economicamente importanti, è una cosa che richiede non soltanto l’impulso politico di una Giunta o l’indirizzo politico del Consiglio Comunale, ma anche la tranquillità professionale di chiunque all’interno della Pubblica amministrazione lavora, da oltre 70 anni, attraverso gare”. Ci sono riforme che, una volta approvata la legge, possono essere immediatamente attuate; ce ne sono altre che, per essere attuate, hanno bisogno di un percorso politico, culturale, formativo di tutti gli addetti ai lavori. Luca Vecchi sa che chi gestisce le città conosce bene questo problema: l’innovazione passa dal cambiamento del comportamento complessivo, e quindi del funzionamento, della Pubblica Amministrazione. “Ci sono i segretari Comunali, cioè quelli che devono dare il via libera di legittimità, poi ci sono i dirigenti e i funzionari – prosegue – Storicamente c’è sempre stata tra la Pubblica Amministrazione e il Terzo Settore, una dialettica che vede da una parte una stazione appaltante e dall’altra i concorrenti. L’ottica della co-programmazione co-progettazione, che si tratti di un servizio da 5mila euro o di una operazione da 15 milioni, implica che ci si metta attorno a un tavolo e si lavori insieme, cioè che per un istante non ci si ricordi nemmeno che uno è il Comune e l’altro è una cooperativa sociale. Per arrivare a quel tavolo, però, serve un grado di copertura politica, culturale e giuridica che ad oggi, secondo me, ancora non c’è”.  

A queste considerazioni, si aggiunge la necessità di investire in formazione, sia per il Terzo Settore che per l’Amministrazione. 

Maurizio Mumolo afferma che “La sentenza della Corte Costituzionale ha aperto una strada, che prima era sbarrata da un enorme macigno, ma adesso va percorsa, e non sarà una strada facile, anche perché non se ne conoscono tutti i passaggi: molte delle cose che stanno all’interno di questi termini, co-progettazione e co-programmazione, sono ancora tutte da costruire. Io sono d’accordo con il sindaco Vecchi, quando dice che serve un cambiamento di natura culturale, per il quale bisogna lavorare a fondo e che richiede tempo. Credo che la formazione serva per i quadri dell’amministrazione Pubblica, ma anche per quelli del Terzo settore: le organizzazioni hanno bisogno di acquisire conoscenza, competenze”. Approfondendo con Mumolo, si capisce che il problema è complesso, perché co-progettazione e co-programmazione non richiedono semplicemente di far parlare il Comune con una o più associazioni: questo avviene già normalmente. Richiedono che le Amministrazioni Pubbliche collaborino tra loro, così come gli enti del Terzo Settore: quindi il Comune e la scuola, l’associazione con la cooperativa, per raggiungere lo stesso obiettivo. “Ad esempio – prosegue Mumolo – “il lavoro che si sta facendo su tutto il territorio nazionale grazie al fondo sul contrasto alla povertà educativa minorile, fa emergere proprio questa necessità: molte volte le scuole non parlano con gli enti locali, ma anche molti enti di Terzo settore non hanno una facilità di dialogo con altre organizzazioni. Come si fa a costruire una comunità educante se ognuno non ha la diponibilità a collaborare e non si mette in grado di farlo?” Le “Linee guida ministeriali su co-progettazione, co-programmazione” sono in qualche misura un esempio di piccola co-progettazione, perché sono scaturire da un gruppo di lavoro in cui vi erano Regioni, Ministero, Governo e anche Terzo settore. Insieme hanno prodotto uno strumento d’uso e questa esperienza potrebbe preludere anche a un’attività collaborativa sulla formazione. Secondo Mumolo “Sarebbe molto interessante se riuscissimo a costruire attività formative condivise tra funzionari pubblici  e tecnici di Terzo settore. La formazione offre la possibilità di creare occasioni di sperimentazione, oltre che di relazioni. E qui c’è molto da sperimentare, in particolare sul terreno della co-programmazione, che è tutto da dissodare”. 

Il Terzo Settore soffre delle difficoltà che ha nel rapportarsi con gli enti locali. Questo, per Maurizio Mumolo, accade perché c’è un problema di conoscenza degli strumenti e delle rispettive opportunità, criticità che il Forum sta affrontando con attività di formazione, come il ciclo di seminari che ha coinvolto centinaia di persone. A volte emerge un problema di errata lettura, perché la co-progettazione e le co-programmazione non hanno eliminato la possibilità di svolgere procedure competitive basate sulle gare. Il codice degli appalti è stato modificato ma è ancora in vigore per una serie di attività e per alcuni scopi delle attività, indipendentemente dalla loro dimensione. 

Rimane, quindi, un vero dilemma nella coesistenza di Codice degli Appalti e Codice del Terzo Settore che genera difficoltà speculari per  volontariato ed enti locali  .“Non tocca a me dire quali siano le difficoltà del volontariato – spiega Luca Vecchi – “ma posso dire che può entrare in questa partita nella misura in cui c’è capacità di iniziativa da parte degli enti locali, cioè nella misura in cui istituzioni e enti locali decidono di percorrere una strada che fa leva sul Codice del Terzo settore, anziché sul Codice degli appalti. Ma nei funzionari della Pubblica Amministrazione c’è ancora una convinzione forte, radicata, che il Codice degli Appalti stia sopra a quello del Terzo Settore. E non si va neanche in campo a giocare a partita fino a quando persiste questa percezione”. Vecchi prosegue spiegando a Vdossier che gli ultimi dodici mesi hanno portato a mettere in discussione questo presupposto e ad affermare il principio che, quanto meno, le due opzioni sono alla pari e che in tutta una serie di situazioni si può opzionare il Codice del Terzo Settore. “La mia opinione – aggiunge – che però è un’opinione politica, ma sappiamo che queste cose le gestiscono i tecnici dell’amministrazione e che la politica, quando si arriva alla firma, non è più in campo – è che occorre arrivare a stabilire che su tutta una serie di servizi e di progettualità è prioritaria la dinamica della co-progettazione e della co-programmazione o del convenzionamento, fatta salva la possibilità di ricorrere a procedure competitive. Non dimentichiamo che nel nostro Paese, ogni giorno, su piccoli atti assolutamente banali, il funzionario sa di correre il rischio di andare incontro a un’ipotesi di reato di abuso di ufficio. Fino a quando non ci sarà la tranquillità giuridica, tanto dell’amministratore che sta in Giunta e che deve deliberare, quanto del dirigente, che sta sotto e che deve attuare, questa riforma non potrà essere attuata. La gestione dei servizi alla persona ha alle spalle 70 anni di gare. Queste gare sono state per una lunga fase al massimo ribasso e poi sono diventate “a offerta economicamente vantaggiosa”: la valutazione qualitativa del progetto si voleva prioritaria rispetto alla proposta economica, ma sappiamo tutti quanto è stato duro quel percorso, perché talvolta i vari algoritmi, che vengono applicati, fanno sì che un ribasso economicamente significativo vada a invertire l’esito di una proposta qualitativamente migliore”. Oggi Vecchi ritiene illusorio pensare che sia rapido e breve il passaggio alla co-progettazione e co-programmazione. Se non si compie un salto culturale e formativo, probabilmente tra qualche anno ci saranno delle buone prassi grazie a qualche amministrazione e qualche funzionario, sindaco o assessore audaci, ma la co-progettazione non assumerà la forma dell’innovazione di sistema. È necessario  capire quali siano i nodi su cui lavorare per fornire agli amministratori e ai funzionari la tranquillità politica e giuridica per dare gambe al principio della co-progettazione. 

In questo contesto, viene da chiedersi se l’emergenza ci abbia insegnato qualcosa. L’opinione di Maurizio Mumolo è che nell’emergenza il Terzo Settore abbia vissuto una situazione apparentemente contradditoria. Da una parte ci sono state numerose attività, nell’ambito della cultura, spettacolo, sport, educazione, socialità, che si sono dovute sospendere o chiudere. E questo è stato un colpo durissimo, tanto più che oltre il 70% delle organizzazioni di Terzo Settore vive non di contributi pubblici ma di autofinanziamento attraverso servizi per i propri soci e raccolte fondi. Dall’altra parte, invece, le organizzazioni impegnate sul fronte sociale, come l’educazione dei bambini, l’assistenza agli anziani, hanno vissuto un periodo di straordinario impegno, anche a costo dell’incolumità personale degli stessi volontari. “All’inizio della pandemia – racconta Mumolo – nonostante il rischio legato alla mancanza di dispositivi di protezione, c’è stato comunque un contributo personale di giovani e meno giovani, che si sono rimboccati la maniche per cercare di rispondere alle esigenze primarie della popolazione. Nel giro di poche settimane il Terzo settore si è inventato un modo diverso di fare le proprie attività, dando una dimostrazione di grande flessibilità e intraprendenza, oltre che di grandissima generosità. Con la campagna vaccinale l’assistenza del personale paramedico nei centri vaccinali è stata garantita da organizzazioni come la Croce Rossa, le Anpas, le Misericordie. Del resto anche in tempi normali la raccolta del sangue e quasi tutto il trasporto sociosanitario in Italia è gestito dal volontariato”.

Secondo Luca Vecchi il Terzo Settore, ma anche i Comuni, con il Covid-19 hanno dovuto produrre un’accelerazione nell’innovazione e nel ripensamento di tantissimi servizi, per riconvertirli rapidamente. Questi processi di innovazione, a suo parere, resteranno anche dopo il Covid: la difficoltà ha palesato l’opportunità: “Faccio un esempio: a Reggio Emilia abbiamo svolto un lavoro enorme tra giugno e settembre 2020, per creare le condizioni del distanziamento nelle scuole primarie e secondarie. Abbiamo cominciato ad allestire le aule scolastiche in spazi nuovi, ad esempio in un museo, in un teatro, in un agriturismo, nei locali di una parrocchia o di una cooperativa sociale. Abbiamo spostato 50 classi e 1.300 bambini. Siamo partiti da un’esigenza manutentivo-logistica di sicurezza e ci siamo trovati in mano una scuola diversa, che praticheremo anche dopo il Covid: la scuola diffusa, dove il concetto di spazio pubblico è diventato un potente strumento di innovazione sulla didattica. Quel modo di fare scuola a Reggio Emilia ce l’avevamo a portata di mano da sempre, ma non l’avevamo afferrato”. Il Covid ha generato l’innovazione e ha fatto capire che per affrontare l’emergenza è molto più importante collaborare che competere. Dove si è collaborato nell’affrontare la complessità, si sono fornite risposte di maggior efficienza all’emergenza. “Inoltre, il Covid ha mostrato che del Pubblico c’è ancora bisogno – prosegue Vecchi – venivamo da un lungo periodo in cui sembrava prevalere l’idea che il Pubblico dovesse essere smontato totalmente, ma una cosa è la sussidiarietà e la collaborazione tra pubblico e privato, un’altra cosa è destrutturare il Pubblico. Il Covid ci ha restituito la consapevolezza della centralità della sanità pubblica e ci ha riproposto un’idea di libertà in cui ci si mette in gioco non solo sul principio della responsabilità individuale, ma anche e soprattutto sul principio della responsabilità collettiva e del senso di comunità. Se ripercorriamo questi valori, emersi durante questa emergenza, troviamo un grande spazio di innovazione sul futuro nel rapporto tra pubblico e Terzo Settore, perché questi sono gli ingredienti intorno a cui dare gambe alla co-progettazione e co-programmazione. La società della collaborazione tra pubblico e privato e tra istituzioni e cittadini è la chiave di un rapporto nuovo tra l’economia e la società, tra l’impresa e le persone, le istituzioni e i cittadini. In questa triangolazione tra istituzioni, economia e società, c’è molto di quello che possiamo fare per innovare”.

Per Maurizio Mumolo abbiamo davanti una nuova stagione, che è quella segnata dalle risorse che arriveranno con il PNRR, che potranno essere  motivo di sperimentazione anche del sistema delle co-progettazione e co-programmazione. È molto importante agganciare questi nuovi strumenti. Viene prima la co-programmazione, strumento attraverso il quale le istituzioni e le organizzazioni di Terzo settore individuano i bisogni della comunità. Soprattutto, Mumolo ritiene che valga quella che la Corte Costituzionale ha definito “amministrazione condivisa”, perché riconoscere altri attori nel ruolo di percettori dei bisogni e di proponenti delle soluzioni per farvi fronte, è appunto un procedimento di amministrazione condivisa. La co-programmazione, in qualche misura, è un’attività che avviene a valle. Non vengono predeterminate le caratteristiche più minute dell’attività e del servizio, ma attraverso l’ascolto reciproco e la collaborazione, si identificano di comune accordo i contenuti dell’attività e quindi anche le procedure attuative e i costi. Entrambe sono due prassi che coinvolgono una pluralità di soggetti. Le linee guida già ora offrono delle indicazioni e sono loro stesse un esempio, perché nascono da un processo di approvazione rafforzata: per adottarle poteva bastare un decreto ministeriale, Invece si è voluto, anche per ragioni di impatto politico, farle passare attraverso la Conferenza unificata, che ha dato il suo parere preventivo, precedente alla trasformazione del provvedimento in Decreto ministeriale. Quindi vi è il concorso di una pluralità di soggetti, tanto per quanto riguarda la loro definizione, tanto per quanto riguarda l’approvazione. “Ora bisogna cominciare a implementarle, a utilizzare le modalità lì previste in tutte le occasioni possibili – prosegue – Sarebbe interessante se, insieme all’Anci e ad altri soggetti pubblici, il Terzo settore provasse a immaginare alcune attività politiche su cui attivare alcune sperimentazioni, attivando così un processo disseminativo. Sarebbe interessante  redigere un catalogo delle esperienze che sono state già realizzate soprattutto in termini di co-progettazione. Attraverso l’implementazione delle buone pratiche e la verifica se, alla prova dei fatti, l’impianto normativo attuale sia sufficiente e adeguato o abbia bisogno di ulteriori aggiustamenti, potremmo proporre altri strumenti. In fondo la riforma del Terzo Settore è un cantiere aperto, perché si riferisce a soggetti sempre in evoluzione: perché la società è in evoluzione”.

C’è poi un discorso di fiducia tra Istituzioni e cittadini che, secondo Luca Vecchi,  il Covid ha messo a dura prova, ma là dove le istituzioni sono state all’altezza, si è generato un avvicinamento. “Dove invece le istituzioni non sono all’altezza – continua – si producono dei punti di rottura profondi e difficilmente recuperabili. Non basta fare le cose giuste, bisogna anche adottare percorsi partecipati. Ad esempio, se devi chiudere una struttura per anziani non autosufficienti e trasferirli per tre mesi in un’altra struttura a cinque chilometri, o attui un percorso condiviso, di ascolto con i famigliari, e produci un livello di informazione e consapevolezza che alla fine è anche costruzione di consenso, oppure rischi una reazione negativa, quasi violenta”. Insomma, si produce una frattura di fiducia. La società della collaborazione presuppone una sorta di pedagogia dell’ascolto. Se questo diventa il tenore con cui si costruisce la governance di una città, la fiducia può crescere. Il decisionismo e l’approccio individualista di taluni privati creano tensioni e lacerazioni sociali difficilmente recuperabili. “Il Covid ci ha indicato una strada collaborativa – conclude Luca Vecchi – ci vuole la volontà politica di seguirla”.

Anche secondo Mumolo, la fiducia è frutto della collaborazione. Da parte dei governi locali ci sono stati atteggiamenti molto diversi: alcuni sono stati più vicini ai cittadini e altri più lontani. Non è stato secondario, in questo, il ruolo che hanno avuto le associazioni, gli enti del Terzo Settore, i cosiddetti corpi intermedi. Quando si parla bene del Terzo Settore si dice che è attento ai più deboli e alle condizioni di marginalità, oppure che è sempre presente nelle situazioni di emergenza. “Ma dimentichiamo di ricordare che il Terzo Settore è primariamente un formidabile veicolo di coesione sociale e il suo ruolo non è solo quello di gestire bene i servizi sociali e culturali – afferma Mumolo – ma di favorire la partecipazione dei cittadini, di agire con modalità democratiche, di essere palestra di impegno civico. Dove le istituzioni si sono avvalse di questa realtà sul territorio, anche il rapporto con i cittadini ne ha beneficiato. Dove invece le Amministrazioni hanno pensato di poter fare da sole, questo non ha portato bene né alla vita dei cittadini, né alla lettura dell’impegno dell’Amministrazione da parte dei cittadini”

Maurizio Mumolo aggiunge, infine, che il Forum del Terzo Settore è disponibile a costruire, anche in tempi brevi, un confronto rispetto all’applicabilità e all’attuazione delle norme e a valutare insieme all’Anci la necessità di sostenere ulteriori provvedimenti migliorativi.  “Credo che il momento sia propizio – conclude – anche a causa dell’emergenza: molti provvedimenti sono passati in questa fase con una rapidità altrimenti inimmaginabile”.

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