di Noemi Roncuzzi, con il contributo di Alessandra Baldi – 7 giugno 2023

Cresce sempre più la “sindrome del caregiver”

 Oltre due milioni di italiani si prendono cura di persone non autosufficienti. Più del 66 per cento di loro è costretto ad abbandonare la propria occupazione

“Ricordo le prime avvisaglie della malattia, quando al ritorno da un viaggio, mamma mi disse: il babbo è strano, è ripetitivo. Aveva 71 anni. Iniziammo a realizzare davvero la situazione quando la banca chiamò per avvisarci che era entrato e uscito ripetutamente dal tornello”, ricorda Barbara, che si prende cura del padre con Alzheimer dal 2010, dal mattino in cui le arrivò la diagnosi. Un fascicolo di fogli, fitti di termini complicati, la condizione del padre difficile da accettare e una nuova consapevolezza: da lì in poi sarebbe stata una caregiver familiare. Ne parla con Daniela, che della madre affetta dalla stessa malattia neurodegenerativa se ne è presa cura per 13 anni. Barbara e Daniela trovano l’una nell’altra lo sguardo di comprensione di chi vive le stesse battaglie, le stesse difficoltà e insicurezze, quando ci si ritrova a ricoprire un ruolo che non si è scelto.

Si sono conosciute a uno degli incontri conoscitivi di auto mutuo aiuto rivolti a caregiver, soci e familiari, che organizza l’associazione Alzheimer Ravenna Odv. Associazioni come questa, che esiste dal 1995, a persone come Barbara danno modo di iniziare un percorso di consapevolezza e accettazione della malattia del proprio caro, un passo dopo l’altro: “L’accettazione è la parte più difficile. Non si è mai pronti a vedere una persona cara che, lentamente, si svuota”. Daniela ascolta Barbara attentamente e finisce per lei la frase, tanta è l’empatia tra le due: “Ti capisco Barbara, inizialmente ho provato molta rabbia, perché non lo accettavo. Poi, quando ho metabolizzato, vedevo mia mamma per quello che era: indifesa. I nostri genitori prima erano pilastri, ora la malattia li ha resi bambini”.

Quando ci si assume il ruolo di caregiver familiare, si accudisce il proprio caro come un figlio, in un impegno a tempo pieno, silenzioso eppure indispensabile. Avere tempo per sé stessi diventa una vergogna quasi. Alzheimer Ravenna, fondata da chi caregiver lo è stato e sa cosa si provi a vestire questi panni, partecipa e collabora a “Palestra per la mente – spazio incontro” per la stimolazione e riattivazione cognitivo relazionale, progetto istituzionale dedicato a chi è affetto da decadimento cognitivo e demenza. Parallelamente, sono attivi interventi psicosociali di inclusione sociale e di psicoeducazione, formazione e supporto ai caregiver familiari, organizzati in sinergia con gli enti socio sanitari del territorio, il distrettoAsl e i tre Comuni.

La presidente dell’associazione, Barbara Barzanti, li definisce: “Il risultato di un progetto in collaborazione con il servizio assistenza anziani di Ausl Romagna, il Comune di Ravenna e Asl, per costruire una prospettiva di miglioramento complessivo della qualità della vita familiare”. Si tratta di momenti dedicati ai caregiver, per socializzare e confrontarsi. Un’occasione fondamentale, in un’economia del tempo quotidiano che ruota tutta attorno al proprio familiare in difficoltà. Infatti, lo stress costante che si vive nel gestire questo forte sovraccarico di responsabilità, porta spesso alla sottovalutazione dei propri bisogni. Gli esperti la chiamano “sindrome del caregiver” o “del burnout”, un fenomeno che bisogna imparare a gestire preventivamente, attraverso un servizio di supporto psicologico.

Il Terzo settore si è dimostrato sensibile e recettivo al riguardo, arrivando a offrire servizi da quelli di sollievo al caregiver, con il trasporto per le terapie del proprio caro, a quelli di supporto psicologico, come nel caso dei gruppi di auto mutuo aiuto, anche online. Per farlo, la rete dell’associazionismo si è radicata territorialmente, coesa e collaborativa. Lo testimonia il presidente di Alzheimer Rimini Odv, Giorgio Romersa: “Il nostro compito è anche quello di rinforzare il lavoro di rete territoriale: dove si evidenzia un’esigenza particolare, coinvolgiamo i servizi territoriali di competenza, mantenendo uno scambio continuo e diretto con le autorità sanitarie”.

L’associazione che Romersa rappresenta, è nata proprio dall’iniziativa di un gruppo di caregiver familiari, nel 1994, e fin dagli esordi, contando sulla collaborazione dell’azienda Usl Romagna, ha messo in piedi servizi rivolti sia alle persone con deterioramento cognitivo che ai loro familiari, in tempi in cui la figura del caregiver era ancora ben lontana dall’essere riconosciuta. Le attività di Alzheimer Rimini, tra progetti, corsi di formazione e interventi a domicilio, mirano proprio a portare a casa l’esperienza di operatori, professionisti e volontari appositamente formati, che si prendano cura per alcune ore della persona con demenza, dando un sollievo momentaneo al caregiver dalle responsabilità.

“Dal 2021”, riprende il presidente di Alzheimer Rimini, “abbiamo avviato i progetti di assistenza domiciliare dal titolo: ‘Un tempo per te’ e ‘Due ore per te’, entrambi pensati affinché il caregiver possa ritagliare del tempo libero da dedicare alle proprie necessità. Prendersi cura del caregiver insieme alla persona con Alzheimer per noi è fondamentale, perché il familiare che si sente abbandonato, isolato e incompreso correrà il rischio di stressarsi e di non riuscire a fornire un’assistenza adeguata”.

Integrare i servizi e operare per la tutela del caregiver è un compito urgente: l’Istat stima una crescente aspettativa di vita in Italia, al 2021 di circa 80 anni. Ciò significa che i casi di demenza senile andranno aumentando e al contempo, il numero di caregiver familiari. La speranza del terzo settore per il futuro, è che le istituzioni valorizzino chi si prende cura del malato, come soggetto che ha e continuerà ad avere un importante valore sociale. Essi prestano un servizio di cura continuativo, riducendo il carico assistenziale sulle spalle della sanità pubblica e privata.

Un riconoscimento del ruolo e un conseguente supporto che deve ancora essere messo completamente a regime. Giorgio, si occupa dagli anni 2000 della moglie affetta da Alzheimer, ha vissuto periodi in cui: “Gli aiuti istituzionali erano praticamente inesistenti. Ad oggi, i servizi sono sicuramente aumentati, ma mi auguro per il futuro che il sistema sanitario offra un’azione più puntale, come il counseling telefonico con medici o esperti che aiutino il caregiver a risolvere in tempi accettabili i problemi quotidiani”.

Ma quali sono, nello specifico, i servizi ai quali Giorgio si riferisce? I servizi sociali dei Comuni e i servizi delle aziende sanitarie, dichiarano di riconoscere il caregiver familiare quale elemento cardine della rete del welfare, per cui si impegnano ad assicurare sostegno e affiancamento a queste figure. Per farlo, in seno di programmazione sociale, socio-sanitaria e sanitaria, vale a dire nei piani di zona distrettuali per la salute e il benessere sociale, si sono messi in ascolto delle rappresentanze, ovvero degli enti del terzo settore di categoria.

Dopo confronti, aggiustamenti, rinnovate consapevolezze, si è arrivati a fornire ai caregiver familiari, servizi di formazione per espletare al meglio il lavoro di cura, attivazione di reti solidali e gruppi di auto mutuo aiuto per il supporto psicologico, piani d’azione da attuare in situazioni di emergenza personale/assistenziale, azioni di sollievo programmate, supporto economico nelle forme previste dalla normativa in tema di non autosufficienza (l’assegno di cura o gli interventi economici per l’adattamento domestico) e, in ultimo, visite domiciliari nei casi in cui l’assistito sia impossibilitato a spostarsi.

Far figurare nero su bianco questi servizi quali diritti del caregiver, non è stato semplice, trattandosi di una figura che nel primo comma dell’articolo 2 del disegno di legge n. 2266 veniva definita: “Persona che volontariamente, in modo gratuito e responsabile, si prende cura di una persona non autosufficiente”. La riduttiva quanto imprecisa enunciata volontarietà del servizio, fa sì che in Italia non esista un dato ufficiale per monitorare l’incidenza del fenomeno. Non essere visti vuol dire non esistere, agli occhi della legge. Solo di recente, la legge regionale 24 febbraio 2023, n. 8 del Friuli Venezia Giulia, ha integrato e aggiornato la definizione, parlando di riconoscimento del “valore sociale ed economico dell’attività di assistenza e cura non professionale e non retribuita prestata nel contesto familiare”. Attività di cura assistenziale, non mero volontariato.

Dati sottostimati di un’indagine Istat del 2018, contano più di 2 milioni di persone che si prendono cura di familiari non autosufficienti; e circa 646 mila persone che contemporaneamente accudiscono anche minori o più di un familiare non autosufficiente.

Ante litteram, l’Emilia Romagna è stata la prima Regione in Italia ad adottare una legge dedicata al caregiver, nel 2014. L’assessore regionale al welfare, Igor Taruffi ne parla al convegno dedicato al caregiver, tenutosi il 25 marzo 2023 a Fusignano, orgoglioso dei traguardi raggiunti seppur consapevole di quanto ancora ci sia da fare per entrare completamente a regime: “La legge regionale si è inserita nel tracciato che vede spesso l’Emilia Romagna apripista su tanti temi, questo è un motivo di orgoglio. Dal 2014 a oggi alcune cose sono andate bene, altre devono essere risolte. La legge deve essere completamente attuata, abbiamo bisogno di risolvere alcune criticità. Dalla lettera bisogna passare alla pratica”.

La legge approvata all’inizio del Duemila, “Norme per il riconoscimento e il sostegno del caregiver familiare”, portò un importante nodo al pettine, ovvero tracciare una definizione. Da quell’anno, se ne dovranno attendere un altro paio, prima di avere nel marzo 2016 il disegno di legge n. 2266: nove articoli, la “Legge quadro nazionale per il riconoscimento e la valorizzazione del caregiver familiare”, con la firma dal senatore Angioni.

Ciononostante, in assenza di una legge nazionale che regoli il riconoscimento dei diritti e dia una risposta efficace e univoca ai bisogni dei caregiver, la situazione attuale risulta “disomogenea e porta inevitabilmente a disparità di trattamento”, commenta Annalena Ragazzoni, presidente associazione Gafa, Gruppo assistenza familiari Alzheimer, di Carpi e consigliera dell’associazione Alzheimer Emilia Romagna.

Sebbene tracciare un profilo dell’assistente familiare aiuti in questo percorso normativo ancora in essere, non però è verosimile poter “incasellare” una figura così poliedrica in una sola definizione. Difatti, assistere una persona anziana non è equiparabile al servizio di assistenza a una persona con disabilità, come afferma Barbara Bentivogli, presidente di Anffas Emilia Romagna: “La legge regionale del 2014 è nata pensando ai caregiver di anziani perché si tratta della stragrande maggioranza. Ma il caregiver della persona anziana è “a tempo”, rispettivamente all’aspettativa di vita, mentre il caregiver della persona con disabilità lo è a vita e lo passerà ai familiari. Qualcuno dovrà sempre esserci. È una preoccupazione e un’occupazione ereditaria: io ho educato mio figlio a occuparsi di mia sorella”.

Il caregiver familiare di una persona con disabilità spesso si ritrova davanti a moduli da riempire nei quali gli si chiede: “Vi capita di sentirvi imbarazzati dal comportamento del vostro familiare in pubblico?”. Appare evidente come test del genere si basino su un estratto della scheda “ZaritBurdenInterview (ZBI)”, uno strumento pensato più per chi assiste persona con demenza, che disabilità.

Continua la presidente di Anffas: “Quello che chiediamo alla Regione, rispetto al caregiver, è che oltre agli anziani, si parli di caregiver di persone con disabilità anche nella discussione attualmente in corso sulla revisione dell’accreditamento dei servizi. Una delle questioni che ci auguriamo di affrontare in futuro, come Anffas regionale, è lo sdoppiamento della scheda perché il caregiver di persona disabile ha altri bisogni, non sono condizioni equiparabili”.

Inoltre, secondo la normativa vigente, si è riconosciuti come caregiver familiari e di conseguenza si può beneficiare di alcune agevolazioni se l’assistenza a una persona con disabilità grave o gravissima (ai sensi della legge 104/92 art. 3 comma 3), è gratuita e continuata e fornita esclusivamente da familiari diretti, che è lo stesso assistito a nominare.

A questo proposito, è Carlo Giacobini, direttore dell’agenzia Iura, agenzia per i dei diritti delle persone con disabilità, a dare uno sguardo sulla problematicità nel normare una condizione che varia da un soggetto all’altro: “La disabilità gravissima? Dipendenza vitale dall’assistenza: se la persona viene lasciata sola anche per dieci minuti, è a rischio di vita. Questo è ciò che intende la legge. Il decreto parla di dipendenza vitale, ma è estremamente restrittivo”. 

La proposta delle associazioni di categoria del terzo settore, tra cui Anffas, è arrivata chiara e precisa a luglio del 2020, presentata all’undicesima commissione permanente Affari sociali del Senato, durante le audizioni sul disegno di legge n. 1461, con il titolo: “Disposizioni per il riconoscimento e il sostegno del caregiver familiare”. Un intervento legislativo è quanto più urgente, affinché si costruisca un chiaro e accessibile sistema integrato di supporti, sostegni e servizi a chi assiste il proprio caro, per alleviare il carico ed evitare di incorrere in casi di mancata autorealizzazione professionale o personale e sacrificio dei propri spazi.

Come sostiene chi nel terzo settore opera e parla direttamente ai caregiver familiari ogni giorno, c’è una lista di diritti da esigere: i servizi offerti dalle Ausl, dai servizi sociali a livello territoriale, sono presenti ma non intercettano direttamente i soggetti ai quali essi sono dedicati. Le agevolazioni, i fondi stanziati, devono essere affiancati e supportati a monte da servizi di sollievo al caregiver familiare che però vanno ancora completamente attuati.

Garanzie sulla continuità assistenziale, non aiuti a spot. Serve potersi fidare del personale competente al quale si affida il proprio caro. Serve consapevolezza e una spinta per chiedere aiuto, chiederlo per avere modo di prendere la famosa boccata d’aria.

Attualmente i dati dimostrano quanto il peso della responsabilità che porta con sé questo ruolo, porti conseguenze concrete. L’associazione italiana malattia di Alzheimer Reggio Emilia Odv (Aima), ha condotto un’indagine che aiuta a comprendere quanto questa sindrome porti a sconvolgere le vite di chi assiste il familiare: oltre il 66 per cento dei caregiver si trova a dover abbandonare il lavoro, un 10 per cento di loro richiede una riduzione oraria (part-time) e altrettanti optano per una mansione lavorativa meno impegnativa.

Si tratta di persone come Lorena, che si è trovata a chiedere di lavorare completamente da remoto per assistere giorno e notte la zia dell’ex marito, che convive con una disabilità grave. Era ancora sposata quando si è assunta questo compito, un impegno che non prevede giorni liberi o turni: “Se c’era un matrimonio, io andavo alla funzione in chiesa, lui al ricevimento. Non avevamo più una vita insieme, tutto girava attorno a lei”. Il risultato? La separazione, il trasferimento della “zia acquisita” a casa propria, e la scelta di lavorare da remoto per assisterla ininterrottamente.

La legge 104/92 prevede permessi per i lavoratori dipendenti pubblici e privati se genitori, familiari, conviventi di persona disabile grave, con specifica certificazione di handicap dall’apposita commissione operante in ogni azienda Usl. Tra queste agevolazioni, figura anche il telelavoro, una soluzione che appare perfetta ma che va ad aggravare il fenomeno dell’isolamento: “La vita sociale non so più cosa sia, attorno a me si è creato il vuoto. Non mi posso confrontare con gli amici, non sanno cosa si vive, non possono darmi un consiglio realistico”, commenta ancora Lorena, “mi sono sentita isolata, ho dovuto trascurare persino la mia salute, quando sarei dovuta rimanere a riposo, in convalescenza dopo un intervento all’addome. Ma non posso permettermi di ammalarmi”. Una questione ostica destreggiarsi tra incombenze dell’assistenza quotidiana e le responsabilità: “Mi sento un fardello addosso: la responsabilità nel prendere decisioni per lei, il timore di non fare abbastanza, di sbagliare, nonostante io agisca in buona fede”.

La frustrazione nel vedere che la vita che scorre via, una vita in cui è il proprio caro la priorità. Appare imprescindibile e non rinviabile, aumentare la resilienza attraverso strategie implementative. Il messaggio che deve attecchire è che prendersi cura di sé non va in antitesi al ruolo da caregiver, come sostiene il sociologo e docente ordinario all’università di Bologna, Antonio Francesco Maturo. A ciò si aggiungono la capacità di saper chiedere aiuto, di riconoscere, stimare e apprezzare ciò che si fa. Spesso chi è caregiver lamenta fatica, stress, sovraccarico di incombenze, ma a fatica è disposto a mollare. L’abitudine nel doversi occupare di tutto fa sì che l’idea di delegare diventi improbabile. Per questo motivo, i gruppi di auto-mutuo aiuto hanno il grande potere di sostenere le persone. Con essi, la schiera di servizi al caregiver che dovrebbe diventare capillare, attraverso un sostegno strutturato e strutturale alle associazioni.

Lo sa bene Sabina, mamma che si definisce “battagliera”, e assiste la figlia Sasha, affetta da lesione cerebrale e sordità fin dalla nascita, dandole allo stesso tempo gli strumenti per affrontare la vita come tutte le altre ragazze della sua età. Sabina e Sasha vivono a Reggio Calabria, in periferia, là dove i servizi di assistenza al familiare, di supporto alle incombenze del caregiver, faticano ad arrivare: “I pochi servizi che eroga lo Stato, in periferia non arrivano. L’assistenza a casa di sole tre ore o il trasporto per le visite mediche, li ho ottenuti dopo tantissime dure lotte”.

Al suo fianco da tanti anni, l’organizzazione di volontariato Ge.di. (Gruppo genitori disabili Odv), che si propone di aiutare a superare i rischi o le conseguenze dell’emarginazione, offrendosi come punto di riferimento, di confronto e di sostegno per tutte le famiglie che si trovino ad affrontare i problemi connessi alla quotidianità delle persone disabili. Avere un punto di riferimento è stato vitale per Sabina, che afferma: “Mi sono sentita molto sola all’inizio: per un anno non sono uscita di casa, non sopportavo la visione dei bambini che camminavano. Non è stato facile elaborare la cosa, ma per fortuna ho incrociato persone che mi hanno aiutata. Negli anni mi sono forgiata, ho creato una corazza, sono diventata una battagliera”.

Battaglieri, guerrieri, persone forti: epiteti ricorrenti per definire un o una caregiver familiare. Un esempio per tutti: mamma Sabina, che quando ha vissuto la tragica perdita del marito in giovane età, o quando ha lottato contro una grave malattia, ha comunque anteposto il benessere della figlia che assiste: “Piangevo di notte, urlavo… ma davanti a lei cercavo di mascherare la mia sofferenza, per non generare in lei un trauma nel vedermi diversa. Anche lì ho pensato prima a lei”. 

Nel gestire questa intricata matassa, una delle domande più ricorrenti che un caregiver si pone è: “Sarò in grado?”. E nel tentativo di rispondere affermativamente, ci si informa, si chiama, si digita qualche parola sui motori di ricerca online e spesso ci si ritrova davanti a organizzazioni di volontariato pronte a tendere la mano. Amici di casa insieme Odv, di Cesena ha dato quelle risposte a Susy, che otto anni fa si è trovata a occuparsi del padre: “Quando le risposte che potevo avere dai servizi sociali non sono più bastate, mi sono guardata attorno e ho cercato su internet, come fanno tutti. Così, ho trovato Amici di casa insieme Odv e ho telefonato. La risposta ai miei quesiti è stata immediata e rassicurante, ho capito che quello era il sostegno su misura per mio padre, viste le sue esigenze. Insieme a mio padre, ho ricevuto sostegno anche io”.

Quando si è caregiver familiare si vive perennemente in uno stato d’ansia, ci si deve convincere che non succederà nulla di grave mentre non si è lì con il proprio caro e diventa fondamentale avere supporto da persone competenti, delle quali potersi fidare ciecamente.

Roberta Osti, coordinatrice di Amici di casa insieme Odv, che rispose alla telefonata della caregiver familiare Susy, sottolinea l’impegno della sua associazione nell’alleviare il carico sulle spalle di chi assiste: “Si vuole dare, con maggiore forza rispetto agli anni passati, risalto e importanza alla figura dei caregiver, offrendo loro l’opportunità di avere degli spazi di ascolto e di supporto in cui esprimere liberamente i propri bisogni e vissuti emotivi. Sono attivi infatti progetti di consulenza e corsi di formazione a loro riservati”. La missione continua con la lotta all’isolamento di assistito e assistente, organizzando ad esempio vacanze di gruppo per permettere ai caregiver di socializzare e allo stesso tempo di non “abbandonare” il proprio caro. Il caregiver vive così, in un precario equilibrio, nel tentativo di incastrare impegni e incombenze, sguardo fisso sull’altro.

Che si parli di riconoscimento del ruolo o dei servizi da erogare, il mondo dell’associazionismo intende lottare affinché si costituisca un fondo nazionale che dia modo di fornire soluzioni diversificate e specifiche: accesso ai servizi di sollievo, riconoscimento economico e previdenziale, assicurazione e finanziamento ai sistemi di sostegno informale degli enti del Terzo settore. Maturare la consapevolezza che essere caregiver non è spesso una scelta ma la risposta a una necessità, e per questo motivo imparare come chiedere aiuto, quali aiuti esigere e a chi richiederli. Caregiver familiare è anche chi si abitua a indossare una maschera, per apparire sempre invincibile. Spesso si tratta di battaglieri mascherati, ma inconsapevoli: per questo uno degli imperativi per il futuro è diramare consapevolezza della condizione attraverso l’informazione, il punto zero della missione di integrazione del servizio di supporto.

Ci sono i sintomi di un buon inizio: un esempio è il disegno di legge (ddl 506) approvato dal Consiglio dei ministri a fine gennaio 2023, presentato in origine dal premier Draghi, che introduce deleghe al governo in materia di politiche in favore delle persone anziane. Tali misure dovranno essere adottate entro il primo marzo 2024 e dovranno dare il via a una riforma per il riordino, la semplificazione e il potenziamento del sistema dell’assistenza alle persone anziane fragili e non autosufficienti, e di riflesso, comportare un sollievo sensibile ai caregiver, tutto questo in linea con il Pnrr (Piano nazionale di ripresa e resilienza).

Disegni di legge, provvedimenti e riforme datate 2023, impegni “nero su bianco” per gli anni a venire: segnali che fanno intendere e sperare in un percorso in evoluzione, l’evoluzione dei diritti di chi si occupa dei malati. La strada è sì in salita, prevede incroci pericolosi e tratti sdrucciolevoli, ma il panorama di servizi e diritti che andrà a supportare i caregiver familiari di domani, sarà mozzafiato.

I volontari e le volontarie di Caffè Alzheimer Milano © caffè alzheimer

TI POTREBBERO INTERESSARE