di Clara Capponi – 5 giugno 2023

Un “Manifesto” per rilanciare e proiettare nel futuro i Csv

 Fare bene insieme: la proposta dei Centri di servizio per lo sviluppo della capacità organizzativa, dei rapporti con nuove forme di attivismo, per la maggiore collaborazione con istituzioni e imprese, e la connessione di esperienze tra appartenenze diverse

Nel mondo dell’arte con i “manifesti” gli artisti esprimono la forte tensione verso il nuovo, annunciano un cambiamento radicale, celebrano il progresso e la dinamicità.

Ed è proprio la forma del “manifesto” quella scelta dai Centri di servizio per il volontariato per rilanciare e proiettare verso il futuro oltre venticinque anni di attività a supporto del volontariato.

Sulla carta sembrava quasi impossibile distillare in una manciata di concetti un anno e mezzo di incontri e centinaia di ore di ascolto e rielaborazione su come cambiare il modo di sostenere le tante espressioni di cittadinanza attiva che milioni di organizzazioni mettono in pratica ogni giorno.

La sfida affrontata in questi mesi da Csvnet, la rete che riunisce e rappresenta i Csv, è stata quella di coinvolgere in questo processo tutti gli attori- presidenti, consiglieri, dirigenti e operatori dei 49 centri di servizio -chiamati a riflettere – ognuno con i propri vissuti, pensieri, punti di vista -per immaginare un ruolo diverso per il sistema. Un ruolo che veda i Csv come animatori delle comunità, a partire dalla costruzione di nuove strategie per accompagnare lo sviluppo delle associazioni e supportare quel movimento di persone che quotidianamente contribuiscono alla tenuta sociale del Paese.

“I Csv come agenti di sviluppo del volontariato. Un Manifesto per fare bene insieme” è il titolo del documento programmatico esito di questo percorso, che fissa i principi individuati dai centri come necessari ad aprire una nuova stagione di cambiamento che riguarda non solo il volontariato o i centri di servizio, ma la società intera. Gli otto punti del manifesto, presentato a Firenze lo scorso febbraio e disponibile sul sito di Csvnet (www.csvnet.it) mettono nero su bianco alcune priorità, come lo sviluppo delle capacità organizzative delle associazioni, il potenziamento del rapporto tra volontariato organizzato e nuove forme fluide di attivismo; la promozione delle forme di collaborazione tra volontariato, istituzioni e imprese; la capacità dei Csv di connettere da Nord a Sud esperienze, storie e appartenenze diverse.

“Siamo partiti da una rilettura dei bisogni delle organizzazioni e approfondito i temi che caratterizzano la loro azione – spiega Chiara Tommasini, presidente di Csvnet. “Dal confronto aperto con tutti sono emerse alcune sfide importanti. La prima è di accrescere le capacità delle associazioni per fare in modo che sviluppino il proprio potenziale organizzativo e siano capaci di gestire sempre di più e meglio le risorse a disposizione creando valore aggiunto e in ottica di sostenibilità”.

“Un altro tema cruciale – prosegue Tommasini– è quello di ridare un nuovo protagonismo al volontariato quale movimento che rivitalizza il tessuto sociale promuovendo prossimità e tutela dei diritti”.

“Dopo una storia costruita con tanti anni di lavoro sul campo e con i profondi cambiamenti sociali che caratterizzano questa fase storica, abbiamo sentito il bisogno di darci una bussola orientata su obiettivi generali, che ci aiuterà a guidare questa fase di passaggio” conclude la presidente di Csvnet.

Un cambiamento che, nei fatti e nelle pratiche quotidiane, è già in atto. Fin dalla loro nascita negli anni ‘90, che coincidono con la stagione d’oro del volontariato, e grazie al finanziamento delle fondazioni di origine bancaria, il sistema dei Csv si è messo al servizio delle esperienze di volontariato introducendo attività di ogni tipo: dalla formazione al supporto tecnico amministrativo, iniziative culturali, di co-progettazione, di ricerca.

Ma oggi più che in passato emerge la necessità, da parte del volontariato stesso, di essere più sostenuto per continuare a esprimere un impegno forte sui territori. Nei focus group realizzati in questi mesi, direttori e presidenti dei Csv hanno fatto emergere come la riforma del Terzo settore abbia appesantito le organizzazioni, soprattutto le più piccole o poco strutturate, che chiedono ai centri un accompagnamento sempre più qualificato per orientarsi negli adempimenti normativi. La pandemia ha poi messo in crisi parte dei nostri sistemi relazionali e sociali chiamando il volontariato a far fronte alle nuove emergenze in un contesto caratterizzato da forme di impegno sempre più fluide e meno articolate che hanno fatto la differenza durante i periodi più acuti dell’epidemia da Covid-19. Al contrario le organizzazioni più strutturate sono uscite dalla crisi ulteriormente indebolite, fiaccate soprattutto, oltre che dal calo delle risorse, da un insufficiente ricambio generazionale e una scarsa attrattiva nei confronti dei giovani.

Si tratta di “una tempesta perfetta” come sottolineato da uno dei direttori coinvolti nel lavoro dedicato alla nuova vision – che apre a una serie di orizzonti sfidanti.

Uno di questi riguarda l’importanza di lavorare sui servizi offerti dai centri in ottica evolutiva, contestualizzando la semplice erogazione fornita alle realtà associative in un quadro più ampio di sinergia fra tutti i Csv e con gli attori che animano il territorio.

La chiave per assumere concretamente il ruolo di agenzia di sviluppo del volontariato sta nel favorire processi partecipativi, di amministrazione condivisa di co-programmazione e co-progettazione, in un continuo scambio di competenze e di metodi di lavoro fra i centri.

La formazione è uno dei banchi di prova principali di questa evoluzione, perché la crescita delle competenze di enti e volontari è motore di cambiamento, oltre al fatto che quello formativo è un ambito in cui i centri di servizio riescono ad attivare progetti innovativi e con un alto tasso di sperimentazione.

È il caso di Alveare Csv formazione, un programma nazionale, gratuito e destinato a volontarie e volontari di tutta Italia, che attraverso la piattaforma Gluo (www.gluo.org) possono accedere a percorsi formativi promossi dai centri di servizio.

Alle spalle di tutto il progetto c’è l’esperienza del Csv del Friuli-Venezia Giulia che ha progettato la piattaforma Gluo nel 2020, proprio a ridosso del lockdown, con l’idea di applicare al volontariato i principi dell’economia della condivisione e mettendo le associazioni in rete per scambiare proposte formative –ma anche spazi e attrezzature – in modo gratuito.

Grazie alle opportunità offerte dalla pandemia, che ha favorito l’utilizzo delle nuove tecnologie, e il coinvolgimento di Csvnet che ha sostenuto il progetto fin dall’inizio, anche altri centri di servizio sono saliti a bordo, mettendo a disposizione proposte formative strutturate per tutti i volontari attivi sulla piattaforma anche al di fuori del proprio territorio di riferimento.

Solo nel 2022, primo anno di sperimentazione di Alveare Csv formazione, sono stati oltre duemila i volontari formati, grazie al coinvolgimento di oltre 26 Csv e più di 200 ore di formazione erogate.

Così uno strumento digitale ha contribuito a raggiungere risultati concreti, arricchendo non solo chi riceve ma anche chi offre e favorendo, attraverso lo scambio, un utilizzo più efficiente delle risorse a disposizione.

Tra i punti qualificanti della nuova vision dei Csv c’è anche l’attenzione alle forme emergenti di volontariato, nuove modalità di cittadinanza attiva informali che “manifestano senso di cura e prossimità” – come riporta il Manifesto – e se riconosciute accompagnate, con il sostegno dei centri, “possono diventare risorsa di comunità che cresce nel tempo”.

Un fenomeno che i centri studiano da tempo e che in diversi territori contribuiscono a sostenere e valorizzare con attività di informazione e orientamento ai cittadini interessati a svolgere attività di volontariato, creando occasioni di incontro e di scambio e promuovendo in generale la cultura della partecipazione attiva nella società. Fra le questioni aperte su cui il sistema dei centri si sta interrogando c’è proprio la necessità di capire come intercettare queste esperienze, aiutando i cittadini a non disperderle e a metterle a sistema per il benessere di tutta la comunità.

“Legato a questo fenomeno c’è un certo aumento della disintermediazione tra volontariato individuale e bisogno sociale”, a spiegarlo è Claudia Ponti, direttrice di Csvnet Lombardia intervenuta a Firenze lo scorso 27 gennaio in un workshop dedicato proprio al tema del volontariato fluido, durante l’evento presentazione del Manifesto. In questi anni i Csv della Lombardia hanno osservato da vicino il fenomeno delle forme di partecipazione sociale, costruendo nel tempo, attraverso modalità di ricerca-azione, una sorta di mappa delle varie tipologie di solidarietà che animano i territori lombardi. Secondo quanto osservato dai Csv lombardi, questo tipo di attivismo si manifesta sotto forma di gruppi di cittadini aggregati in forme leggere e orizzontali – ad esempio i comitati di quartiere, gruppi di acquisto solidale, reticoli di famiglie – spinti dalla voglia di aiutarsi reciprocamente per rispondere a bisogni specifici del proprio territorio o per agire su temi più mobilitanti (denuncia, tutela dei beni comuni o dell’ambiente). Ci sono poi cittadini che scelgono di attivarsi individualmente senza aderire a una forma organizzativa specifica, come i giovani che si sono messi in gioco durante il lockdown, o per progetti specifici come il volontariato nei grandi eventi.

“È come se le persone, non riconoscendosi nelle forme associative classiche, preferiscano cercare un approccio diretto di risposta al bisogno” – spiega Claudia Ponti. “Questo però può provocare una possibile dispersione del patrimonio di esperienze, competenze e capacità di sperimentare che maturano nelle organizzazioni di volontariato”.

Diverse quindi le sfide aperte su cui i centri dovranno misurarsi, che non riguardano solo come intercettare queste forme fluide dalla forte connotazione territoriale, fatta di persone che si riconoscono più come cittadini attivi piuttosto che volontari. Come, ad esempio, sostenere le forme di partecipazione dettate dalla spinta emozionale, spesso collegata a temi mobilitanti piuttosto che ai bisogni quotidiani delle comunità e in ultimo, ma non meno importante, la necessità di mettere in campo processi di collaborazione e cooperazione tra mondi diversi con le organizzazioni, i servizi, le istituzioni, valorizzando l’apporto specifico del volontariato. Gli ultimi anni di forte crisi economica e sociale e di frantumazione del welfare hanno chiamato il terzo settore ad agire sempre di più in rete attivando meccanismi capaci di mettere insieme risorse culturali, oltre che economiche per mettere in campo nuove progettualità. Anche questa sfida, fra i punti del Manifesto, vede già degli esempi concreti e progettualità avviate da diversi Csv, in modo particolare sul tema dei beni comuni. Un esempio è il Catalogo delle buone pratiche di riuso sociale dei beni confiscati, il progetto realizzato dal Csv di Caserta grazie al protocollo d’intesa con la rete degli enti locali Avviso pubblico, in collaborazione con Labsus e diverse realtà locali. Si tratta di un portale online in continuo aggiornamento (benicomuni.csvassovoce.it) che ad oggi censisce oltre 130 esperienze realizzate da oltre 100 fra organizzazioni, enti locali, cooperative, che lavorando in squadra hanno riportato in vita spazi sottratti alla camorra oppure abbandonati, ora destinati ai giovani, per il sostegno di persone fragili o come orti urbani. Oltre alla mappatura il progetto mette a disposizione anche una serie di strumenti per rendere replicabile il modello del catalogo anche su altri territori, a dimostrazione di quanto il terzo settore e il volontariato mettendosi in rete con le istituzioni e gli attori delle comunità, possano produrre interventi ad alto tasso di innovazione sociale.

Una volontaria all'opera nel centro d'accoglienza migranti a Milano © Marco Garofalo

TI POTREBBERO INTERESSARE