di Marco Travaglini – 14 marzo 2022

Volontariato in erba

 La sostenibilità il tema del momento. La ricognizione dei Csv per verificare se l’attenzione all’ambiente si sia tradotta in impegno civico

Il 5 novembre 2021, nella città scozzese di Glasgow, iniziava la Cop26, la Conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici. In concomitanza 100mila ragazzi sono scesi in piazza per chiedere alla politica azioni concrete per contrastare il fenomeno. Negli ultimi tre anni, la sensibilità degli italiani sulle questioni ambientali è aumentata, come dimostra il sondaggio di Demopolis pubblicato a novembre 2021, per cui il 53% del campione dichiara di essere più attento alle questioni ambientali, l’88% di aver sentito parlare di Greta Thunberg e dei Fridays for Future e il 60% ne valuta positivamente l’impegno.

L’interesse per le questioni ambientali sembra tradursi in un impegno concreto. L’ultimo Censimento sulle Istituzioni Non
Profit pubblicato dall’Istat a ottobre 2021 e relativo all’anno 2019, rileva 5.930 associazioni di volontariato attive sul territorio nazionale impegnate nell’ambiente come settore principale, un +8,2% rispetto all’anno precedente che posiziona le organizzazioni di questo settore tra quelle che hanno conosciuto la crescita più significativa. In crescita anche il numero del personale dipendente, con 2.165 unità complessive, +2% rispetto al 2018.

I Centri di Servizio per il Volontariato rappresentano un osservatorio privilegiato rispetto al costituirsi di nuove associazioni e
in alcune regioni si inizia a inquadrare il fenomeno, come emerge nella panoramica relativa agli anni 2020 e 2021. In Liguria, sulla base dei dati in possesso del Celivo, il Centro di Servizio di Volontariato per la città metropolitana di Genova, sono nate tre nuove Aps, Associazioni di Promozione Sociale, con focus sull’ambiente e costituite in maggioranza da giovani. Una di queste è The Black Bag, attiva a Genova con i suoi sacchi neri per ripulire le spiagge.

L’idea è nata nel 2019 dalla storia su Instagram di Andrea Canepa, 24 anni e oggi presidente dell’associazione che raduna un nutrito gruppo di ragazzi in città e a livello nazionale, facendo rete con altre organizzazioni che hanno volontari ancora più giovani. Per loro, fare questo tipo di attività “aiuta a stare bene, sentirsi utili e appagati, anche se alla fine di una giornata di pulizia siamo distrutti, sporchi, con la schiena rotta e le mani massacrate”.

Ritengono che una corretta informazione possa smuovere le coscienze ed educare a vivere nel rispetto dell’ambiente. Il loro motto è “l’azione come strumento di sensibilizzazione”, spiegare per generare cultura nella comunità e produrre il cambiamento. Csv Polis, analogo Centro attivo nelle province di Savona e Imperia, riporta una forte crescita di associazioni che si occupano di cani e gatti, la recente ricostituzione di un circolo di Legambiente a Savona e l’intensa attività a Sanremo dell’associazione I Deplasticati, animata da giovani volontari. Inoltre, riscontra l’inserimento di attività focalizzate sulla tutela dell’ambiente, in associazioni di altri ambiti, in particolare in quelle che si occupano di disabilità, e la forte capacità attrattiva per i giovani delle associazioni di Protezione Civile, cui si riconosce un ruolo fondamentale per la tutela ambientale, a partire dalla pulizia di sentieri e alvei.

In Piemonte, VolTo, il Centro di Servizio per il Volontariato di Torino conta sei nuove associazioni green. Il Centro Territoriale per il Volontariato di Biella e Vercelli nota come di recente, anche associazioni con una mission non rivolta alla protezione ambientale, abbiano avviato iniziative di sensibilizzazione sul tema o di informazione rispetto al riciclo e all’economia circolare. In Veneto, il Csv di Padova indica tre nuove associazioni del settore. Il Csv di Vicenza riscontra due nuove OdV e l’incremento di nuovi volontari giovani iscritti in associazioni già esistenti. Il Csv Trentino rileva una nuova tendenza nel fatto che undici organizzazioni a Trento e provincia abbiano presentato una progettualità specifica sul tema della sostenibilità.

In Emilia Romagna, l’indagine “CSVxFuture” condotta nel 2021 dal Csv Terre Estensi su un campione di 1.300 studenti di Ferrara, Modena e Sassuolo, ha evidenziato come l’ambiente sia il tema di maggiore interesse e per il quale si chiedono con urgenza risposte. Il Csv della provincia di Forlì-Cesena indica quattro nuove realtà associative e VolontaRimini ne conta sei.

In Toscana, il Cesvot, pur rilevando un gran numero di enti che si occupano di ambiente sul territorio regionale, non ne riscontra un’importante crescita. Il Csv Abruzzo segnala due nuove Aps di carattere ambientale, composte in prevalenza da trentenni, la presenza di movimenti informali ispirati ai Fridays for Future e la costituzione di un gruppo Plastic Free, organizzazione di volontariato con l’obiettivo di informare e sensibilizzare sull’uso della plastica, in provincia dell’Aquila, molto attivo nell’organizzazione di giornate ecologiche e incontri di sensibilizzazione nelle scuole. Ecologia, aggregazione, inclusione, solidarietà sono le quattro pa role che campeggiano nel sito de Ju Parchetto Con Noi.

Mirko Ludovisi, presidente dell’associazione aquilana, aveva 14 anni quando lui e i suoi amici vengono privati della possibilità di utilizzare il parco, prezioso punto di incontro nella dispersione generale causata dal terremoto del 2009. Da lì nasce spontaneo un gruppo di giovanissimi con la volontà di attirare l’attenzione sull’importanza di questi spazi. Nel 2018 si costituiscono in associazione dedicata all’ambiente in quanto tema capace di mettere in relazione tutti. “Non c’è nessuna scusa per dire che l’ambiente non mi piace – afferma Mirko – riguarda tutti. Ci battiamo affinché il rispetto dell’ambiente sia un punto chiave della vita di ognuno, giovane, anziano o adulto”.

Nel corso della sua attività, Ju Parchetto Con Noi ha organizzato 22 giornate ecologiche coinvolgendo centinaia di volontari di tutte le età. “Mi fido di noi – dice il presidente – se non ci fermiamo qualcosa di buono riusciamo a farlo. Anche se i grandi del mondo non si mettono all’opera, è bene sapere che dietro di loro ci siamo noi, associazioni del mondo intero, che possiamo fare qualcosa”. In Puglia, il Csv Brindisi Lecce individua sei nuove realtà associative, con presidenti e soci tra i 25 e i 45 anni. Il Csv di Foggia segnala la forte la presenza di realtà informali ambientaliste che operano nella pulizia e nel riciclo delle plastiche.

In Calabria, il Csv di Cosenza conta sette nuove associazioni che svolgono attività di salvaguardia e protezione dell’ambiente e che hanno come obiettivo la sensibilizzazione sui temi del cambiamento climatico con il coinvolgimento delle scuole del territorio. Quattro sono costituite interamente da giovani. In Sicilia, il Csv Etneo indica quindici nuove associazioni appartenenti al settore ambiente tra le province di Catania, Enna, Ragusa e Siracusa. Il Cesv Messina evidenzia in particolare le esperienze dell’associazione Puliamo Messina e del gruppo informale MessinaAttiva, quest’ultimo nato grazie all’iniziativa di giovani con l’obiettivo di sensibilizzare e mettere in pratica azioni mirate alla salvaguardia dell’ambiente, al rafforzamento del senso di appartenenza alla città e ad essere da stimolo a chi amministra la cosa pubblica, soprattutto in materia di gestione dei rifiuti.

IL FERMENTO È REALE. MA GLI ADULTI NON FANNO CIÒ CHE I GIOVANI CHIEDONO

Intervista a Mattia Lolli, responsabile dei volontari di Legambiente

Mattia Lolli è il responsabile del dipartimento volontariato di Legambiente, l’organizzazione nata negli anni 70 e che oggi conta più di 1.000 gruppi locali, 20 comitati regionali, oltre 100mila soci e sostenitori, circa 30mila classi scolastiche partecipanti a programmi di educazione ambientale, circa 60 aree naturali gestite.

Avete un riscontro sulla crescita della partecipazione nei circoli? “Vediamo anche noi un fermento nel mondo giovanile. Stiamo cercando di accogliere al meglio queste nuove energie e la spinta che sta arrivando”.

Perché molti giovani preferiscono creare nuove associazioni, anche sobbarcandosi in prima persona l’intero iter burocratico, piuttosto che rivolgersi a realtà preesistenti come la vostra? “Le ragioni sono diverse. Da parte nostra occorre fare un po’ di sana autocritica. Le associazioni storiche sono state percepite come qualcosa di stantio e istituzionale: da qui il percorso che stiamo facendo al nostro interno. Altra ragione è il fatto che i giovani non conoscono le nostre realtà: grazie a una ricerca, ci siamo accorti che nella fascia d’età under 35, solo 1 su 5 conosce Legambiente. Ho incontrato studenti che mi hanno chiesto se fossimo della Lega.

Un segnale di come quella fascia d’età sia stata bombardata da altro tipo di messaggi, mentre Legambiente non l’hanno proprio vista. La generazione precedente la conosceva bene. Oggi sono cambiati i canali di informazione: devi essere visibile su Instagram e su TikTok se vuoi incrociare le nuove generazioni. Inoltre, c’è stato un proliferare di nuove realtà molto forti in ambito comunicativo: penso ai collettivi Plastic Free che riescono a coinvolgere centinaia di ragazzi in attività analoghe a quelle che noi conduciamo da quarant’anni.

Non dobbiamo prendercela con queste realtà, ma capire come raccogliere la spinta. Forse basterebbe solo un approccio più semplice: l’iter burocratico per aprire i nuovi circoli è lungo, al contrario, spesso è sufficiente inviare un’email per entrare nella rete di questi collettivi. Le persone che cercano un impegno più strutturato, per cimentarsi in percorsi progettuali o anche lavorativi, alla fine arrivano. Posso portare l’esempio di un comitato di Avellino, nato per protestare sull’inquinamento delle acque e poi diventato circolo di Legambiente. Ci si rende conto che far parte di un’associazione nazionale rappresenta un valore aggiunto”.

In termini di numero di soci Legambiente ha riscontrato un incremento dopo il 2019? “Nel 2019 i soci erano 23.993. Nel 2020 sono scesi a 21.760. La flessione c’è stata con la pandemia, anche perché il tesseramento era organizzato in presenza durante le iniziative. Per il 2021 abbiamo un dato non definitivo, al 19 ottobre, di 22.127 soci, con un incremento del 13% rispetto all’anno precedente. Il dato finale dovrebbe essere vicino ai 27mila. All’interno dei circoli, nel 2021, il 64% degli iscritti è costituito da rinnovi, mentre il 36% è costituito da nuovi soci. In particolare nella fascia 18-35 registriamo una crescita dell’11% rispetto al 2017. Siamo in un trend positivo”.

L’interesse dei giovani è più legato al territorio di appartenenza o ha un respiro globale, vicino ai temi dell’ambiente e del cambiamento climatico? “La spinta iniziale parte da una dimensione più ampia grazie al lavoro dei Fridays. Il fenomeno Greta ha prodotto un’”egemonia culturale” tra le nuove generazioni. Il presidente di Legambiente Stefano Ciafani fa sempre questa battuta: “Prima, se a scuola ti presentavi con la borraccia anziché con la bottiglietta di plastica, sembravi uno sfigato. Ora è il contrario”. Da un certo punto di vista iniziamo però ad interrogarci sul limite di questo approccio. Il rischio è che diventi un po’ sterile. Talvolta sembra che basti condividere un post di Greta per diventare attivista. Noi vorremmo ricondurre il tutto a una dimensione più concreta. Per questo stiamo attivando progetti con le scuole per discutere con i ragazzi di comunità energetiche, scuole a emissioni zero, risparmio energetico, e per analizzare con gli studenti i consumi termici degli edifici.

Un lavoro importante è proprio quello di portare le nuove generazioni a riflettere su come il cambiamento parta dal loro territorio e dalle loro comunità. I social e la comunicazione di massa hanno fatto da detonatore. Questa è una vittoria, ma il cambiamento deve partire dai territori. Altrimenti potrebbe richiedere tempi lunghissimi, tanto da non permetterci di salvarci dalla crisi climatica. C’è molto lavoro da fare da questo punto di vista”.

Quanto dell’attivismo di piazza si traduce in volontariato? “Quel tipo di attivismo ha una doppia valenza: innanzitutto la pressione sulle istituzioni, che non è da sottovalutare. Molto spesso è greenwashing, dietro c’è poco, ma le abbiamo spinte a fare quel poco, cosa non scontata. Inoltre anche l’attivismo di piazza è volontariato: ci sono persone che organizzano assemblee, realizzano icartelli, definiscono il percorso. Poi c’è il riflesso territoriale: a Glasgow siamo andati con i ragazzi coordinatori regionali del progetto Youth4Planet, hanno avuto modo di incontrare altre persone, partecipare a workshop, ad attività di scambio: si sono sentiti parte di un movimento globale. Una tale consapevolezza è capace di darti un’energia incredibile, soprattutto nei momenti difficili, quando ti ritrovi nei piccoli paesini di provincia a partecipare ad assemblee con tre, quattro persone e ti chiedi cosa stai facendo, se davvero stai cambiando qualcosa”.

Quello che sta nascendo tra i giovani in questi anni produrrà qualcosa di incisivo nel lungo termine o si scontrerà con la realtà dei fatti? “Questo scontro in parte sta già avvenendo. La nuova cultura dell’ambientalismo che permea tutti gli strati della società, dall’economia alle istituzioni, è frutto di questo movimento giovanile. Un risultato che è stato portato a casa è l’accountability. A Glasgow sono stati costretti ad ammettere che la conferenza si è chiusa con un accordo poco soddisfacente, un compromesso al ribasso. Senza il lavoro delle associazioni e degli attivisti avrebbero potuto raccontarci qualsiasi cosa. Il rischio con cui ci si va a scontrare è ora quello delle false soluzioni. Abbiamo creato il sito fakenews.legambiente.it per chiarire alcuni aspetti.

Per esempio, oggi stiamo assistendo al grande revival del nucleare e del gas: sta passando la posizione per cui queste fonti rientrano tra le energie pulite finanziabili con la transizione. Negli anni scorsi abbiamo assistito al negazionismo rispetto al cambiamento climatico. Oggi, grazie ai movimenti, c’è una tale consapevolezza che non è più possibile negare nulla. Non abbiamo ancora valutato a fondo l’importanza dei Fridays for Future. Per me si tratta di un nuovo ‘68. Parliamo di ragazzi che si sono ritrovati a discutere nelle loro scuole, durante le assemblee, le occupazioni, le autogestioni, dei report sul clima, delle politiche energetiche del loro Paese. Sono consumatori che un domani rifiuteranno prodotti con l’imballaggio in plastica, consumeranno meno carne, cambieranno i loro fornitori di energia verso società più rinnovabili.

Magari non tutti, ma una fetta sempre crescente. Questo produrrà cambiamenti reali e concreti, anche andando oltre quelle che saranno le politiche, che vengono modellate dalle scelte delle persone. Mi preoccupano i tempi. Questo cambiamento riuscirà ad essere incisivo nei tempi che ci consentiranno di evitare una catastrofe? Un interrogativo a cui pochi hanno la risposta”.

Spesso sembra che siano gli adulti a non voler cambiare abitudini. “C’è un po’ di paternalismo. Noi lo abbiamo chiamato youthwashing: facciamo parlare Greta, i giovani, ma poi non facciamo nulla di quello che ci chiedono. Ci sono inoltre nuovi temi che stiamo cercando di affrontare, come la frustrazione determinata dal fatto che la realtà sembri immodificabile o il fenomeno del climate anxiety.

A leggere i report e le analisi degli scienziati l’ansia ti sale: dicono cose terrificanti. Per un ventenne, leggere che tra trent’anni interi territori saranno invivibili, scompariranno specie, si alzerà il livello del mare, mentre si sente rispondere che non si può fare nulla, determina in lui un’ansia crescente verso il futuro. Stiamo inoltre lavorando sul tema del legame tra giustizia sociale e giustizia ambientale. Spesso i lavoratori sono utilizzati come “scudo umano”, quando si risponde che la transizione ecologica andrebbe a determinare la perdita di posti di lavoro in settori quali quello dell’auto o dell’energia. Al contrario: con una vera transizione questi settori sarebbero in grado di creare anche più lavoro di adesso. Il problema è la volontà di non intaccare dinamiche di profitto.

Sul tema delle energie rinnovabili la questione è imbarazzante: in Italia si continuano a negare autorizzazioni per nuovi impianti eolicie fotovoltaici. Il tema dell’eolico in mare è bloccato per motivi paesaggistici; il che sarebbe anche credibile, se non fosse che il blocco esiste negli stessi posti in cui sono presenti piattaforme petrolifere, anche più vicine alla costa rispetto a dove sarebbero collocati gli impianti eolici. Sembra sia in atto una strategia per ritardare il più possibile lo sviluppo delle rinnovabili, mentre giustificano il caro bollette con la transizione ecologica, non con il fatto che siamo ancora totalmente dipendenti dal gas.

Ora ci stanno invitando tantissimo nelle scuole. Sono le organizzazioni studentesche a chiamarci, anche in contesti informali quali assemblee di istituto e occupazioni. E questo ci fa davvero molto piacere. Per Youth4Planet abbiamo attivato un training rivolto ai nostri referenti sul tema dell’educazione non formale, per poter parlare di clima con strumenti diversi. Anche per superare un limite della vecchia Legambiente: l’ambientalismo deve mantenere un approccio scientifico, ma non troppo accademico e istituzionale. Imparare nuovi linguaggi, nuove modalità più ingaggianti, tese a favorire il protagonismo delle persone che intendi coinvolgere, è fondamentale per tradurre in volontariato e azioni concrete quell’interesse che ormai, a livello culturale, esiste”.

Nell’immagine Volontari dell’associazione The Black Bag, foto © Ludovica Squadrilli

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