di Andrea Fanzago – 12 luglio 2022

C'è chi crede ancora nel Bene comune. Ma serve studiare

 Il Direttore responsabile Andrea Fanzago firma l'editoriale del nuovo numero di VDossier. Il magazine dedica la copertina all'inchiesta sulle motivazioni delle volontarie e dei volontari italiani, tra crisi economica, pandemica, ambientale e bellica

Gli empori della solidarietà aiutano tutti i giorni centinaia di persone che non riescono a sostenere le spese quotidiane. Famiglie che fanno la spesa qui, perché altrove è troppo cara. Ecco, non di rado, queste famiglie poi si propongono di prestare volontariamente il proprio tempo alla struttura.

Chi glielo fa fare?

Hanno già abbastanza problemi, si potrebbe pensare, per mettere insieme i pasti giornalieri e di certo non sono responsabili di una situazione che non hanno causato. Anzi, avrebbero il diritto di ricevere qualcosa come minimo risarcimento a una sorte sfavorevole. Ma sono lì, ad aiutare, a portare il proprio contributo, un modo concreto di restituire, con la propria disponibilità di tempo, un dono prezioso, quanto ottengono dalla generosità altrui. Quasi sempre non possono fare altro ma è già tantissimo ed è difficilmente commensurabile con una quantificazione economica.

È una generazione nata e cresciuta con la crisi: quella finanziaria globale del 2008, quel-la del debito sovrano del 2011, e poi il Covid nel 2020, che prosegue i suoi tristi effetti, sanitari ed economici in questa estate e non sappiamo ancora per quanto durerà, e oggi, la guerra, nel 2022. E sullo sfondo, la catastrofe ambientale che scioglie il futuro nella torrida estate. Qualcuno potrebbe ironizzare, mancano solo le cavallette. No, sono arrivate anche quelle, nella Sardegna arsa in questa estate africana. Stanno distruggendo le campagne e ora si vedono anche nei giardini. Un’invasione iniziata tre anni fa, che si è triplicata l’anno scorso fino a decuplicare quest’anno. Secondo una stima della Coldiretti di Nuoro e Ogliastra a rischio ci possono essere 50mila ettari di terra.

Uno scenario da catastrofe.

Come può un giovane di 22 anni trovare ancora le motivazioni per dedicarsi agli altri, quando il mondo che ha ereditato, e sul quale ha responsabilità minime, gli frana attorno? Questi ragazzi vengono indicati, con le forse inutili generalizzazioni da mass media, come la generazione Z (quelli nati tra la fine del Novanta dello scorso secolo e millennio e i primi dieci anni di questo). Lontani dai nonni, dai boomers, ma anche dai genitori, addirittura dai fratelli e sorelle maggiori della generazione nata tra gli anni Ottanta e il 1996. Nomen omen, si potrebbe dire. Sono proprio gli ultimi, e non solo cronologicamente,
sembra una sorta di condanna anche nel nome.

È ragionevole immaginare le preoccupazioni che attanagliano chiunque -non solo i giovani-, e il fatto che queste possano incidere negativamente sul desiderio di mettersi al servizio degli altri. “Chi me lo fa fare?” Sarebbero ampiamente legittimati a pensarlo, a dirlo e ad agire di conseguenza. E nessuno potrebbe opporre, realisticamente, la minima obiezione a una eventuale presa di distanza dal mondo, a un rintanarsi nelle proprie difficoltà.

Eppure, nonostante questo, registriamo che tanti si mettono in gioco, ogni giorno, ogni sera, in qualsiasi condizione meteo, in ogni angolo dell’Italia, anche in situazioni di crisi economica e sociale profonda. In un quadro di incertezza sul futuro,
c’è chi non demorde. C’è chi continua a credere al bene comune. E non sono solo i “privilegiati” che non soffrono la
crisi, che hanno avuto la fortuna di nascere in famiglie che riescono a non far conoscere loro i problemi del mondo. La spinta civica è viva in questo Paese, e in molti casi l’innesco sta proprio nell’assistere a situazioni difficili in contesti inediti.

Le motivazioni diventano dunque il perno fondamentale dei tempi che viviamo, anche nel mondo del Terzo settore. È un dato quasi tecnico: oggi che si avvicinano i termini di iscrizione al RUNTS ne abbiamo parlato diffusamente su queste paginemolte organizzazioni vedono in questa scadenza il pretesto per chiudere definitivamente. L’incombenza
burocratica rende esplicita la sofferenza motivazionale. Siamo, come Ciessevi, molto preoccupati di questi effetti e manca ancora il completamento fiscale della riforma!

Che è intimamente legata al tema della formazione: il desiderio di fare qualcosa, di “darsi da fare”, oggi richiede preparazione, e non improvvisazione. Questo comporta un surplus di forza, di motivazione, di determinazione. La buona volontà non basta, serve studiare. Studiando, anche nel volontariato, si acquisiscono competenze da spendere
nella vita. Il volontariato è vita, nostra e degli altri, il volontariato nutre il lavoro, le relazioni nutrono la bellezza delle comunità nelle quali viviamo, lo studio nutre la persona. Il dare è ricevere.

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