di Francesco Bizzini – 12 aprile 2022

Quel bellissimo "cablaggio" del tempo donato

 Una storica realtà non profit milanese lancia ai più giovani un questionario-provocazione per riflettere sull'interconnessione tra il tempo "libero" e quello "utile", tra il tempo del dovere e quello dello svago

L’Associazione Il Gabbiano – Noi come gli altri è attiva nel quartiere milanese di Baggio, in prima linea dal 1985 al fianco delle persone con disabilità. Ha da poco lanciato un sondaggio sul tempo dedicato al volontariato: “Il nostro intento – racconta Giampiero Remondini, storico volontario dell’Associazione – è stimolare nei giovani dai 15 ai 25 anni la ricerca del ‘filo invisibile della solidarietà‘, un’immagine che ci è stata evocata dal Cardinale Gianfranco Ravasi in un’intervista che ci concesse tanti anni fa. Con lui si parlava di volontariato e del poco tempo disponibile che in diversi ci davano come ostacolo insormontabile per quella scelta. E allora in quell’occasione gli chiedemmo se ci fosse davvero distinzione tra ‘Tempo libero’ e ‘Tempo utile’. Era un’ovvia provocazione, ma la accettò, andando agevolmente oltre l’ovvio (c’è un tempo per il lavoro e un tempo per lo svago), regalandoci l’immagine del “filo ideale” che questi tempi diversi lega insieme”.

La ricerca, diffusa da pochi giorni nei luoghi di aggregazione frequentati dai giovani, ha già ottenuto una cinquantina di risposte e che l’Associazione pubblica regolarmente sul proprio sito: “Il questionario non si compone di domande alle quali rispondere mettendo una facile spunta. Le ragazze e i ragazzi ci hanno messo testa e questo ci fa piacere perché non era scontato che lo facessero in autonomia, su un tema così complesso. La nostra oltretutto non è stata un’operazione di marketing con un obbiettivo numerico, quantitativo, fatto di analisi di percentuali. Noi vogliamo aiutare questi ragazzi ad avviare una riflessione, quindi, paradossalmente ne sarebbe bastato anche solo uno di ragazzo o ragazza, anzi uno era oro”.

Le volontarie e i volontari giovani sono “merce rara”, soprattutto per il volontariato più storico. Chiamare in causa una platea così giovane è un modo per invitarli a impegnarsi nella vostra struttura? “Assolutamente no.  Il nostro intento non era utilitaristico, anche se nuovi volontari sono sempre preziosi. Primo intento era capire se nei ragazzi più giovani c’è questa disponibilità interiore all’attivazione, se c’è ci siamo chiesti se ne hanno consapevolezza e in terzo luogo dare un piccolo contributo, nel caso non l’avessero già fatto in autonomia, perché la scoprano. Li abbiamo quindi attivati con un intento più culturale, abbiamo lanciato la provocazione del ‘fermatevi a ragionare, poi magari tra dieci o quindici anni, quando ve la sentirete farete volontariato'”.

I primi risultati li commenta Laura Faraone, psicologa dell’associazione: “Abbiamo raccolto una grande consapevolezza del fatto che per stare bene con gli altri, bisogna essere capaci di stare bene con se stessi. E non dimentichiamoci che siamo in un contesto post-pandemico, ove il ripiegare su sé stessi è stato accentuato giocoforza, per persone che in questi due anni sono traghettati all’interno dell’adolescenza. Il bello è vedere come questo pare non l’abbiano però subito, ma piuttosto riletto come opportunità. L’adolescente si riferisce al gruppo dei pari, quindi le loro risposte è normale che siano figlie di una visione ego-centrata: la società e l’altro collimano con il gruppo dei loro pari. Questo però è molto importante perché per esempio come associazione abbiamo lavorato tantissimo con lo Sport come strumento di mediazione all’interno proprio di questi gruppi, inserendo persone con disabilità nelle dinamiche di gioco. E questa dimensione orizzontale, tra pari, innescava tanta complicità, dinamiche di solidarietà ed empatia di gruppo”.

Ma questa riflessione sul tempo è capace di parlare anche agli ospiti della vostra struttura? “Il loro tempo è diverso, nella loro semplicità. E noi accogliamo questa semplicità senza richieste. Una delle nostre regole è che chi viene qua sa che non è richiesta una performance, come a scuola o al centro diurno. Noi qui non chiediamo nulla: possono venire qui, bersi un caffè e leggere un giornale. Ovviamente le attività ci sono, tante, ma non sono forzati al fare qualcosa per essere accettati, lo sono per come sono, senza esami, analisi, percorsi”.

Abbiamo parlato di giovani, abbiamo parlato dei vostri ospiti, ma invece per voi volontari storici e operatori, dove si colloca il vostro filo del tempo impiegato per gli altri? “Questa riflessione è permanente dentro tutti noi. Ora abbiamo semplicemente deciso di allargarla al fuori e anzi, proprio il sabato pomeriggio, quando nel nostro salone ci incontriamo tutte e tutti, volontari e ospiti, si manifesta per tutte e tutti quell’unico tempo di cui ci domandavano l’esistenza. In quelle tre ore del sabato si incontrano i fili in un bellissimo cablaggio unico”.

Un momento di teatro con gli ospiti dell'Associazione Gabbiano e l'attrice Patrizia Battaglia del teatro del Buratto di Milano

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