di Silvia Gheza – 29 marzo 2022

La resilienza passa dalla condivisione

 Una ricerca analizza l’impatto di rischi e stress da pandemia sui volontari: la tensione - unita a spirito di condivisione - è propellente dell'attivismo civico, oltre ogni difficoltà

Un dato su tutti: i rischi e lo stress nell’azione volontaria si arginano, si gestiscono, addirittura si trasformano in leva per l’azione e la proattività grazie anche e soprattutto al “mettere in comune”. È uno dei risultati più interessanti – forse il più importante – di “Help who helps”, l’indagine interamente dedicata all’impatto psicologico della pandemia sui volontari.

Promossa dal CESV Messina e dal CeRIP (Centro di Ricerca e di Intervento Psicologico) dell’Ateneo della città dello Stretto, la ricerca ha coinvolto 130 organizzazioni del Messinese, ma – come ha ricordato la presidente di CSVNet Chiara Tommassini nell’incontro di presentazione, svoltosi il 3 marzo scorso – veicola un valore che trascende i confini geografici. Contraddistinta da “caratteri di originalità scientifica”,Help who helps” fornisce “indicazioni preziose per supportare al meglio il Terzo settore per il presente, ma anche per il futuro“, come hanno sottolineato, tra gli altri, la psicologa e volontaria Tina Camuti, la professoressa di Psicologia dello Sviluppo e dell’Educazione Pina Filippello, l’esperta Maria Lucia Serio e il direttore del CESV Rosario Ceraolo.

E tra queste indicazioni l’incidenza della “dimensione collegiale” emerge netta. Il campione analizzato riferisce infatti di percepire un’elevata efficacia della condivisione nel far fronte alle situazioni critiche, nel rispondere alle esigenze di utenti e soci, nell’offrire possibilità di formazione e informazione, nel collaborare con le istituzioni, nello stimolare la partecipazione attiva degli iscritti. Ma non è tutto. Nei volontari anche la percezione della propria personale efficacia è maggiore se riguarda azioni condivise, sia nel relazionarsi e interagire con altri soggetti (assistiti, istituzioni, colleghi) sia nell’espressione delle proprie emozioni all’interno del gruppo di lavoro, ma anche nel negoziare decisioni e coordinare il lavoro.

La condivisione, spiegano i ricercatori, è una sorta di moltiplicatore dei buoni effetti capace di incidere su altri elementi quali le “predisposizioni personali positive“, che contraddistinguono i volontari, la capacità organizzativa messa in campo dagli enti e il senso di responsabilità che deve affiancarsi strutturalmente alle azioni solidali. 

L’insieme dei dati, delle considerazioni e delle testimonianze della ricerca Help who helps fotografano insomma un mondo che fonda le proprie regole sulla resilienza e ne ha dato prova anche rispetto alla pandemia. Nonostante le preoccupazioni per la salute propria e dei propri familiari, nonostante la stanchezza e le tensioni derivanti da condizioni operative estreme (orari lunghi, circostanze incerte, il dover fronteggiare un’emergenza nuova e di portata globale), nonostante i cambiamenti indotti dal Covid (il peggioramento dei rapporti sociali, crisi economiche, riduzione della qualità del sonno, per fare qualche esempio), l’86,2% del campione intervistato non ha mai pensato di fermarsi, nemmeno nei mesi di più stringente lockdown, e anzi, nel 73% dei casi ha attivato azioni specifiche in risposta all’emergenza e un altro 7% non solo le ha attivate, ma le sta realizzando tuttora.

Né si è trattato di incoscienza. Si evince, infatti, dallo studio che i volontari sono stati attentissimi, hanno seguito le regole e fatto di tutto per non contagiarsi e non contagiare. E le loro organizzazioni hanno fornito strumenti ad hoc per affrontare l’emergenza, dai cosiddetti Dispositivi Protettivi Individuali (che nel 16% dei casi sono stati acquistati dai diretti interessati) ai supporti psicologici e supporti telefonici. Il 91% dei volontari si è vaccinato, il 94% non ha contratto il virus. A motivarli, sostenerli, guidarli “l’orgoglio per aver svolto il compito e averlo portato a termine nonostante le sfide, grazie a ‘strategie’ interiori positive e propositive”.

In conclusione “i volontari, pur nella piena consapevolezza, hanno tenuto bassi i livelli di stress – ha sottolineato il vicepresidente del CESV Messina Ennio Marino – e si sono comportati di conseguenza, a loro volta inducendo le persone con cui sono venuti in contatto a mitigare la propria tensione”. Una capacità che, anche ora che il picco dei contagi da Covid è superato e l’epidemia fa meno paura, resta purtroppo indispensabile. “A chiamare all’azione il volontariato è oggi una nuova tragedia – conclude Marino – la guerra in Ucraina, per la quale il terzo settore si è già attivato e attrezzato, ancora una volta condividendo risorse, idee, volontà e realizzando iniziative concrete in tutti i territori”.

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