di Violetta Cantori – 14 marzo 2022

Dare Per Fare. A Bologna dalla pandemia si esce insieme

 Cibo. Casa. Dignità. Inclusione digitale. Il non profi t gioca in squadra con pubblico, privato e privato sociale per contrastare gli eff etti del Covid–19 sul tessuto sociale. Il futuro? Guardare anche alla sostenibilità

Tanti ombrelli sospesi punteggiano il cielo di Bologna. Perché quando piove forte e piove tanto i portici non bastano, e c’è bisogno di un riparo veloce, che permetta di aff rontare le intemperie e raggiungere un posto sicuro. Gli ombrelli rappresentano l’azione concreta dell’intera comunità che sostiene chi ha più bisogno, affi nché nessuno resti scoperto.

Sono arancioni, un colore caldo legato all’accoglienza, la creatività, l’incoraggiamento, la fi ducia e il cambiamento. Questa immagine è stata scelta come metafora per comunicare il Fondo sociale di comunità “Dare per fare”, lo strumento di welfare metropolitano nato nel capoluogo emiliano, a dicembre 2020, come risposta immediata ai bisogni della popolazione colpita dagli eff etti economici e sociali della pandemia, con una visione strategica che guarda oltre l’emergenza.

Il fondo sociale di comunità è un attrattore e catalizzatore di risorse, beni, idee presenti sul territorio. È governato dalla Conferenza Territoriale Sociale Sanitaria Metropolitana di Bologna (Ctssm), e vi partecipano enti locali del territorio, indacati, imprese e loro associazioni, società partecipate, Terzo settore, fondazioni. I diversi soggetti coinvolti apportano capitale economico, umano, esperienziale e relazionale per co–produrre soluzioni efficienti, ad alto impatto e sostenibili ai bisogni della popolazione.

Tuttora operativo, il fondo fi no ad oggi ha raccolto e movimentato risorse e beni per un valore di oltre 300mila euro che alimentano i quattro progetti “Un piatto per tutti”, “Un aiuto per la casa”, “Tutti connessi” e “Una mano per il lavoro”. Ogni progetto è stato formulato dall’amministrazione pubblica insieme agli attori sociali del territorio, con l’obiettivo di off rire quel ‘riparo’ necessario a non farsi travolgere dalla tempesta e un accompagnamento fi nché non torna il sereno.

Ogni progetto lavora per contrastare le principali cause di povertà e disuguaglianza che affl iggono parte della cittadinanza, quali la diffi coltà di garantirsi il pasto, il mantenimento della casa, la disponibilità di entrate economiche suffi cienti a condurre una vita dignitosa e l’accesso a risorse digitali in un’epoca dove è ormai impossibile farne a meno.

Facciamo un piccolo passo indietro. Diamo uno sguardo al contesto in cui nasce “Dare per fare” e torniamo alla primavera 2020, quando si riapriva progressivamente il Paese dopo il primo lockdown. In quel periodo la Città metropolitana di Bologna iniziava a monitorare gli effetti dei primi aiuti pubblici sulle comunità, in particolare quelli erogati in seguito all’Ordinanza (la numero 658) della Protezione Civile per l’attuazione di “misure urgenti di solidarietà alimentare” a sostegno delle persone più colpite dalle conseguenze dell’emergenza Covid–19. I dati raccolti mostravano che gli aiuti non erano sufficienti. Bisognava trovare altre formule per fronteggiare la crisi socio–economica che si stava delineando.

In quello scenario era emersa la necessità di dare maggior slancio al welfare locale, cercando nel Dna stesso della comunità le risorse e le idee più efficaci. “La provincia felsinea poteva contare su una collaborazione particolarmente vivace e consolidata tra i diversi attori sociali – racconta Maria Chiara Patuelli della Città Metropolitana di Bologna, Area Sviluppo Sociale –. Volontariato, cittadinanza attiva e cooperazione hanno tradizionalmente una presenza importante sul nostro territorio e da molto tempo lavorano in stretta connessione con le amministrazioni pubbliche attraverso alleanze di scopo. Non solo, il sistema di goveno socio–sanitario metropolitano è strutturato in maniera tale da garantire un dialogo continuo tra le diverse comunità che compongono il territorio e il livello tecnico – politico centrale.

Tutto ciò ha creato le condizioni per immaginare di potenziare il lavoro capillare delle reti, attente a individuare bisogni specifici e risposte adeguate su ogni singolo distretto”. Su questa ricchezza di “capitale connettivo”, nel giugno 2020, la Conferenza territoriale sociale e sanitaria metropolitana insieme ai Comuni e alle Unioni di Comuni ha coinvolto circa 30 soggetti del privato, privato sociale e mondo religioso in un percorso per dare vita al Fondo di Comunità. Nei mesi che recedevano il lancio del fondo, nel dicembre 2020, la Cabina di Regia ha individuato le quattro aree di bisogno su cui intervenire: beni alimentari e di prima necessità, sostegno all’abitare, povertà educativa e divario digitale, lavoro.

Ne sono nati i quattro progetti che puntano a offrire una solida base per ripartire e guardare con più fiducia al futuro, consapevoli di essere parte di una comunità inclusiva. L’obiettivo condiviso dai promotori del Fondo era di creare uno strumento di welfare innovativo e complementare ai servizi già in essere, che fosse in grado di attrarre donazioni economiche, di beni e servizi per rispondere a una situazione di emergenza progettando soluzioni durevoli nel tempo.

“Dare per fare è nato e si configura come strumento di welfare metropolitano di collaborazione e corresponsabilità tra pubblico, privato profit e privato non profit, plurilivello e multifunzione – spiega Maria Chiara Patuelli –. In altre parole, il fondo, in capo alla Città metropolitana, vuole essere un attrattore e collettore unico di risorse materiali e immateriali donate da soggetti diversi della comunità per la comunità. Una Cabina di Regia composta dai diversi portatori di interesse pubblici e privati già coinvolti nel Piano Strategico Metropolitano individua linee strategiche, obiettivi, priorità e alleanze di scopo da costruire o integrare per allocare nel miglior modo possibile le risorse. Un tavolo tecnico coordina l‘intera filiera, assicura il dialogo continuo tra le parti, monitora e rendiconta.

L’idea è di mettere a sistema e potenziare le energie della comunità per favorirne uno sviluppo inclusivo e garantire a tutta la popolazione di godere la piena cittadinanza”. Finora il fondo ha potuto contare su oltre tre milioni e mezzo di euro di risorse
pubbliche messe a disposizione da Città metropolitana, Comuni e Unioni di Comuni e 33mila euro di donazioni dirette da parte di cittadini, associazioni, sindacati e ore lavoro donate da dipendenti pubblici e privati delle aziende legate al Gruppo Hera. Questa dotazione ha permesso il rafforzamento dell’azione metropolitana di inserimento lavorativo e sostegno al reddito e ha consentito l’acquisto di dispositivi digitali destinati a studenti e giovani adulti per garantire il pieno diritto allo studio, contrastare il divario digitale, accrescere l’occupabilità.

Alle risorse citate si aggiunge la donazione di beni di prima necessità effettuata dalla ong We world – Gvc, per un valore pari a 280mila euro arrivata ad aprile 2021 e distribuita attraverso il progetto “Un piatto per tutti”. Presto si aggiungerà l’importante contributo di Granarolo SpA. “Un piatto per tutti è il progetto che racconta meglio come il Fondo porti un valore aggiunto senza sovrapporsi all’esistente e quanto sia indispensabile l’operato del Terzo settore”, racconta Maria Chiara Patuelli. Organizzare la distribuzione dei beni ricevuti da We World – Gvc in tempi rapidi non era una cosa semplice ed è stato naturale coinvolgere le diverse organizzazioni che partecipano al tavolo metropolitano sul contrasto alla povertà alimentare, coordinato da noi e Volabo.

Grazie al lavoro del Centro Servizi, che ha agito la sua preziosa funzione di facilitatore e connettore di relazioni in raccordo con gli Uffici di piano dei vari distretti socio–sanitari, è stato possible implementare reti locali di distribuzione ben strutturate e agili, capaci di lavorare sulle specificità dei singoli territori. Come Città metropolitana non agiamo mai indipendentemente dal livello distrettuale, che è quello dove si realizzano i servizi attraverso la programmazione dei Piani di Zona, perché lì istituzioni e Terzo settore locali lavorano fianco a fianco generando alto valore per le comunità di riferimento”.

Gli Uffici di piano dei distretti metropolitani insieme al Centro di Servizio per il Volontariato hanno organizzato un sistema di distribuzione dei beni alimentari e di prima necessità che funziona interamente grazie a soggetti non profit. Alcuni di essi, individuati tra quelli già impegnati in questo campo d’azione, sono diventati punti di snodo delle reti locali di distribuzione, garantendo l’efficienza e l’efficacia dei processi e lo sviluppo di reti relazionali più performanti. Il progetto ha coinvolto 93 organizzazioni, con un impegno particolare da parte di Caritas, empori solidali e Fondazione Banco Alimentare.

“Un piatto per tutti nasce per non lasciare indietro nessuno – spiega Alberto Pullini, Vice Presidente di A.S.Vo. OdV, ente gestore del Csv bolognese Volabo –. Grazie alla fondamentale collaborazione tra Pubblica amministrazione e Terzo settore siamo riusciti a raggiungere oltre 3.300 nuclei familiari per un totale di oltre 11.300 persone, e molta strada vogliamo ancora percorrere. È una delle innumerevoli dimostrazioni di quanto sia importante il ruolo di ibridatore sociale giocato da un Csv, e di quanto l’azione volontaria a fianco dell’amministrazione locale sia fondamentale per sostenere le persone più vulnerabili, ora più che mai. Possiamo contare su un volontariato maturo, capace di relazionarsi con le istituzioni in maniera efficace, per programmare e gestire insieme progetti complessi a beneficio della comunità. Ma non è soltanto questo.

Se dovessi rispondere alla domanda ‘perché proprio il volontariato è il soggetto più indicato a realizzare Un piatto per tutti?’, troverei la risposta dentro la sua stessa natura: prossimità, accoglienza, dono di sé. Distribuire beni non significa soltanto
dare un aiuto tangibile nella vita di tutti i giorni, ma trasformare un piccolo gesto fatto col sorriso nell’opportunità di costruire relazioni che generano benessere.

Questo è il valore unico dell’azione volontaria. L’energia dell’impegno civico si concentra nel nostro territorio e si propaga anche in situazioni estreme e imprevedibili, come quella in cui ci troviamo, ciò rende la città metropolitana bolognese una comunità realmente capace di prendersi cura delle persone”. Dopo un anno di lavoro è il momento del primo bilancio di salute da consegnare all’amministrazione che si è insediata con le elezioni dell’autunno 2021. Si analizzano i risultati, i successi, le criticità di questa fase sperimentale. Grazie al supporto tecnico e giuridico dell’Associazione Nazionale dei Comuni Italiani Emilia – Romagna, che ha coinvolto esperti a livello nazionale, sono in fase di studio le possibili evoluzioni del Fondo.

Si approfondiscono gli strumenti e le opportunità che la legge offre per far crescere e utilizzare al meglio la collaborazione tra pubblico e non profit, nella prospettiva dell’innovazione sociale e la valutazione di impatto che questa genera. Se finora gli sforzi si sono concentrati sull’uscita da un’emergenza, non ancora conclusa, le prossime sfide guardano alla sostenibilità. Lì si scopriranno le vere potenzialità dello strumento di welfare. Una peculiarità del Fondo, che emerge da una prima analisi e che probabilmente costituisce terreno fertile per progettarne il futuro, è la sua capacità di connettere e catalizzare le risorse già esistenti nella comunità, mettendole a sistema.

L’alto coinvolgimento dei diversi attori sociali motiva, stimola, fa evolvere reti e relazioni verso una direzione condivisa. Crea legami che, come accade per certe molecole, diventano un principio attivo in grado di curare e restituire salute, alla comunità.

Immagine Gentilmente concesso dal Servizio di comunicazione della Città metropolitana di Bologna

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