di Marta Moroni – 14 giugno 2024

Nando dalla Chiesa. I diritti degli altri ci riguardano

 Il volontariato interpreta un modo di essere previsto nella nostra Costituzione

Nando dalla Chiesa è scrittore, sociologo e docente di Sociologia della criminalità organizzata dell’università Statale di Milano, presidente onorario di Libera, la nota rete di associazioni, cooperative sociali, movimenti e gruppi, scuole, sindacati, diocesi e parrocchie, gruppi scout coinvolti in un impegno non solo contro le mafie, la corruzione, i fenomeni di criminalità e chi li alimenta, ma profondamente per la giustizia sociale, per la ricerca di verità, per la tutela dei diritti, per una politica trasparente, per una legalità democratica fondata sull’uguaglianza, per una memoria viva e condivisa, per una cittadinanza all’altezza dello spirito e delle speranze della Costituzione.

Professore, l’ultimo suo libro è intitolato “La legalità è un sentimento” accompagnato dal sottotitolo “Manuale controcorrente di educazione civica”: ebbene, anche il volontariato è un sentimento?

Secondo me uno decide di impegnarsi per gli altri perché sente qualcosa dentro di sé, non per calcolo. A volte può essere per calcolo, ma in generale uno vede un film, vede un documentario, sente un racconto e dice: lo faccio anch’io. È un moto dell’animo che porta a spendersi per una causa buona, giusta. Quindi credo che nel volontariato ci sia una componente sentimentale molto alta.

E qual è, secondo lei, il legame generativo che il volontariato ha con i valori e le pratiche dell’agire costituzionale, soprattutto in questo momento storico che possiamo definire disintermediato?

Credo che il volontariato interpreti un modo di essere delle persone, offra a questo modo di essere una possibilità di manifestarsi nel modo migliore e richiama l’impegno nei valori sociali che viene previsto dalla nostra Costituzione. La nostra Legge fondamentale dello Stato ha il pregio di spiegare che noi non siamo cittadini per niente, ma dobbiamo impegnarci in una causa di valore generale che la nostra vita ha un senso dentro la Repubblica se arricchisce la Repubblica di Valori, dei Valori Costituzionali. In questo senso è costituzionale.

Concretamente, anche per chi magari non è impegnato come volontario in un’associazione ma ha un modo disintermediato o differente di essere un cittadino civico, anche molto più praticamente in modo esplicito, che cosa può trarre dalla Costituzione per impegnarsi, almeno nel luogo in cui abita?

Un cittadino, secondo me, anche per quello che dico nel libro, non ha bisogno di una norma scritta che gli dica che cosa deve fare, come lo deve fare. È qualcosa che viene istintivo. Cioè, il bambino entra in relazione con certi valori ancora prima di saper leggere. Li fa propri. E certe volte li difende anche in un asilo, una scuola, quando si relaziona con il “non giusto” per difendere un proprio compagno che viene discriminato. Quindi credo che la Costituzione offra degli strumenti per capire come regolarsi. Le leggi ci indicano quali sono le associazioni alle quali possiamo rivolgerci. Però il bisogno, l’istinto di fare una cosa con altri e per altri, quello è nostro e ci viene fornito dalla nostra educazione senza che ce ne rendiamo conto a volte. Il volontario non si attiva perché ci sono articoli della Costituzione che lo spingono e lo legittimano, lo fa perché sente che è giusto farlo. Lo fa per un sentimento di solidarietà che prova nei confronti dei più bisognosi, vive un sentimento di partecipazione alla vita del proprio Paese che lo porta a regalare, a donare del tempo, delle competenze nel corso della sua vita, alle volte fino a fare di questo dono il centro della propria identità.

Ma allora, secondo lei, perché ci si impegna nel volontariato? E come si possono educare i cittadini al civismo e ad assumersi il compito di agire per migliorare la società?

Io penso che si faccia volontariato proprio perché abbiamo degli esempi davanti e perché sentiamo di dover dare di più, interpretando anche in un certo modo il mondo che ci sta intorno. Non lascia indifferente il fatto di vedere una persona che potrebbe godersi il frutto della sua vita e che, invece, va a insegnare l’italiano agli immigrati. Non lascia indifferente perché scopri che è possibile anche interpretare la propria vita con orizzonti più ampi e più generosi, e trarne perfino soddisfazione. Non credo si possa stare in una società soltanto in base al lavoro che si fa, anche se è un lavoro che assorbe, anche se è un lavoro utile. Quando, per esempio, c’è una attività particolare come quella del medico, dell’insegnante o altro, c’è sempre, infatti, anche una quota di volontariato che si inserisce dentro il proprio lavoro: un di più, un arricchimento che va al di là di ciò che è previsto dai mansionari e dalle prescrizioni direttive di una istituzione o di un corpo di appartenenza. Credo che ogni lavoro possa avere una componente di passione che, se va al di fuori dei doveri formalizzati, viene svolto meglio, con più energia, e anche con più capacità di produrre esempi.

Questo attivarsi spontaneo portando valore nella vita quotidiana, quando si spinge fino alla fornitura di servizi, non rischia di essere la cosiddetta “stampella” del pubblico?

C’è un ricco dibattito sul ruolo sussidiario del volontariato, perché ci sono due modi di vedere la funzione di supplenza del volontariato. Io teorizzo che questo sia un momento di grande supplenza. Ma non la supplenza del primo tipo, cioè dove lo Stato sociale non riesce a garantire certi servizi e quindi li diamo noi. Anche questo primo tipo, di per sé, è comunque una cosa molto nobile e importante. Ma la supplenza che stiamo vivendo è quella di secondo tipo, che si attua rispetto allo “spirito” pubblico, valore che deve essere garantito dalle istituzioni ma anche da una società che risponde agli orientamenti costituzionali. Ritengo che questo non supplisca a qualchecosa che non viene garantita dallo Stato, perché supplisce a una mancanza di responsabilità, cosa che indebolisce lo stesso spirito costituzionale e che si rafforza con la presenza del volontariato e con quello che il volontariato è in grado di immettere nella vita sociale tutti i giorni. Spiego meglio cosa intendo: la nostra vita è fatta di un complesso di bisogni, di valori, di domande, di risposte. Ma qualcuno i valori dentro ce li deve mettere perché una società senza valori forti non si tiene. Se noi vogliamo vivere in una società accogliente, generosa, piacevole, degna di essere frequentata, dobbiamo agire la nostra parte di responsabilità.

Quali sono, allora, i valori e le buone pratiche dell’agire costituzionale che a lei piacciono di più o che secondo lei sono più utili per il bene comune?

Il fatto che i diritti degli altri ci riguardano e il fatto che il modo di vivere degli altri ci riguarda, che non ci possiamo chiudere nel nostro individualismo, anche se è giustificato, meno che mai nel nostro egoismo. È proprio il “mi interessa” di don Milani, l’high care di don Milani per il quale il principio di uguaglianza si fonda sulla capacità di riconoscere e tenere conto delle diversità e le specificità di ogni ragazzo, di ogni persona e di ogni famiglia. L’uguaglianza non è trattare in modo uguale persone diverse, ma di saper mettere un’uguale impegno nel trattare le persone diverse e poi nel sapere trovare quali sono le vie che facciano per loro da garanti. Questo sta nella Costituzione, ci sta in modo molto forte e credo che si viva meglio pensando agli altri.

Lei quali esperienze di volontariato ha conosciuto più da vicino e come queste hanno segnato la sua vita, anche professionale e la vita delle comunità nelle quali si svolgeva?

L’area di volontariato in cui mi sono impegnato di più è sicuramente quella della promozione della legalità che, nella mia esperienza, ha due facce: quella educativa e quella antimafia. Posso dire che se non ci fosse stato un volontariato a immettere determinati valori in un clima, in un momento particolarmente drammatico per il Paese, soprattutto per la regione dove correva più sangue, la Sicilia, lo Stato non sarebbe bastato. Anzi, lo Stato a volte lavorava contro. Quindi questi valori il volontariato li ha messi dentro, anche il volontariato di persone che lavoravano: perché le maestre palermitane hanno fatto cose impensabili. Per garantire la tenuta dello Stato contro gli assalti mafiosi loro lavoravano in un modo speciale, ci hanno messo la combinazione di passione, di volontariato e di esercizio della professione fino a fare dell’esercizio della professione una cosa che le ha portate all’avanguardia anche nel mondo. Io nella mia vita ho, ho visto, ho vissuto questa esperienza e credo che debba ogni tanto essere ritrovato questo modo di praticare il volontariato, perché i Paesi ne hanno bisogno. Per fortuna non ci sono crisi ogni secolo: avvengono a cicli. E allora arriva il volontariato, a rimetterci dentro sentimenti d’impegno, principi di legalità, principi costituzionali a fare rivivere lo spirito della Costituzione che è una cosa diversa dalla lettera della Costituzione.

Che sollecitazione offre, invece, a chi a volte perde la fiducia o perde la speranza, perché si sente impotente, perché spesso le grandi decisioni, le decisioni fortemente impattanti, vengono prese altrove. E cosa possiamo rispondere a chi dice: Io vorrei, mi piacerebbe fare qualcosa, ho in mente, ce l’ho chiaro, lo sento, ma tanto non si può fare nulla?

“Tanto non si può fare nulla” non è vero, perché a volte ci sono am inistrazioni che rispondono a un valore piuttosto che all’altro, che vincono per una distanza di poche decine di voti. Poi perché ci possono essere dei gesti che si fanno inconsapevolmente, che arricchiscono gli altri e visti dagli altri diventa un esempio, perché ci sono parole che si dicono e che altri, poi, metteranno in circolo. Io posso dire di avere messo in circolo in molti ambienti, a sentire cosa dicono i miei studenti. In particolare uno studente che si laureò con una tesi dedicata a un paese della provincia di Messina. Alla fine quando gli chiesi che cosa avrebbe fatto dopo la laurea mi rispose: “Ma, professore, io rimango nel mio paese, perché se se ne vanno via tutti…”. Io sentii un’ammirazione verso di lui, mi alzai in piedi e gli strinsi la mano, e poi lo raccontai a un sacco di gente e tutti si entusiasmarono per questa scelta che poteva sembrare una scelta disperata, invece aveva in sé una carica di orgoglio, di grande significato che poteva diffondersi a tutti. Infatti noi facciamo così.

Un cartello appeso fuori da una scuola durante una manifestazione di Libera Contro le Mafie © Eleonora Tommasi

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