di Ksneija Fonovic – 7 giugno 2023

Reddito alimentare: opportunità e limiti di un sostegno varato e mai partito

 Più di cinque milioni di persone, quasi il dieci per cento degli italiani, nel 2021 hanno vissuto in condizione di povertà assoluta. Per alleviare la loro condizione, nella legge di bilancio 2023 è stata inserita una misura che porterebbe a distribuire le 230mila tonnellate di cibo invenduto nella grande distribuzione. Ma questo importante intervento dello Stato è ancora fermo

Quasi due milioni di famiglie in Italia, nel 2021, hanno vissuto in condizione di povertà assoluta: una su tredici. Si tratta del 7,5 per cento della popolazione, la conferma del massimo storico toccato nel 2020, l’annus horribilis della pandemia da Covid19.  Dunque il problema riguarda quasi una persona su dieci (9,4 per cento, quindi circa 5,6 milioni di cittadini), secondo i dati Istat del report “La povertà in Italia”. Sono considerate in condizioni di povertà assoluta le famiglie il cui reddito non arriva a coprire il paniere di bisogni essenziali. La definizione delle soglie della povertà assoluta tiene conto della composizione della famiglia e del luogo di residenza. Per esempio, la soglia della povertà assoluta (per l’anno 2021) di una famiglia composta di un solo individuo residente al centro di un’area metropolitana al Nord era di 852,83 euro (di reddito mensile), al Centro di 811,08 euro, nel Mezzogiorno di 634,14 euro.

La soglia più alta, che riflette il costo della vita più alto, non corrisponde però all’indicatore di incidenza (percentuale di famiglie in povertà assoluta rispetto al totale della popolazione residente). In confronto all’anno prima, questa nel 2021 scende nel Nord, rimane sostanzialmente stabile al Centro e nelle Isole e cresce di un intero punto al Sud (dal 9,9 nel 2020 al 10,8 nel 2021). E tutto ciò malgrado le varie misure di contrasto alla povertà. Le analisi dell’Osservatorio statistico dell’Inps hanno dimostrato che le misure di sostegno economico erogate tre anni fa hanno permesso a circa 500mila famiglie – un milione di persone – di non scendere sotto alla soglia della povertà assoluta. Nel Rapporto annuale 2022 l’Istat, inoltre, ha calcolato che queste sono state in grado di ridurre di dieci punti l’intensità dell’indigenza.

In sintesi, la povertà in Italia è un fenomeno di proporzioni ragguardevoli, negli ultimi quindici anni in costante crescita, con disuguaglianze interne alla categoria date dal contesto territoriale di riferimento – e che sappiamo essere stato in parte contenuto dalle misure di sostegno al reddito sulle quali, in mancanza del consenso politico, pende una cappa di incertezze. Si teme il peggioramento della situazione, soprattutto perché alle famiglie “sicuramente povere” nelle analisi dell’Istat si aggiunge il 6 per cento di famiglie appena sopra la soglia, il 3,7 per cento di famiglie in bilico e un altro 3,9 per cento di nuclei quasi indigenti, ad appena il 10 per cento del potenziale dei consumi superiori alla linea standard della miseria.

Studiando i dati emerge che all’acquisto dei prodotti alimentari si destina da un quarto a un terzo del proprio reddito mensile. Far mangiare i componenti del proprio nucleo familiare, per molte, troppe persone, è diventato un problema.

Ma è un’emergenza globale: cinque anni fa il report “Il futuro che non vogliamo” dell’Urban Climate Change Research Network ha stimato che entro il 2050 due miliardi e mezzo di persone in milleseicento città del mondo rischiano di non avere accesso all’approvvigionamento alimentare. Le stime della FAO – l’organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura (che ha sede in Italia) – nel rapporto sullo stato del cibo e dell’agricoltura del 2021, parlano del 41,9 per cento della popolazione mondiale che non è in condizioni di potersi permettere una dieta sana.

Non meraviglia quindi il moto di entusiasmo della società civile per l’inserimento nella legge di Bilancio 2023 della sperimentazione di un’altra, complementare, misura di sostegno: il Reddito alimentare. L’articolo 76 bis, presentato su iniziativa di Marco Furfaro (Partito democratico), si poggia su una proposta di spinta popolare, guidata dal comitato Reddito alimentare animato dal trentenne Leonardo Cecchi, comunicatore e progettista digitale. La proposta è sostenuta da alcune reti delle amministrazioni pubbliche, quali Ali (Autonomie locali italiane) e la Rete dei comuni sostenibili. L’emendamento impegnerebbe lo Stato italiano a destinare nell’arco di due anni 3,5 milioni di euro alla sperimentazione di questo aiuto per i non abbienti. Il Reddito alimentare è una “misura per combattere lo spreco e la povertà alimentare”. Dunque, con doppio scopo. Da un lato, una particolare e nuova forma di sostegno al reddito. Dall’altro, l’obiettivo di ridurre lo spreco, in una specifica fase del consumo del cibo: la distribuzione.

Il beneficio è finalizzato all’erogazione ai soggetti in condizioni di povertà assoluta, di pacchi alimentari realizzati con l’invenduto della distribuzione alimentare, da prenotare mediante una applicazione e ritirare in uno dei centri di distribuzione ovvero ricevere nel caso di categorie fragili.”

L’emendamento definisce che il Reddito alimentare è destinato ai residenti delle città metropolitane. La platea dei beneficiari e tutte le modalità attuative, incluse “le forme di coinvolgimento del terzo settore”, devono essere definite dal decreto del ministro del Lavoro e delle Politiche sociali che ha tardato ad essere approvato. Pertanto, la bontà dell’idea deve ancora misurarsi con le complessità del terreno, che sono notevoli.

Uno, non si tratta di reddito, ma di un aiuto materiale.

Non si tratta, quindi, di soldi dei quali la persona può liberamente disporre per soddisfare le esigenze proprie e della famiglia, che è l’essenza di misure reddituali. Su questo aspetto, dunque, il grimaldello del successo è dato dalle modalità attuative, che più saranno orientate a favorire la libertà di scelta dei prodotti, più saranno in linea con le più recenti evoluzioni sul campo.

Infatti, a cavallo del periodo dell’epidemia da Covid 19, ci sono state modalità di distribuzione del cibo, che si sono diffuse e hanno registrato un’accelerazione. Quel periodo ha portato a puntare sulle filiere microterritoriali, al coinvolgimento dei piccoli commercianti, alla fornitura di “pasti sospesi”, al recupero dell’invenduto dei grandi mercati rionali. La direzione, intrapresa allora e che oggi prosegue, è quella della prossimità e della personalizzazione: più empori solidali e volontari che consegnano al domicilio, meno mense collettive.

Si è modificata anche la mappa degli attori: centri sociali al fianco degli enti del Terzo settore, municipalità coinvolte al pari dei gruppi informali. Le modalità attuative scolpite dal decreto come riusciranno a conciliarsi con il mare magnum delle iniziative già sul campo? La sfida aperta è quindi tutta nella complementarietà della misura del Reddito alimentare con le politiche e le pratiche vive delle città metropolitane, terreno d’elezione della sperimentazione.

Secondo elemento di complessità, la misura non è per tutti.

Il Banco alimentare, i gruppi parrocchiali, le associazioni, le iniziative di volontari di quartiere recuperano e distribuiscono, da un ventennio, gratuitamente, il cibo a chi ne ha bisogno. A tutti quelli che ne hanno bisogno. Il Reddito alimentare si configura come aiuto condizionato: sarà lo Stato a definire “la platea dei beneficiari” e quindi chi ha diritto ad avere i pacchi alimentari. Infatti, l’individuazione dei beneficiari è l’aspetto più delicato per la possibilità di buona riuscita della misura. Molto dipende da come saranno resi protagonisti, o meno, delle misure attuative, le città e il Terzo settore. E ancora a monte, molto dipende dalle scelte di fondo che prenderà il governo su quali gruppi di persone fare questo investimento, a quali obiettivi più alti legare la misura; ammesso che non sarà accantonata definitivamente in questa forma.

Non tutti i poveri sono uguali.

Le disuguaglianze all’interno delle famiglie in condizioni di povertà assoluta non si limitano alla territorialità, ma sono determinate dall’età e dalla entità del nucleo famigliare. Il picco di drammaticità del fenomeno è dato dai minori in povertà assoluta. L’Istat ne registra 1,4 milioni. I dati Eurostat, degli ultimi tre anni disponibili, mostrano che in Italia il numero dei minori a rischio di povertà ed esclusione sociale cresce di un punto percentuale all’anno. Peggio di noi solo Spagna e Romania. Il rapporto europeo di Save the Children (del 7 marzo 2023) palesa i fattori determinanti per l’esposizione al rischio: marcatamente più esposti sono i nuclei composti da un solo genitore e due o più bambini.

Quando si tratta di famiglie di origine non italiana, la situazione diventa ancora più drammatica. Lo sappiamo dal Rapporto Istat sulla povertà (dati 2021). Il sottoinsieme delle famiglie di soli stranieri con minori è il segmento più esposto della popolazione: mostra segnali di disagio il 36,2 per cento (rispetto al 28,6 per cento dell’anno prima e rispetto al 8,3 per cento delle famiglie di uguale composizione ma di nazionalità italiana). La sfida colpisce quattro volte di più se sei un bambino in Italia ma non italiano. Con deprivazioni materiali in tenera età che fortemente determinano dimensioni molteplici in prospettiva futura: salute fisica e mentale, relazioni sociali, accesso all’istruzione, quadri valoriali e della percezione del sé. E dove si concentrano gli stranieri? Nei comuni capoluogo delle città metropolitane più di uno su dieci residenti è straniero (11,1 per cento registrati da Statistiche focus dell’Istat del 2 febbraio 2023 “Profili delle città metropolitane”). Nell’ultimo ventennio, sono quasi quadruplicati.

Riuscirà il Reddito alimentare a profilarsi sufficientemente raffinato e dinamico per dimostrarsi un aiuto, piuttosto che una zavorra, in contesti e orizzonti così complessi? Riuscirà a esercitare un peso sufficiente per innescare un cambiamento di tendenza? Avrebbe una qualche chance se non fosse lasciato orfano dal sostegno politico. Rispetto alle questioni del lavoro e del Reddito di cittadinanza, al quale è istituzionalmente associato, è evidentemente residuale. Il timore quindi è che rimanga poco più di un vascelletto, disegnato finemente ma inadeguato a navigare in mare aperto.

Raccolta alimenti, dallo spreco alla risorsa, Brescia ©Lidia Mingotti - Progetto FIAp0F-CSVnet “Tanti per tutti. Viaggio nel volontariato italiano”

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