di Francesco Bizzini – 2 novembre 2022

Hackerare la disabilità è un atto comunitario

 Nata nel 2016 a Torino, oggi fa scuola a diverse latitudini, vincendo prestigiosi premi nazionali. L'Associazione Hackability fa sedere allo stesso tavolo le idee di chi sogna un mondo accessibile e i creativi in grado di realizzarle, rendendo patrimonio comunitario competenze iper-specializzate.

Hackability è una non profit costituita Torino nel 2016, per far incontrare le competenze di designer, maker, artigiani digitali, con i bisogni e la creatività delle persone con disabilità e della popolazione anziana e fare crescere delle comunità che tramite la coprogettazione, la fabbricazione digitale, l’uso di stampanti 3D, realizzino soluzioni nuove, personalizzate, in grado di soddisfare i bisogni di autonomia nella vita quotidiana.

“Il nostro viaggio – afferma il presidente Carlo Boccazzi Varotto – parte tra il  2008 al 2010 da una ricerca che conducemmo presso il domicilio di persone con disabilità, osservando come molte di esse già realizzassero piccole soluzione per l’autonomia. Da lì abbiamo pensato che fosse bello far incontrare il mondo della disabilità con il mondo delle tecnologie che in quegli anni stavano nascendo, quali le stampanti 3D e le schede open source. Abbiamo lavorato  “sotto traccia” per 3 o 4 anni, operando questo incontro nella cerchia amicale, chiamando in causa progettisti, ingegneri e quelli che oggi chiamiamo makers. I risultati sono stati così confortanti da spingerci a creare un evento, ci abbiamo messo quasi tre anni e nel 2015 abbiamo lanciato un evento che organizzammo proprio con il titolo di Hackability dal nome che significa ‘hackerare la disabilità’. L’intenzione era mostrare come lavorare con le persone, sul tema dell’accessibilità, fosse divertente e cool oltre a essere una delle attività più sensate per impiegare una stampante 3D o una scheda Arduino. “

L’evento finalmente si concretizzò nel 2015 ebbe un successo inaspettato, attirando a Torino ottanta persone di cui la metà da tutte le parti d’Italia, un risultato ben superiore anche al budget che avevamo raccolto, che era solo di appena 3500 euro e non permetteva di alloggiare tutti. I volontari stessi così ospitarono i partecipanti. Poco dopo alcuni docenti del Politecnico di Torino si appassionarono al format, proponendolo ai propri studenti, invitandoli a co-progettare con il mondo della disabilità. Dall’unione del gruppo che ha organizzato l’evento e questi studenti nasce l’associazione vera e propria.

Al centro dell’azione di Hackability i tavoli di co-progettazione che stanno fiorendo in tutta Italia e oltre: “Certo, da quei tavoli nascono oggetti, ortesi, protesi, soluzioni innovative, ma succedono anche tante altre cose. Succede, infatti, che lo studente impari a usare tecnologie con più alti livelli di motivazione. Succede che il designer o il manager d’impresa impari  nuove cose sull’accessibilità e  su come persone con disabilità interagiscono con il mondo. Vediamo poi persone con disabilità che si divertono e spesso acquistano nuove competenze, attivando processi di empowerment in quanto sono protagonisti di un tavolo di co-progettazione dove non solo esprimono un bisogno, ma dicono la loro e non raramente esprimono loro stessi la volontà di acquisire nuove competenze tecnologiche. E noi, negli anni abbiamo imparato a farle succedere tutte queste cose, costruendo la metodologia Hackability che é uno strumento di open innovation, di inclusione, di empowerment, di formazione a seconda delle circostanze e dei bisogni espressi dalla comunità”.

Un successo figlio anche da un inedito, staff di volontari sul campo, sostenuti da una stimolante community allargata che attrae nuove idee, indica nuove sfide e richiama nuovi volontari: “l’associazione attrae a sé specialisti ad alta preparazione che mai avrebbero pensato di entrare nel mondo del non profit o in una ETS. Per di più il mondo del sociale non potrebbe mai permettersi le loro prestazioni. Parliamo infatti di specialisti che sul mercato guadagnano cifre importanti. Il loro stimolo di operare gratuitamente come volontari è quello di accrescere la community e spendere le proprie skill per una motivazione profonda, comunitaria, che supera la mera ideazione/produzione dell’oggetto innovativo”.

Anche il mondo delle aziende e della Responsabilità sociale d’impresa sembra essersi innamorata dell’impatto di Hackability. Nel 2018 il gruppo Barilla ha chiesto all’ETS di immaginare soluzioni che facilitassero l’autonomia in cucina; nel 2019 Hackability é stata chiamata da Juventus Football Club a co-progettare soluzioni che migliorino l´esperienza delle persone con disabilità e degli anziani nel complesso dell’Allianz Stadium. Anche Harrys e da Wasa, a Parigi, li ha voluti per immaginare nuovi prodotti da forno; sempre nell’ambito della responsabilità sociale nel 2020 Toyota Motor Italia e Arriva Sadem, hanno scelto Hackability per realizzare, insieme a persone con disabilità, strumenti e soluzioni per una mobilità personale e collettiva più accessibile.

Ma allora perché non perseguire la classica via della start-up d’avanguardia a sfondo sociale e scegliere invece di essere un Ente di Terzo settore? “Siamo sicuri che il modello da seguire sia sempre quello dell’impresa o della startup? Il nostro rapporto con le community, con chi scegli di lavorare con noi, si basa sul condividere obiettivi, sull’imparare, sul crescere professionalmente più che sul dare e l’avere.  A conti fatti, abbiamo  più  impatto di molte realtà che inseguono il mercato o sviluppano progetti solo a fronte di finanziamenti. E oggi soprattutto a Torino e Milano si avvicinano a noi decine di giovani designer mossi dall’interesse per il possibile d’impatto sociale del loro lavoro e per acquisire nuove competenze”.

Quindi la comunità, quella che voi chiamate community, è generativa solo se è aperta? “Se noi parliamo a target come le persone con disabilità, l’anziano, il caregiver, non è detto che siano frequentatori di FabLab o di hub tecnologici, insomma di luoghi nerd. Quindi abbiamo iniziato un processo di disseminazione tecnologica creando HUB tecnologici di comunità. Abbiamo realizzato sempre sul modello dei tavoli di coprogettazione, workshop gratuiti per insegnare ad stampare protesi e oggetti accessibili con le stampanti 3D nelle associazioni, nelle cooperative, nelle case di edilizia popolare. E abbiamo proposto alle persone interessate un patto: noi vi trasferiamo competenze, vi forniamo anche le stampanti 3D e quant’altro, vi chiediamo però di diventare HUB tecnologico per la vostra comunità, essere a disposizione del il vostro territorio, diventare punto di riferimento per la vostra associazione. Un percorso, interrotto dal Covid e che stiamo per riprendere, che ci ha messo, ad esempio, in contatto con i terapisti occupazionali delle unità spinali di Torino, Novara e Alessandria. Con il sostegno di Fondazione CRT, presso questi ospedali abbiamo aperto dei piccolissimi laboratori e con i terapisti, con persone con disabilità e con alcuni caregiver abbiamo ri-progettato e trasformato le ortesi che  venivano realizzate una per una, a mano. Le abbiamo fatte diventare file digitali, stampabili a meno di 1/10 del costo, questo rende possibile darle a molte più persone, creando un impatto concreto su centinaia di persone l’anno”.

Ma il vostro volontariato così specializzato e le vostre invenzioni così uniche non rischiano di trasportare un messaggio di attivismo civico quasi elitario? ” Il nostro percorso, spero, dimostri il contrario siamo molto attenti a rendere accessibile la tecnologia e per noi parlare di accessibilità è anche parlare del costo del dispositivo co-progettato. Siamo attenti a realizzare soluzioni economiche: un tema su cui nel mondo del design, spesso, c’è poca attenzione. Sapendo bene che rischiamo di non occupare mai la doppia pagina di una rivista, che le cose più importanti sono quelle che rispondono a un bisogno, e sono di solito quelle piccole, semplici, accessibili e funzionali”.

Semplici quanto si vuole, lontane da una mentalità aziendalista e dalla ricerca del successo facile, ma per la verità l’approccio creativo-comunitario di Hackability, le loro soluzioni co-progettate, non sono però passate inosservate al mondo dell’innovazione e del design. Per tre volte in tre anni Hackability é stata inserito nel ADI design INDEX, la pubblicazione dell’Associazione Design Industriale che raccoglie, ogni anno, i migliori progetti di design del nostro paese e tre anni fa si é aggiudicata la menzione speciale del prestigioso premio del  Compasso d’oro. Nonostante ciò, anche sotto i riflettori, l’ETS è stata in grado di tenere ben saldo il proprio timone etico. Tutti riconoscimenti hanno, infatti, celebrato il “modo di lavorare” dell’associazione: anche nel 2022 il riconoscimento non é andato ad un singolo oggetto, ma al percorso Tech4Inclusion e tutte le soluzioni co-progettate da pazienti, care-giver e terapisti delle unità spinali, per l’occasione accreditate, riconosciute e celebrate come vere e proprie designer.

Una bicicletta customizzata realizzata durante il corso al Politecnico di Torino Hackability4PoliTO

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