di Francesco Bizzini – 2 novembre 2022

Mercato digitale sì, ma con lo stile benefit

 Da associazione a cooperativa a società benefit. Il viaggio di Binario Etico copre vent'anni di impegno nel nome dell'Open Source e dell'informatica verde. VDossier intervista Davide Lamanna, IT Infrastructure Engineer della società capitolina: "La sfida per la sovranità digitale dovrebbe essere nelle agende di tutti, piccole comunità comprese"

Chi in Italia si interessa storicamente di riuso, riciclo di hardware (in termini tecnici “trashware“) e chi più in generale è sensibile ai temi legati al mondo Open Source e dell’informatica libera, è facile che nel proprio peregrinare sul web si sia imbattuto almeno una volta in Binario Etico, storica realtà capitolina che da inizio secolo, per un intero mondo di attivisti, ha fatto da apripista e scuola, ispirando la formazione di gruppi informali e associazioni che incentrano il proprio impegno su quei temi.

Oggi Binario Etico è società benefit, ma porta con sé in dote un’evoluzione identitaria unica nel settore: “Siamo partiti come associazione nel 2004, nel 2006 ci siamo costituiti in cooperativa per fornire opportunità lavorative. Iniziammo con il trashware coprendo almeno per la metà delle nostre attività, ma non andò e ci scontrammo fin da subito con le regole di mercato. I computer che noi ricondizionavamo avevano costi fissi che portavano il prezzo in alto, laddove invece nel mercato, anche per strategie industriali tendenti all’obsolescenza programmata, si registrava il crollo dei prezzi. Insomma, pensavamo potesse funzionare come il caffè equo e solidale, che costa di più sì, ma che viene acquistato comunque perché recante un valore etico. Non ha funzionato così”.

Quindi avete dismesso la parte trashware? “Sì, ma siamo orgogliosi di aver gemmato. Infatti, dalla nostra esperienza è nata Reware, un’impresa sociale/spinoff che ha continuato la missione del trashware, erogando servizi informatici volti all’allungamento del ciclo di vita delle apparecchiature elettroniche ed informatiche, limitando l’impatto ambientale tramite la prevenzione della produzione di rifiuti elettronici, anche nell’ambito di progetti di cooperazione e solidarietà nazionale ed internazionale”.

Il cuore di Binario Etico oggi però è fisso sul tema della sovranità digitale, del cloud computing e delle relative sfide/ricadute tenciche ed etiche a livello internazionale e nazionale “La verità è che avevamo un’autostrada davanti nel 2006, parlo di quel territorio inesplorato chiamato ‘cloud computing’, fenomeno che poi è esploso sei o sette anni più tardi, vedendoci già preparati. Però noi ci abbiamo messo del nostro, il nostro stile insomma, cioè soluzioni tutte open source, hosting dei tuoi dati su tue macchine, senza appoggiarti ad architetture di terze parti, insomma ciò che oggi si chiama sovranità digitale o ‘cloud nazionale’. Soluzioni che si contrapponga a quelle proposte grandi aziende multinazionali che tendono a gestire i nostri dati sensibili su server ubicati all’estero. C’è ancora moltissimo da fare su questo argomento. Pensiamo solo al capitolo del PNRR per il ‘cloud privato’. Purtroppo il bando è stato aggiudicato ad una RTI che si avvale di tecnologia controllata da oltreoceano, dai Big Tech americani, letteralmente miliardi che sono volati oltreoceano”.

Ma perché fare impresa sociale non rimanere cooperativa? “Dopo 11 anni dalla fondazione della cooperativa, nel 2017 abbiamo deciso di diventare impresa sociale. La scelta si è rivelata necessaria anche per diventare appetibili agli occhi dei possibili finanziatori. La forma cooperativa con il modello “Ogni testa, un voto” non garantisce la fetta di controllo che chi investe, comunque, vuole sentirsi garantita. Derivando dalla tradizione delle B-corp americane, la struttura di una impresa sociale ci ha da subito convinto: non eravamo interessati a sgravi fiscali, ma piuttosto che ciò di cui eravamo e siamo convinti, le motivazioni etiche che soggiacciono al nostro agire professionale, fossero anch’esse parte del marketing della nostra attività”.

Ma questo passaggio non ha rischiato di annacquare una missione che era ormai decennale? “Nessuna snaturalizzazione. Il nostro faro maestro rimane l’open source, oltretutto un termine che ha un valore politico di per sé, già nel suo nome. Crediamo poi nella centralità della tecnologia scevra da scorciatoie, furbizie, insomma meno marketing e più fatti. Abbiamo visto che le tematiche nostre si intrecciavano ovviamente con un mercato puramente capitalistico, ma quando sei in cerca di compagni di viaggio e ti presenti con dei valori solidi, finisci per incontrare partner simili a te. Così è avvenuto con Seacom che a settembre 2021 è divenuta socia di maggioranza di Binario Etico, una realtà che non è ancora una società benefit, ma che vuole diventarlo, anzi vuole diventare e farsi certificare B-corp. Quindi siamo felici anche di aver ‘contagiato’ chi ci sta accanto”.

Tra i vostri punti cardini c’è anche il green computing, cioè l’informatica verde, alleata all’ambiente. Quanto vi sta aiutando la rivoluzione portata nelle piazze da Greta Thumberg? “Sensibilità c’è, qualche interesse in più lo percepiamo da quando abbiamo iniziato. C’è però da capire quanto sia vero interesse green o più green washing. Comunque sia, è veramente difficile fare i duri e puri e operare in un mercato capitalistico. Spesso, meglio che ti vada, il mercato ti ingloba e ti addomestica. Non pensiamo quindi di fare la rivoluzione qui a Binario Etico. Pensiamo a fare le nostre cose fatte bene, alla luce dei nostri valori e delle nostre idee. Fare di più è impossibile, per chi come noi comunque deve far quadrare i conti a fine mese. Anche perché molto spesso il cambiamento di rotta sui temi ambientali è materia di sfere di potere decisionale che non riusciremmo comunque a incidere”.

Lavorate molto con la Pubblica Amministrazione italiana. Con tutti i fronti aperti che spesso la zavorrano, c’è posto anche per un ripensamento digitale? “La pubblica amministrazione è stata una dei primi ambienti dove l’open source si è impiantato. Esiste uno zoccolo duro di amministratori e tecnici che ci credono veramente. Certo, è una lotta spesso impari, dovendo combattere contro lobby molto potenti, soprattutto a livello politico. Pensiamo per esempio a Telecom che ha rinunciato a sviluppare in proprio l’infrastruttura tecnologica affidandola a Google, che poi è l’infrastruttura sulla quale poggia la Pubblica Amministrazione in quanto provider e quindi pensiamo ai dati degli italiani che sono attualmente su cloud principalmente americani…”.

Cosa manca allora per fare un cambio passo? “Uno dei punti fondamentali sono le competenze. Questo è il prossimo tema forte. I nostri temi sono appannaggio di pochi tecnici preparati, che faticano a trovare uno spazio di agibilità politica. In Europa abbiamo Germania e Francia in primissima linea su queste battaglie, pensiamo al progetto Gaia-x, nato per far rimanere i dati dei cittadini europei su cloud ospitati in europa. Il PNRR sta fornendo a paesi come l’Italia che sono un po’ più in ritardo la possibilità di mettersi in pari. A livello universitario i ragazzi che studiano ingegneria o informatica non hanno al centro dei loro percorsi formativi degli argomenti così d’attualità e nell’informatica basta rimanere indietro per poco tempo che il valore effettivo del ritardo è quasi decennale. E infatti alla domanda se noi italiani saremmo capaci di creare e gestire una cloud nazionale la risposta è no, proprio perché manca mentalità politica e un investimento decennale, in un presente dove chi governa pensa quasi sempre solo a questioni di cinque anni in cinque anni, se va bene. La politica italiana con questa scusa del non essere pronti ha così dato in mano le infrastrutture ai grandi player.”.

Lasciando stare gli orizzonti internazionali e nazionali, quale prospettive positive si possono configurare per i nostri territori in termini di adozione di soluzioni open source a tutela del cittadino? “Proprio i piccoli comuni, magari mettendosi insieme, giocando quindi di squadra a livello di fondi, dovrebbero essere i primi a voler sviluppare i propri servizi attraverso il software libero. Creare proprie infrastrutture permetterebbe loro di essere indipendenti, tenendo stretti i propri dati sul territorio. I soldi con il PNRR ci sono, di certo c’è ancora un grossissimo lavoro di formazione da fare, ma se mai si inizia, mai si arriverà”.

Part of the new Dutch petascale national supercomputer, "Cartesius", provided and built by Bull - © Dennis van Zuijlekom

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