di Michela Di Michele e Paola Springhetti – 14 marzo 2022

Non è un PNRR per il Terzo settore

 Un Piano di ripartenza dalla portata storica, nel quale però il non profit rischia di essere solo una comparsa. Eppure sarebbe un’occasione unica per fare gioco di squadra da Nord a Sud, e per attuare la Riforma

Per trovarlo si deve arrivare fino a pagina 199. È solo qui, a tre quarti del volume, che di pagine ne conta 269, che compare per la prima volta il Terzo settore nel testo che illustra il “Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza”, meglio noto come Pnrr, ovvero il documento che il governo italiano, guidato da Mario Draghi, ha presentato alla Commissione Europea a maggio 2021 per illustrare come intende gestire i fondi di Next Generation EU, il più ingente pacchetto di misure di stimolo mai finanziato in Europa.

Con 191,5 miliardi di euro, quasi il 10% del totale, suddivisi tra sovvenzioni (68,9 miliardi) e prestiti (122,6 miliardi), l’Italia è il Paese dell’Unione che più beneficia di questo programma di finanziamento da 2.018 miliardi di euro, finalizzato a sostenere
i Paesi dopo la pandemia, e che vuole rendere l’Europa più ecologica, digitale e resiliente, ma anche più equa e inclusiva.
A queste risorse sono da aggiungere per l’Italia circa 13 miliardi di euro provenienti dal programma Assistenza alla ripresa per
la coesione e i territori d’Europa (React-Eu) e altri 30,62 miliardi per completare i progetti del Pnrr. Conti alla mano, ammontano dunque a 235,12 miliardi di euro le risorse che saranno gestite dall’Italia per l’attuazione del Piano. I fondi verranno veicolati dallo Stato centrale e dalle amministrazioni locali, attraverso le forme tradizionali degli appalti sugli investimenti: i bandi.

Il Pnrr si regge su ambiti da tempo individuati dai governi nazionali come i pilastri sui quali fondare la linea di sviluppo dell’Unione. La pandemia ha reso inagibile la leva del rinvio, per cui ora i propositi non sono più procrastinabili. Si deve agire, in fretta. Le cosiddette Missioni che compongono il Piano sono sei, che a loro volta contengono gli specifici progetti di investimento. Le Missioni riguardano questi settori: Digitalizzazione, innovazione, competitività, cultura e turismo; Rivoluzione verde e transizione ecologica; Infrastrutture per una mobilità sostenibile; Istruzione e ricerca; Coesione e Inclusione; Salute.

Il Terzo settore è interessato, in particolare, dalla quinta missione, inclusione e coesione, che può contare su 22,4 miliardi di euro. Grossa parte di questi fondi è destinata a potenziare l’occupazione, il restante a migliorare il Servizio Civile, a rafforzare le infrastrutture sociali e alle politiche di sostegno di minori, anziani e persone con disabilità. Questo non significa che le realtà del Terzo settore e le associazioni di volontariato non possano accedere ai fondi stanziati per le altre Missioni, inserendosi nei progetti che Regioni, Province e amministrazioni comunali hanno presentato e sono state inserite nel Pnrr.ù

Tuttavia, si diceva, il Terzo settore, che pure conta 360mila soggetti giuridici diversi tra fondazioni, associazioni e cooperative sociali, circa 800mila dipendenti e oltre sei milioni di volontari, compare in una posizione ancillare e facoltativa, laddove si legge che “l’azione pubblica potrà (corsivo nostro, ndr) avvalersi del contributo del Terzo settore. La pianificazione in co-progettazione di servizi sfruttando sinergie tra impresa sociale, volontariato e amministrazioni, consente di operare una lettura più penetrante dei disagi e dei bisogni al fine di venire incontro alle nuove marginalità e fornire servizi più innovativi, in un reciproco scambio di competenze ed esperienze che arricchiranno sia la Pa, sia il Terzo settore”. Una presenza marginale che non contempla il protagonismo di questo comparto nel cambiamento del Paese che il Pnrr si propone di innescare.
Quello che rimane, è il supporto dell’impegno civico nell’attuazione dei progetti presentati sul territorio, qualora amministrazioni ed enti locali che ne guidano la governance ritengano di coinvolgerlo.

Vanessa Pallucchi è la portavoce nazionale del Forum del Terzo settore e siede al “Tavolo Permanente per il partenariato economico, sociale e territoriale”. Si tratta di un luogo di confronto coordinato dall’ex ministro Tiziano Treu – istituito dal Governo cinque mesi dopo la presentazione del Pnrr, a ottobre 2021. Il tavolo svolge una funzione consultiva nelle materie connesse all’attuazione del Pnrr e vi partecipano i rappresentanti delle parti sociali, del Governo, delle Regioni, delle Pro-
vince autonome, degli Enti locali, di Roma capitale, delle categorie produttive e sociali, del sistema dell’università e della ricerca, della società civile e delle organizzazioni della cittadinanza attiva. Infine, il Tavolo può segnalare ogni profilo ritenuto rilevante per la realizzazione del Piano alla Cabina di regia nazionale, ovvero l’organo che garantisce la supervisione
sull’avanzamento del Piano.

“Il tavolo – spiega Vanessa Pallucchi – si riunisce da novembre 2021 e si sta concentrando su quattro punti principali: la semplificazione amministrativa; le misure per le opportunità di genere e generazionali; asili e scuole per l’infanzia; la consapevolezza e la cultura di matrice ambientale”. Al tavolo partecipano quei soggetti che sui territori sono preposti ad attuare iniziative attorno all’utilizzo dei finanziamenti, che verranno erogati attraverso gli Avvisi. Su questo il Forum del Terzo settore avanza una richiesta precisa: “In coerenza con quanto già indicato nel Pnrr, si deve dare concretezza al metodo della co-programmazione e della co-progettazione, ovvero mettere in atto due tipologie di relazioni tra enti pubblici e Terzo settore ispirate al principio della collaborazione.

Co-programmare consiste nell’individuare insieme i bisogni da soddisfare e i relativi interventi necessari, co-progettare, nel realizzare specifici progetti. Approcci che trovano ancora molta resistenza da parte della Pubblica amministrazione e su questo il Pnrr può essere l’occasione per trasformare una bella idea in una prassi comune, visto che l’attuazione chiede di mettere più soggetti attorno a un progetto di cambiamento. “Come Terzo settore – aggiunge Vanessa Pallucchi – abbiamo una sfida nella sfida: parallelamente al Piano dobbiamo portare avanti anche la piena attuazione della Riforma che noi stessi dobbiamo guidare” (vedi servizio a pag. 25, ndr). Fra gli aspetti più rilevanti occorre che sui territori si adotti quanto stabilito dall’articolo 55 del Codice del Terzo settore: in base a questo in dirizzo, le amministrazioni pubbliche, nell’esercizio delle proprie funzioni di programmazione e organizzazione a livello territoriale, devono assicurare il coinvolgimento attivo degli enti del Terzo settore, attraverso forme di co-programmazione e co-progettazione, appunto.

Tuttavia, perché questo confronto avvenga, devono verificarsi almeno due condizioni, dice De Luca: “La prima consiste nell’avere la possibilità di esercitare una sorta di monitoraggio civico rispetto all’attuazione del Piano, attraverso strumenti di maggiore trasparenza, perché quelli esistenti, come il portale Italia Domani (italiadomani.it), sono del tutto insufficienti, e anzi meno efficaci delle modalità che le amministrazioni locali sono già capaci di assicurare. La seconda condizione sta nella necessità di trovare un nuovo modo di agire da parte della Pubblica amministrazione”.

Su questo punto, tra l’altro, a ottobre 2021, in occasione del suo insediamento come presidente della Scuola Nazionale dell’Amministrazione, si è espressa anche l’ex ministra della Giustizia Paola Severino, affermando che ci sarà bisogno di personale pubblico motivato e che lavori per obiettivi. “Fare rete è un altro elemento fondamentale – ricorda De Luca – bisogna investire molto nella propria capacità di muoversi insieme e non agire singolarmente verso la Pubblica amministrazione, per diventare un gruppo di pressione, anche se coordinare tante voci diverse è complicato ed è necessaria un po’ di cessione di sovranità da parte di ognuno”.

Il ragionamento su quale ruolo voglia giocare il volontariato, infatti, ha anche una dimensione tutta interna. La percezione diffusa tra le associazioni di volontariato è quella di grandi aspettative nei confronti del Pnrr, anche in termini di finanziamento delle attività. Quello che emerge dalla disamina dei fatti, però, è che non sarà così facile accedere ai fondi.
Chiara Tommasini, presidente di CSVnet, l’Associazione nazionale dei Centri di Servizio per il Volontariato, è esplicita a riguardo: “il Pnrr richiede una logica progettuale, anziché erogativa, e un approccio volto a riforme strutturali importanti”. Niente soldi a pioggia. Qui c’è il punto dolente: nella Missione 5 del Pnrr si legge di co-progettazione, ma questa sembra
un po’ un’araba fenice: tutti ne parlano, ma nessuno riesce ad afferrarla.

“Abbiamo bisogno di un cambio di approccio. Questo è un momento di maturazione dell’attuazione del Codice del Terzo settore e credo che il Piano possa essere l’occasione per far crescere finalmente la capacità degli enti di Terzo settore di co-programmare con la Pubblica amministrazione, prima ancora che co-progettarli tra di noi”, afferma la presidente.
In questa complessità, i Centri di Servizio possono essere un luogo operativo importante. Oltre ad aiutare e indirizzare gli enti del volon tariato nel conoscere le opportunità per inserirsi nei progetti approvati, e quindi capire come entrare nella realizzazione di queste iniziative, i Csv possono essere i promotori di quelle reti, tra associazioni e altri attori del territorio, che sono così cruciali per cogliere le opportunità del Piano.

Favorire la creazione di relazioni è tra i compiti dei Centri di Servizio, che diventa ancora più strategico se pensato in funzione del Pnrr. In questo senso, i Csv devono rafforzare la loro capacità di essere hub territoriali che facilitano gli scambi e le conoscenze tra enti locali, volontariato, aziende profit, nell’ottica di creare valore per la comunità. Sherpa del
bene comune. In qualità di Enti di Terzo settore, in alcuni casi, i Csv stessi possono essere capofila di progetti che comprendono una rete di associazioni, come previsto, ad esempio, in un’attività della Missione 5 relativa alla povertà educativa e il cui bando è stato emanato dal Ministero per il Sud e la Coesione territoriale.

“Sono, però, interventi che arrivano alla fine del processo e richiedono competenze interne ai Csv qualificate che al momento dubito che ci siano, o che ci siano a sufficienza, vista la complessità del tema” afferma Casto Di Bonaventura, presidente del Centro Servizi per il Volontariato dell’Abruzzo. Da persona attiva sul territorio, rintraccia nel Pnrr l’attenzione verso molti temi, come la lotta alle disuguaglianze, in particolare quelle legate alla disabilità, all’inclusione lavorativa, ai gio-
vani, che costituiscono gli ambiti di azione per moltissime associazioni di volontariato. Riconosce, però, che “proporsi, magari sgomitando un po’, come soggetti attuatori nella realizzazione di quanto già progettato, rappresenta la sola opportunità da cogliere per il volontariato con gli altri soggetti del territorio”. Tuttavia non bisogna abbandonare anche questo spazio, e per occuparlo, secondo Di Bonaventura, “l’associazionismo deve fare autocritica, acquisire coscienza della propria forza e delle competenze che i volontari possiedono, per passare dal lamento di ciò che è mancato
alla valorizzazione di ciò che è ancora possibile fare, rivendicando così anche il proprio ruolo politico ed economico”.

Il Pnrr è un progetto di ripresa economica, di fatto, nel quale l’aumento del Pil è il parametro chiave che farà dire se i progetti hanno funzionato, oppure no. “Anche la Missione 5 – ricorda il presidente del Csv Abruzzo – , che è quella più vocata al sociale, in realtà si basa sulla creazione di posti di lavoro, in particolare occupazio – ne femminile, perché saranno questi a muovere la lancetta della crescita economica. Non si interroga sulle cause della mancanza di questi posti, né sulle motivazioni sociali, in termini di persone e di reti, che impediscono alle donne di andare a lavorare perché questo è inconciliabile con il loro ruolo nella famiglia. Stesso approccio anche per l’abbandono scolastico: il Pnrr presenta progetti per arginare il fenomeno trattandolo come se fosse la trasmissione di competenze il punto, quando in realtà tralascia ancora
una volta di considerare il tessuto sociale nel quale hanno origine queste storie e le motivazioni per le quali molti ragazzi interrompono gli studi”.

Un fenomeno che, stando alla ricerca condotta da Openpolis nel 2020, ha interessato il 13% della popolazione, con il picco del 19% in Sicilia, collocando l’Italia in coda alla classifica europea. Secondo Casto Di Bonaventura, il Pnrr è in linea con la tendenza consolidata di considerare il volontariato “come la crocerossina che cura le ferite a valle di battaglie decise da altri”. E se da parte delle istituzioni pubbliche, da quelle centrali a quelle locali, manca una visione sistemica della società che includa il volontariato quale soggetto attivo e con pari dignità nella ideazione di processi, è fondamentale la reale applicazione del già citato articolo 55 del Codice del Terzo settore che ne impone il coinvolgimento come co-protagonista dello sviluppo:

“Per rendere realmente operativa questa norma – spiega Di Bonaventura – , è necessario attivare processi infor-
mativi e formativi con e verso la dirigenza e i funzionari che in questi Enti operano. In questo, la rete composta
dalle organizzazioni di volontariato, Csv e Forum può essere strategica partendo dalla co-essenzialità di tutte le
associazioni che operano nella vasta piazza della vita e imporre la loro presenza nei tavoli decisionali”.

C’è sul piatto una torta molto attraente per i commensali europei, ma non c’è molto tempo: da qui al 2026, i Paesi europei potranno richiedere e ottenere dalla Commissione Europea i finanziamenti su base semestrale e solo a fronte dell’effettivo conseguimento dei traguardi e degli obiettivi intermedi, concordati con le Istituzioni europee. In particolare l’Italia dovrà centrare 527 punti, tra traguardi (213) e obiettivi intermedi (314), suddivisi per annualità. Non rimane che lavorare insieme per suddividere questa torta in fette che possano rifocillare tutti, senza disparità e senza sprecarne neanche una briciola. E tenendo conto che sarà pagata con soldi presi in prestito dai cittadini di domani. Debito “buono”, per favorire la crescita, ma a carico della Next Generation EU.

© immagine di Filippo Attili

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