di Francesco Bizzini – 1 febbraio 2022

I volontariati ai tempi della crisi

 A Milano è stata presentata la ricerca internazionale che ha voluto indagare gli atteggiamenti e la percezione sul volontariato e sui volontari che si attivano in situazione di crisi. VDossier ha incontrato i protagonisti della tavola rotonda

Il 26 gennaio 2022 si è tenuto a Milano il convegno “Volontariato e solidarietà in tempi di crisi”, organizzato da CSV Milano per presentare la ricerca internazionale lanciata nel 2020 dal progetto europeo “VOCIS – Volunteers as a force of solidarity in times of crisis” e che ha visto nella cabina di regia realtà sociali provenienti da Belgio, Croazia, Italia, Serbia e Polonia.

L’obiettivo dello studio, curato per l’Italia dal Centro di Servizio per il Volontariato della Città Metropolitana di Milano, è stato quello di indagare gli atteggiamenti e la percezione sul volontariato e sui volontari che si attivano in situazione di crisi, in particolare sul ruolo dei volontari durante la crisi dei rifugiati e, con l’avvento della pandemia, sui meccanismi di attivazione della cittadinanza durante l’emergenza sanitaria.

La ricerca ha sottolineato quanto l’attivismo civico sia percepito come strumento utile per risolvere i problemi di una comunità locale, favorire un’atmosfera di fiducia e solidarietà nella comunità di riferimento, oltre che essere considerato una buona opportunità per acquistare nuove competenze e per impiegare il proprio tempo libero. Gli intervistati sono concordi altresì che il volontariato non sia sufficientemente riconosciuto dalla nostra società.

L’evento di presentazione ha visto al tavolo dei relatori anche diversi rappresentanti di quei Volontariati che durante la perdurante la Pandemia hanno agito, con prassi e paradigmi differenti, la solidarietà e la cura nei quartieri e nei territori della Città Metropolitana di Milano. Realtà accomunate dall’aver dovuto ripensare il proprio approccio e le proprie priorità per dare risposte veloci ed efficaci.

“Noi siamo nati a gennaio 2020 con l’idea di fare cooperazione internazionale – racconta Alberto Sanna di Associazione Dare.ngo -, poi è scoppiata la pandemia e quindi abbiamo indirizzato la nostra azione sul territorio, nel Quartiere Corvetto, dove abbiamo la sede. Per aiutare soprattutto le famiglie abbiamo fatto partire un crowdfunding. Abbiamo inoltre valorizzato la rete di associazioni e realtà intorno a noi, interfacciandoci anche con associazioni di migranti sia filippine, congolesi, che senegalesi. Alla fine è nato il progetto Lontani+vicini che teneva insieme tutti in un importante gioco di squadra”.

Anche le Caritas locali hanno dato il loro contributo, intercettando e rispondendo a bisogni che spesso superavano la semplice consegna di beni di prima necessità: “Il nostro è un territorio particolare – ha illustrato Giorgio Brambilla di Caritas Pioltello -, infatti su 36.000 abitanti, 6.000 circa sono stranieri, quindi il 16% circa, con più di 90 nazionalità presenti. Noi seguivamo prima della pandemia 850 famiglie e da marzo 2020 si sono aggiunte altre 400. Raggiungiamo 4.500 persone con 600 pacchi alimentari alla settimana. Però abbiamo riconvertito anche le nostre attività. La crisi economica stava mordendo e ci siamo dovuti confrontare con l’educazione finanziaria di chi aiutavamo. Abbiamo ovviamente notato indebitamento facile, ricorso con leggerezza a prestiti. Abbiamo così organizzato corsi di formazione finanziaria e la risposta è stata importante”.

Anche i gruppi informali, come le social street, hanno giocato un ruolo vitale, soprattutto nella veste di volontari di prossimità, online e offline: “Il nostro gruppo – precisa Fabio Calarco della San Gottardo Meda Montegani Social Street – da sempre si basa su un mix di digitale e offline. La pandemia ovviamente ha stravolto il paradigma. Molti di noi sono rimasti 24 ore su 24 sul gruppo Facebook per aiutare chi nel quartiere aveva bisogno, soprattutto persone positive al Covid, in un periodo dove non c’erano informazioni. Un incontro tra domande e risposte che già era presente prima del Covid, per esempio nel nostro progetto ‘adotta un vicino’ e che poi è risultato straordinario durante questa crisi. Abbiamo anche organizzato in poche ore un sito web che raccogliesse l’elenco di tutte le attività commerciali della zona che decisero di consegnare le spese gratuitamente. Questo database ci è stato poi richiesto dal Comune di Milano che lo ha adottato per tutta la Città”

Anche le grandi realtà sociali hanno dovuto ripensare il proprio intervento, scoprendo così nuovi orizzonti e nuovi ambiti di intervento, come ha raccontato Marco Latrecchina di Emergency: “Abbiamo da sempre ha un grande parco volontari, circa 3000, ma che storicamente non è mai stato impiegato per attività operative, ma piuttosto su attività culturali, ricreative, divulgative. Ovviamente da marzo 2020 cambiò tutto anche per noi: iniziamo a ricevere da Regioni e Comuni richieste di intervento in determinati ambiti. In quelli sanitari ci abbiamo dirottato le forze professionali, ma c’era altri ambiti dove i volontari potevano ben essere impiegati e così abbiamo fatto. La difficoltà era quello di standardizzare un intervento nazionale. Per fortuna che a fine febbraio 2020 siamo riusciti a richiamare in Italia il team che aveva approntato gli ospedali Ebola in Sierra Leone. Grazie a loro abbiamo protocollato ogni tipo di attività, producendo dei semplici video-tutorial. Il problema che anche tra i nostri volontari c’erano gli over 60 e addirittura il team volle porre in lockdown anche gli over 40. Tra marzo aprile, solo a Milano, riceviamo un migliaio di richieste di nuove volontarie e volontari, ai quali si aggiungono i 300 provenienti delle Brigate. Per noi è stata un’avventura nuova che ci ha aperto gli occhi: i nuovi volontari diventano antenne, ci danno accesso ai bisogni dei territori e ci ha portato a creare progetti dove loro sono protagonisti”.

E proprio Ivan Bonnin dal Coordinamento delle brigate volontarie che, a partire dal ruolo svolto in questa pandemia al fianco di Emergency, traccia un bilancio delle attività del collettivo di volontarie e volontarie, confermando che l’impegno non si fermerà con il concludersi dell’emergenza: “Abbiamo avuto un ampio dibattito nel nostro interno riguardo al nostro nome. Ci chiamiamo Brigate Volontarie per l’Emergenza. Nasciamo a marzo 2020, ma noi vogliamo guardare al futuro, siamo qui per rimanerci e quindi ci siamo interrogati sul tenere o meno l’ultima parte della nostra denominazione. Abbiamo scelto di tenerlo perché viviamo in un’epoca di emergenze continue, pensiamo al cambiamento climatico, ai mille morti sul lavoro l’anno, alla quantità di femminicidi. E la coerenza di tenere tale nome si radica nel nostro tipo di volontariato, che non è mai un aiuto neutro, ma una critica incarnata nella prassi”.

I volontariati ai tempi della crisi

TI POTREBBERO INTERESSARE