di Donatella Gasperi – 10 dicembre 2021

Il metodo Calò “Si può fare”

 La formula d'accoglienza inventata dal professore trevigiano è 6+6X6: sei rifugiati per nucleo, uno ogni 5.000 abitanti, più sei operatori ogni sei nuclei d’inserimento. Un successo che ora fa scuola in Europa. "Il volontariato? Non è un dare la mano, ma è capire che solo insieme si può fare qualche cosa"

È conosciuto come “metodo Calò” e adesso è un progetto sperimentale europeo.

Partendo dalla sua esperienza, il professor Antonio Silvio Calò ha sviluppato un modello di accoglienza diffusa che ora alcune amministrazioni di sei Paesi europei stanno realizzando con i fondi della Commissione Ue.

Dal giugno 2015 Antonio Silvio Calò con sua moglie Nicoletta Ferrara e i loro quattro figli ha deciso di aprire la propria casa a sei richiedenti asilo africani naufragati al largo di Lampedusa: Sahiou, Mohammed, Braima, Siaka, Tidja, Saeed. Una scelta importante ed efficace perché la famiglia Calò ha dato ai ragazzi ospiti non soltanto un alloggio, ma anche le abilità e una formazione necessaria, attraverso percorsi individuali, per integrarsi all’interno della società e così li hanno accompagnati all’autonomia. È accaduto in Veneto, nel Trevigiano.

Un’esperienza che non è passata inosservata per cui il professor Calò nel 2015 ha ricevuto l’onorificenza di Ufficiale dell’Ordine al Merito della Repubblica, conferitagli dal Presidente Mattarella; nel 2018 quella di Cittadino europeo dell’anno da parte dell’Europarlamento e, sempre nel 2018, il CSV di Padova gli ha assegnato il Premio Gattamelata.

La formula è 6+6X6: sei rifugiati per nucleo, uno ogni 5.000 abitanti, più sei operatori ogni sei nuclei per l’inserimento: l’avvocato, l’insegnante, il mediatore culturale, il medico, lo psicologo, l’assistente sociale. Trenta euro giornalieri a rifugiato fanno 5.400 euro mensili a gruppo che per 6 gruppi sono 32.400 che bastano per lo stipendio dei sei professionisti.

Dall’esperienza della famiglia Calò nasce anche il progetto Embracin che coinvolge una rete transnazionale di autorità locali che vogliono usare le iniziative dal basso per migliorare l’integrazione dei migranti. Il progetto si compone di una rete centrale di 4 comuni e 2 reti di comuni di 6 diversi paesi (Italia, Slovenia, Grecia, Cipro, Spagna, Svezia). Il Comune di Padova è capofila del progetto Embracin, finanziato da un programma europeo.

Il “metodo Calò” è raccontato anche in un libro uscito a fine ottobre 2021: “Si può fare. L’accoglienza diffusa in Europa“, scritto da Antonio Silvio Calò con la giornalista Silke Wallenburg in italiano e in inglese, con la prefazione di David Sassoli, presidente del Parlamento Europeo e la postfazione di Romano Prodi già presidente della Commissione europea.
Un titolo emblematico, ma “questo ‘si può fare’ è della comunità, non della famiglia Calò. È delle persone che ci hanno messo l’anima – spiega il professore – Per questo voglio poterlo presentare al Parlamento Europeo, alle Nazioni unite e all’Unione africana. È necessario coinvolgere le Istituzioni per poter dare ai giovani africani la possibilità scegliere, di restare a casa, in Africa. Per questo occorre generare un welfare e noi dobbiamo smetterla di comportarci da colonizzatori, smetterla di fare la carità come ci spiega bene don Dante Carraro presidente del Cuamm“.

Per Calò accogliere è la chiave per uscire dall’ignavia generale di fronte al fenomeno delle migrazioni anche perché: “Il volontariato non è un dare la mano, ma è capire che solo insieme si può fare qualche cosa e questa è la cosa più bella, perché il volontario non lo fa per un motivo terzo. Fare volontariato significa dedicare del tempo agli altri in modo oblativo e oggi questa è una dimensione necessaria”.


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Ascolta l’intervista completa a Antonio Silvio Calò, dal podcast Voci alla finestra, curato del Centro Servizio Volontariato di Padova e Rovigo erealizzato dalla giornalista Donatella Gasperi:



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