di Giulio Sensi – 2 febbraio 2024

Volontariato, Istat certifica la crisi ma i dati vanno letti con attenzione

 Solidarietà gratuita: è allarme per la dimensione numerica delle persone impegnate e, soprattutto, della mancata presa sulle nuove generazioni. Il non profit italiano, di certo, sta cambiando forma però, comunque, continua ad avere una forte componente solidale.

“Vivevamo sulla nostra pelle le fatiche e le difficoltà, ma siamo stupiti dalla dimensione numerica della crisi del volontariato”: è stata questa più o meno la reazione del Terzo settore, dei Centri di servizio per il volontariato, degli esperti e degli osservatori alla diffusione nel maggio scorso da parte dell’Istat dei dati relativi ai volontari in organico alle istituzioni non profit (Inp), frutto della seconda edizione del Censimento. Questi i dati: diminuzione del 15,7 per cento (da 5,528 milioni a 4,661 milioni) dei volontari attivi. Un calo drastico rispetto alla precedente rilevazione del 2015, che ha messo al centro del dibattito la crisi del volontariato italiano, in particolare di quello definito più classico e tradizionale che pare non faccia più molta presa, soprattutto fra le nuove generazioni.

Perché i dati in questione si riferiscono proprio alle istituzioni non profit rilevate dall’Istat, che non coincidono esattamente con le organizzazioni del terzo settore perché nell’universo di riferimento definito dalla statistica ufficiale sono inclusi anche sindacati, partiti politici, associazioni di categoria, enti ecclesiastici e altre organizzazioni non iscritte al Runts (fra cui associazioni sportive, istituzioni educative, sanitarie o assistenziali che non operano sotto forma di imprese e che hanno finalità non lucrative).

Il calo dei volontari è stimato dunque dentro il perimetro del volontariato “organizzato” e non in quello definito “informale” che non viene misurato in maniera sistematica anche se ha un suo dato statistico di riferimento anch’esso prodotto dall’Istat. Conoscere a fondo il processo di raccolta ed elaborazione delle informazioni è fondamentale per capire quello che i dati raccontano. Con l’aiuto di Sabrina Stoppiello, responsabile del Censimento permanente delle Inp dell’Istat, ricostruiamo il loro percorso di costruzione. Partiamo proprio dal campione, il grande contenitore dentro cui l’Istat svolge la rilevazione.

Il campione dell’indagine Istat. “Il campione selezionato per la rilevazione del 2021 –racconta Sabrina Stoppiello– è costituto da 110 mila unità, pari al 30 per cento dell’universo di riferimento da cui viene estratto, costituito dalle 363mila unità presenti nel Registro statistico delle istituzioni non profit predisposto dall’Istat. Si tratta di un campione consistente, sicuramente più ampio di molti campioni su cui si basano le rilevazioni dell’Istituto”. Il disegno campionario si basa sulle informazioni di cui l’istituto dispone per tutte le unità: caratteristiche strutturali –spiega Stoppiello —, quali localizzazione territoriale, forma giuridica, attività economica e risorse umane impiegate, e i risultati delle precedenti rilevazioni sul settore”. Un campione che ha l’obiettivo di restituire gli aspetti peculiari del settore non profit, che in Italia si caratterizza per presenza di poche istituzioni di grandi dimensioni (per rilevanza economica) e molte micro organizzazioni, spesso operanti solo con personale volontario, ma anche per l’esistenza di tipologie istituzionali molto diverse fra loro, per struttura organizzativa, attività e ambiti di intervento, distribuzione territoriale diversificata.

Chi è il volontario secondo Istat? La definizione adottata dall’Istat è questa: “colui che presta la propria opera, anche saltuaria, senza ricevere alcun corrispettivo, presso l’istituzione non profit. L’attività del volontario è finalizzata alla realizzazione di servizi altruistici e solidaristici a favore di altri individui o della collettività in generale o per le finalità dell’istituzione”. Non sono inclusi i donatori di sangue, organi, midollo e tessuto, a meno che non svolgano anche attività volontaria nell’organizzazione, gli operatori volontari del Servizio Civile Universale e i soci o associati che solo occasionalmente coadiuvano gli organi sociali nello svolgimento delle loro funzioni. “La definizione è in linea –precisa Stoppiello –con i riferimenti internazionali (Handbook on Non-profit Institutions in the System of National Accounts, Manual on the measurement of volunteer work — ILO), con la definizione prevista dalla legge di riforma del Terzo settore e con quella adottata dall’Istat anche nelle rilevazioni multiscopo sulle famiglie, in cui si chiede agli individui se svolgono attività di volontariato almeno per un’ora nelle ultime quattro settimane.

Quindi –aggiunge ancora Stoppiello– la domanda principale è: quanti volontari aveva in organico l’Inp, alla data del 31 dicembre 2021?”. Sono definiti convenzionalmente “in organico” i volontari sui quali l’istituzione può contare per realizzare le proprie attività. “Nel questionario della rilevazione sono inoltre inserite domande sulle modalità di attività di volontari: sistematica (con una regolarità programmata) oppure saltuaria e questo rileva informazioni utili anche sull’intensità dell’attività e quindi il reale bacino di persone su cui l’organizzazione può contare”.

I principali risultati. Al 31 dicembre 2021 il 72,1 per cento delle Inp si avvale di 4,661 milioni di volontari: si registra il calo ma si ribadisce anche quanto sia fondamentale il ruolo dei volontari nel Terzo settore, presenti in più di due organizzazioni su tre. “Rispetto al genere –aggiunge Stoppiello —, la diminuzione è evidente per entrambe le categorie, ma quella relativo alla componente femminile risulta di entità minore: meno 17,6 per cento per gli uomini, meno 13 per cento per le donne. Per spiegare in parte questa tendenza negativa è importante sottolineare che i dati si riferiscono al 2021, quando l’emergenza sanitaria da covid-19 era ancora in corso e senza dubbio le diverse restrizioni e il distanziamento sociale imposti hanno inciso sulle attività sia delle organizzazioni sia dei singoli individui”.

L’Istat fornisce anche una prima analisi territoriale: la presenza più cospicua si registra nelle aree del Nord Italia, in particolare nel Nord-Ovest dove sono presenti il 29,3 per cento di Inp con volontari e il 30,2 per cento di volontari, nel Nord-Est, rispettivamente il 25 e il 26,2 per cento. Anche considerando il numero rispetto alla popolazione residente, le regioni settentrionali e centrali mostrano dati superiori alla media nazionale (pari a 790 per 10mila abitanti), con 1.165 volontari per 10mila abitanti nel Nord-est, 892 nel Centro e 887 nel Nord-ovest. Nel Sud e nelle Isole si rilevano rispettivamente 492 e 509 volontari per 10mila abitanti.

Cosa dicono i dati. “I dati –conclude Stoppiello– dicono che il non profit italiano ha una fortissima componente solidale, basata sull’attività di individui che gratuitamente offrono il loro tempo, le loro competenze e i loro talenti per il benessere della collettività, il supporto e sostegno a soggetti fragili, vulnerabili, per i bisogni di singoli individui e di comunità, ma anche per l’ambiente, i beni comuni, luoghi e territori. Numeri che restituiscono la complessità e la ricchezza delle diverse componenti del volontariato organizzato italiano, che spesso sono anche legate alle specificità territoriali.

Che si occupi di cultura, sport, ambiente o assistenza e sostegno ai fragili, la presenza sul territorio è una prova tangibile della vitalità di un tessuto locale. Il volontariato nelle istituzioni non profit racconta, inoltre, di contesti culturali e sociali sempre più ricchi, nei quali si strutturano esperienze diverse: come risposta ai bisogni sociali di una comunità o di categorie svantaggiate, ma anche come forma di socializzazione e di relazionalità degli individui ed espressione di partecipazione civica finalizzata alla promozione di policy e alla tutela dei diritti e dei beni comuni”.

Le anime del volontariato italiano. Secondo la classificazione proposta da Salamon e Sokolowski, il volontariato può essere declinato secondo forme differenti, in relazione ai settori di attività nei quali opera e quindi alle finalità, la mission di individui e organizzazioni. Quello attivo nei settori della cultura, sport e ricreazione, tutela dei diritti e attività politica, ambiente, relazioni sindacali e rappresentanza di interessi, costituisce la forma espressiva del volontariato organizzato, finalizzata

proprio all’espressione dei bisogni di relazionalità, cooperazione e condivisione di obiettivi comuni. Nel 2021 tale componente risulta prevalente, con il 74,2 per cento di Inp e il 61,8 per cento di volontari. “È una forma –spiega Stoppiello– diretta da un lato ai bisogni di individui (soci di un’organizzazione), per il tempo libero o la tutela di diritti, dall’altro dedita alla cura beni collettivi, alla gestione di spazi della cultura e la salvaguardia del territorio, al benessere e al potenziamento delle risorse di una comunità. Esiste poi una forma di servizio in cui la partecipazione è finalizzata all’attenzione, alla cura di categorie sociali svantaggiate, basata su sentimenti di reciprocità e solidarietà e spesso sulla fornitura di servizi reali.

Tale componente opera nei settori della sanità, dell’assistenza sociale e protezione civile, dell’istruzione, dello sviluppo economico e coesione sociale e costituisce la seconda forma di volontariato del Paese, con il 18,7 per cento di Inp e il 27,3 per cento di volontari. Secondo la classificazione proposta dai due studiosi, infine, i settori della filantropia e promozione del volontariato, cooperazione e solidarietà internazionale, religione e altre attività costituiscono forme residuali (7,2 per cento di Inp con volontari e 10,9 per cento dei volontari rilevati), che tuttavia italiano si rilevano abbastanza significative, soprattutto per quanto riguarda l’impegno negli enti religiosi”.

Il volontariato fuori dalle associazioni. L’indagine non è l’unica fonte di dati. L’Istituto nazionale di Statistica fornisce annualmente anche una fotografia dell’evoluzione del fenomeno volontario nella società italiana tramite l’indagine “Aspetti della vita quotidiana”. A un campione rappresentativo della società italiana viene posto anche un set di domande relativo al volontariato, all’impegno civico e alla partecipazione sociale che ci permettono non solo di pesare la quota di cittadini che donano il proprio tempo in modo libero e gratuito per scopi solidali, ma anche di poter avere qualche dettaglio sulle caratteristiche principali di tale impegno.

Gli ultimi dati (che registrano una certa ripresa nel 2022 rispetto agli anni della pandemia) dicono chel’8,3 per cento dei cittadini afferma di svolgere attività gratuite in associazioni e il 2,7 per cento fuori da esse. I dati direbbero che l’andamento di entrambe queste forme di impegno è analogo, vivendo trend molto simili e che quindi non saremmo di fronte a un “travaso” di energie. Oggi il volontariato agisce su assi diversi rispetto al passato: assume meno forza e importanza quello gratuità-appartenenza-dedizione-sacrificio e più quello solidarietà-utilità sociale-benessere personale. Il volontariato sta cambiando forma e la sfida è continuare a coltivare i valori fondanti per non indebolirne il ruolo nella società italiana.

Progetto Fiaf CSVnet Tanti per tutti. Viaggio nel volontariato italiano © Marinella Zonta

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