di Monica Cerioni – 1 febbraio 2024

Volontari in azienda: ore lavoro destinate al mondo del non profit

 Un fenomeno in espansione nel nostro Paese e all’estero. Oltre quattromila imprese hanno proposto ai dipendenti il volontariato di competenza

“Può l’industria darsi dei fini? Si trovano questi semplicemente nell’indice dei profitti? Non vi è al di là del ritmo apparente qualcosa di più affascinante, una destinazione, una vocazione anche nella vita della fabbrica?”. Con queste parole, nel 1955, si rivolgeva agli operai di Pozzuoli Adriano Olivetti, che, con la sua visione d’impresa, è considerato a tutti gli effetti un pioniere nel concetto e nella pratica di responsabilità sociale d’impresa. Chissà se nell’immaginario di questo imprenditore, tanto illuminato, si prefiguravano già anche i contorni del volontariato aziendale.

Certo è che da allora i temi della Rsi (responsabilità sociale d’impresa) e del welfare aziendale sono entrati sempre di più nel mondo imprenditoriale. In “Professione volontario”, ricerca curata da Cristiano Caltabiano e Sara Vinciguerra per Fondazione Terzjus (2022, Rubbettino editore), si legge che il volontariato nelle aziende è in espansione, in Italia e all’estero, grazie anche a una serie di esperienze e sperimentazioni degli ultimi venti anni e che nell’ambito del volontariato aziendale, si può distinguere anche il cosiddetto volontariato di competenza, con esperienze che si caratterizzano per un elemento particolarmente innovativo, ovvero le competenze professionali che le imprese, tramite i loro collaboratori, mettono al servizio dei bisogni della collettività, grazie all’intermediazione dell’azienda.

In Italia sono oltre 4mila le imprese (il 5 per cento delle aziende con almeno 50 dipendenti) che hanno offerto al proprio personale l’opportunità di svolgere il volontariato di competenza e altre 21mila (il 26 per cento) sono interessate a consentirlo in futuro. A rivelarlo è un’indagine ad hoc, realizzata tra dicembre 2022 e aprile 2023, dal Sistema Informativo Excelsior di Unioncamere e Anpal (Agenzia nazionale politiche attive del lavoro), la prima ricerca del genere, che ha acceso i riflettori proprio su questa possibilità.

“Si è scelto di indagare all’interno delle indagini Excelsior –spiega Claudio Gagliardi, vice segretario generale di Unioncamere– anche alcuni processi di innovazione sociale basati sulla collaborazione, nei diversi territori, tra aziende profit e organizzazioni del Terzo settore. In particolare, è stata approfondita la diffusione del volontariato di competenza tra le imprese”. Si tratta della possibilità, offerta ai lavoratori dipendenti, di svolgere attività di volontariato durante l’orario di lavoro, mettendo a disposizione le competenze acquisite nel proprio percorso professionale in azienda.

Un’opportunità prevista dall’art. 100 del Testo unico delle imposte sui redditi (Tuir), che consente all’impresa di dedurre fino al 5 per mille delle spese relative all’impiego di lavoratori dipendenti per prestazioni di servizi erogate a favore di onlus e, non appena sarà confermato dalla Commissione europea il quadro normativo, degli enti del Terzo settore iscritti al Runts. “Alla base di questo approfondimento –continua Gagliardi– c’è il tema della collaborazione e dei modelli di ibridazione tra competenze delle aziende profit e competenze delle organizzazioni non-profit, che sappiamo essere molto rilevante per la stessa coesione delle comunità territoriali, a cui è collegata in misura significativa anche la capacità competitiva delle imprese”.

Alcune domande sono state inserite in una sezione dedicata del questionario mensile Excelsior, che ha come universo di riferimento tutte le imprese con almeno 50 dipendenti dei settori industriali e dei servizi. I dati ottenuti possono considerarsi particolarmente rappresentativi, essendo basati su un campione rispondente di circa 10mila imprese, distribuito a livello territoriale, di settori economici e di dimensioni. Due i dati che colpiscono: tra chi non prevede ancora questa pratica aziendale, il 61,6 per cento delle imprese intervistate dichiara di non conoscere affatto la relativa normativa del Tuir, e più di un quarto si dichiara interessata a sviluppare in futuro questa forma di innovazione sociale.

Quanto alle esperienze già attive: una maggiore propensione per il volontariato di competenza (12 per cento) si registra nelle imprese di medio grandi dimensioni (dai 250 agli oltre 500 dipendenti); risulta più diffuso tra le imprese del nord-ovest (5,6 per cento) e nei settori dei servizi (5,4 per cento). Per l’industria la percentuale si attesta al 3,9 per cento, con valori superiori per quanto riguarda il comparto delle costruzioni (5,5 per cento). Nella maggioranza dei casi (47,7 per cento) le attività di volontariato svolte dal personale durante l’orario lavorativo si concretizzano nella partecipazione a community day, ma ci sono anche aziende che consentono ai propri collaboratori di dedicare più tempo ad attività di informazione e sensibilizzazione culturale/sociale/ambientale (22,5 per cento). Un’esperienza piuttosto esemplificativa è il progetto di volontariato d’impresa che dal 2017 si porta avanti in Pizzarotti & C. Spa, impresa di costruzioni operante nella realizzazione di opere complesse, infrastrutture stradali, autostradali e industriali, aeroporti, costruzioni ferroviarie, edilizia sanitaria e residenziale. Uno dei principali general contractor italiani, al momento al lavoro in 18 Paesi nel mondo, con circa 3.500 dipendenti, e un fatturato che supera il miliardo di euro.

“Pur avendo iniziato un percorso di internazionalizzazione da oltre 30 anni, il gruppo Pizzarotti ha mantenuto le sue radici a Parma e qui abbiamo voluto creare delle sinergie con il territorio e le sue esigenze, anche con la costituzione della Fondazione omonima. –spiega Silvia Rotondo, People culture, acquisition & development manager area Risorse umane impresa Pizzarotti– Come impresa portiamo avanti un progetto più ampio che chiamiamo benessere del dipendente, al cui interno abbiamo introdotto il volontariato d’impresa. Abbiamo cercato di capire come potevamo con le nostre persone contribuire alle esigenze specifiche del terzo settore e abbiamo trovato una splendida collaborazione con il Csv Emilia nel guidarci in questa attività, che è via via cresciuta negli anni e non si è fermata nemmeno negli anni del Covid, riorganizzandosi da remoto”.

Nella pratica, l’azienda chiede ai propri dipendenti la possibilità di partecipare ai volunteer days, ovvero dedicare una mezza giornata all’anno a questa attività, in una settimana del mese di maggio, e queste quattro ore non vengono detratte come permessi, ma sono ore lavoro che l’azienda devolve ad attività di volontariato. Ogni anno, si scelgono i settori di intervento, sempre diversi, a seconda delle associazioni disponibili, i dipendenti scelgono di dedicare una mezza giornata all’una o all’altra, in base alle proprie sensibilità o attitudini. Il percorso è stato sempre in forte sinergia e collaborazione con il Csv Emilia che lo accompagna, dall’individuazione delle associazioni, all’organizzazione delle attività, dall’attestato di partecipazione alla survey di gradimento dei partecipanti.

“Siamo convinti che il volontariato fa bene anche a chi lo fa, quindi è un’iniziativa virtuosa per l’azienda, ma anche per le persone che vi si dedicano –aggiunge Rotondo– I risvolti sono molteplici. Ci si rende conto che dietro ogni associazione c’è un mondo di persone, guidate da passione, da vocazione, che è molto fuori dall’ordinario, e quindi è emotivamente molto coinvolgente. Inoltre, abbiamo sperimentato che una giornata di volontariato vissuta con i colleghi è una giornata di team building di riflesso. In definitiva è sicuramente un modo per essere vicino alle persone che lavorano e alle esigenze dei territori nei quali siamo presenti. –continua Silvia Rotondo di Impresa Pizzarotti & C. SpA– Anche nelle survey di gradimento la risposta è sempre stata molto positiva”. In sette edizioni di Volunteer Days hanno partecipato 415 persone, per un totale di 1660 ore di volontariato d’impresa.

Dalla cura del verde all’organizzare gli scaffali in un emporio solidale, dal sistemare sacchi di sabbia lungo gli argini dei fiumi alla riqualificazione di spazi in gestione ad associazioni, gli ambiti sociali esplorati sono stati numerosi: disabilità, comunità di affido, carcere, ambiente, anziani, nuove povertà, povertà educativa, sviluppo di comunità, salute mentale. “Se fino al 2022, il volontariato d’impresa è stato proposto alle persone della sede centrale e la divisione prefabbricati –spiega Silvia Rotondo, area Risorse umane Impresa Pizzarotti– Quest’anno abbiamo voluto pensare un po’ più in grande, guardando al di fuori di Parma e provincia, nei luoghi o Paesi dove siamo presenti con colleghi che lavorano sulla commessa, per dare un messaggio di vicinanza anche là dove andiamo a realizzare una strada o altra infrastruttura”.

Nell’edizione 2023 dunque il gruppo Pizzarotti ha sperimentato per la prima volta un volontariato d’impresa “diffuso”, e nelle stesse settimane i volunteer days aziendali si sono svolti su diversi territori italiani e anche in Romania, con un’adesione di 110 persone, per 454 ore di volontariato. E non è un caso che oltre al Csv Emilia, siano stati coinvolti anche Csv Napoli, Csv Brescia e Csv Cremona.

Da nord a sud infatti, sono diversi i Centri di servizio per il volontariato che hanno sviluppato programmi e servizi strutturati per promuovere il volontariato d’impresa. Csv Napoli ad esempio, l’anno scorso ha lanciato la piattaforma dedicata crowdnet.it, con una sezione specifica su volontariato e imprese, e la possibilità sia per le aziende che gli Ets interessati, di aderire per attivare una partnership. “Per noi è prima di tutto promozione culturale e rientra nell’area della responsabilità sociale condivisa –racconta Giovanna De Rosa, direttrice del Csv Napoli Ets– Le imprese che ci contattano non sono tante, ma credo che come Csv sia un tema su cui abbiamo un’opportunità da cogliere e su cui lavorare, tenendo insieme anche comunicazione e formazione. L’attività esperienziale è fondamentale perché consente di lavorare sul piano relazionale e genera benessere anche nelle imprese. Le associazioni sono grate ed è un’occasione di formazione anche per loro. Ad oggi le azioni dei Csv non sono sistemiche su questo fronte ed è quello verso cui si deve tendere”.

Dello stesso avviso è anche Patrizia Bisol, responsabile Area cittadini, servizi di formazione e promozione di Csv Milano Ets, quando spiega che a loro si rivolgono imprese che hanno la direzione centrale a Milano, ma spesso hanno anche altre sedi in Italia, dove l’esperienza potrebbe potenzialmente replicarsi, in collaborazione con i centri di servizio locali. Al Csv Milano questo programma è attivo da almeno dieci anni, ma è in costante evoluzione, perché le collaborazioni con le aziende sono ogni volta diverse, e si realizzano un po’ su misura di imprese ed enti non profit. “A volte non sanno nemmeno da dove partire, e noi li accompagniamo a definire meglio obiettivi e modalità di realizzazione –spiega Patrizia Bisol– Altre volte, più di frequente, vorrebbero organizzare il cosiddetto community day. Un’altra attività che ci chiedono spesso è raccontare cosa facciamo e il servizio di orientamento, perché ultimamente le imprese promuovono non solo azioni di volontariato in gruppo, ma anche un volontariato individuale concedendo dei permessi ad hoc ai dipendenti”.

E proprio nel solco di una di queste collaborazioni, all’interno di Univol, dipendenti di Fastweb hanno fatto da docenti esperti nelle tematiche in laboratori di alfabetizzazione e identità digitale. Rivolgersi direttamente alle aziende e facilitare il loro avvicinamento a questa pratica di responsabilità sociale è invece l’obiettivo che ha animato il Csv di Padova e Rovigo nella redazione della guida “Il tempo che genera valore”, curata con Aidp (Associazione italiana direzione personale) Veneto e Friuli-Venezia Giulia, e uscita nei mesi scorsi. Come racconta Silvia Aufiero dell’area Fundraising CSV Padova e Rovigo l’idea della pubblicazione, la prima del genere realizzata da un Csv, arriva anch’essa da un percorso di volontariato di competenza, che ha coinvolto proprio i responsabili risorse umane Aidp, con l’intento di realizzare un documento un po’ strutturato che aiutasse le aziende a capire cos’è il volontariato aziendale e che hanno questa possibilità. Di pari passo si è sviluppato sempre meglio anche il servizio del Csv, che ha attivato un sito donativo, con una sezione specifica dedicata alle diverse opportunità in cui le aziende possono sostenere comunità e progetti. Negli ultimi due anni almeno una decina sono state le imprese –dalla multinazionale Pwc Italia alla piccola startup fatta da giovani– che hanno contattato il Csv di Padova e Rovigo, e a riprova di un interesse crescente per questo tema la guida ha totalizzato numerosi download, e non solo da aziende, ma anche da altri Csv e volontari.

L’osservatorio dei Csv dunque, attraverso i percorsi realizzati, racconta come l’incontro tra il mondo profit e il non profit è non solo possibile, ma genera valore aggiunto.

“È sicuramente positivo, non solo nella forma della charity aziendale, ma anche in una dimensione strutturale di restituzione al territorio e di crescita del lavoratore –concorda Marco Bentivogli, ex segretario generale Fim-Cisl, oggi coordinatore di Base Italia, esperto di politiche di innovazione dell’industria e del lavoro.– Perché nell’evoluzione delle skills professionali delle persone, le competenze sociali e collettive sono quelle che rendono più forti anche quelle tecniche. Guardando i dati del World Economic Forum, tra le prime adesso c’è problem solving evoluto collettivo, cioè non solo saper risolvere il problema, ma saperlo risolvere insieme”. Bentivogli ricorda in particolare il protocollo d’intesa, firmato nel 2017 tra Lamborghini, Emergency e le rappresentanze sindacali di Fim-Cisl e Fiom-Cgil per la realizzazione di esperienze di lavoro volontario da parte dei dipendenti della casa automobilistica nelle strutture e nei progetti di Emergency, riconoscendo loro dei permessi per fare volontariato. A distanza di alcuni anni non sembrano però esserci stati molti passi in avanti sul piano della normativa e della contrattualistica.

“I riferimenti normativi sono forti per chi si impegna nel settore della protezione civile, sono deboli per il resto –precisa Bentivogli–. Ci sono dei contratti collettivi nazionali, come quello dei metalmeccanici, che riconoscono queste attività, ma non siamo in una situazione soddisfacente. Bisognerebbe fare molto di più, anche a livello aziendale, perché ci sono anche esigenze sociali specifiche dei territori, a cui andare incontro, per cui bisogna che le normative non siano troppo generiche”. Per promuovere maggiormente la crescita del volontariato d’impresa, secondo l’ex sindacalista occorrono una normativa più forte e più semplicemente utilizzabile e una cultura d’impresa più moderna. “Non solo perché è giusto fare solidarietà e che l’azienda ci metta del suo per restituire al territorio –conclude Bentivogli– ma anche perché c’è un ritorno che rafforza le competenze del lavoratore spendibili in azienda. Se iniziamo a pensare ai territori come ecosistemi in cui ognuno fa la sua parte, in una dimensione di Big Society, in cui ci si divide problemi e soluzioni, ciò coinvolge un ruolo più attivo delle imprese anche su queste cose”.

Le associazioni Va pensiero, lettera 27, progetto Itaca, i volontari all’opera © Impresa Pizzarotti & C. S.p.A.

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