di Marco Benedettelli – 1 febbraio 2024

Vita indipendente, un diritto da assicurare

 Cresce il numero delle Avi che si stanno radicando ovunque, ma con forti disparità in particolare tra metropoli e piccoli centri. Una inchiesta sulle realtà più virtuose e sulle difficoltà di quelle minori. Necessaria una rete nazionale

Ogni vita ha il suo percorso, la sua unicità. È sulla rotta di questa stella maris che le agenzie per la vita indipendente lavorano per il diritto all’autonomia. Formate in buona parte da persone disabili, o con il loro attivo coinvolgimento, queste realtà associative si stanno moltiplicando e organizzando in buona parte d’Italia, destreggiandosi in territori dove servizi, risorse, normative sono sempre più frastagliate per le persone disabili e il percorso verso il raggiungimento dell’autonomia è una battaglia oltre che culturale, burocratica, dove conta tanto in che posto si è nati.

Le agenzie per la vita indipendente, le Avi si stanno radicando da circa un decennio, nate dove il tessuto innovativo negli anni si è impegnato in progettualità sperimentali per la vita autonoma. Oggi si trovano a Roma e nel Lazio, a Milano e in Lombardia, nelle Marche, in Umbria, in Abruzzo, in Friuli. E altre sono sul punto di nascere. Si tratta di realtà costituite in aps, che prestano in forma gratuita servizi per accogliere, ascoltare e accompagnare le persone con disabilità nella progettazione dei propri percorsi di vita autonoma.

Che sia un supporto per la ricerca di un assistente personale o per la gestione del rapporto professionale con questo, che sia una consulenza sulla stipulazione di un contratto con il proprio datore di lavoro secondo le norme sulla disabilità, o sulla ricerca di una soluzione abitativa adeguata o di accompagno per una specifica attività, l’agenzia propone indicazioni e servizi attraverso i propri sportelli. A presidiarli è personale specializzato, che conta anche i consulenti alla pari, ovvero persone a loro volta disabili, chiamate –come volontari o a contratto– a dare conforto e consiglio ad altre persone disabili, alla luce del proprio vissuto.

Non solo, le agenzie si rivolgono anche al mondo dei non disabili e informano, formano, fanno advocacy con le istruzioni e la società civile per l’affermazione della vita autonoma, in un lavoro sempre più riconosciuto, che produce fermento e che le sta portando a espandersi. Nel Lazio, ad agosto la Regione ha stanziato nel complesso 970 mila euro per avviare, in maniera omogenea su tutto il territorio, otto nuove Agenzie per la vita indipendente, individuate con l’approvazione della graduatoria.

“Prevediamo di strutturarci in un lavoro di rete, così da potenziare le nostre capacità” –commenta Dino Barlaam, presidente dell’Agenzia per la vita indipendente Onlus di Roma, la prima, nel 2003, a essersi costituita in Italia e che grazie alla sua esperienza ventennale è punto di riferimento per altre Avi della Penisola. Gli sportelli di Roma oggi supportano circa mille persone nella gestione dei propri contratti con l’assistente personale, oltre a curare tanti progetti diversificati secondo un approccio poliedrico che si rivolge a tutta l’area della non auto sufficienza, sia per la disabilità fisica che socio cognitiva. Analogo sviluppo sta attraversando la Lombardia, dove lo scorso settembre, insieme alle associazioni Ledha Milano e Ledha Lombardia, la giunta regionale ha approvato le prime disposizioni relative all’avvio dei Centri per la vita indipendente L’obiettivo è di attivarne almeno trentatré in concorso con tutti gli Ambiti territoriali aderenti al Pro.Vi, i progetti di Vita Indipendente sostenuti dal Fna – Fondo nazionale per le non auto sufficienze. Le linee guida sono già tracciate. A fare rete con le nuove realtà sarà l’Agenzia per la vita indipendente Fulvio Santagostini, che si è costituita nel 2014 ma che è già attiva dal 2009 con le prime sperimentazioni dei centri per la vita indipendente.

“Sportelli e percorsi di accompagnamento sono in arrivo, guideranno istituzioni e persone in tutte le fasi per il rafforzamento della propria autonomia” –spiega Marco Rasconi, consigliere dell’Agenzia per la vita indipendente di Milano e presidente della Uildm nazionale– “Aprire nuove agenzie vuol dire esportare il lavoro in tutta la regione, in modo da essere sempre più vicini. Si potrà così fornire informazioni alle persone con disabilità, renderle sempre più consapevoli che il progetto di vita indipendente si può fare e che ci sono strumenti per farlo. Ci sarò modo di accogliere e accompagnare ognuno in percorsi personalizzati”. Per attivare i nuovi trentatré centri saranno coinvolte realtà associative e cooperative, in modo da mettere in rete le risposte secondo le più variegate necessità. C’è chi ha bisogno di momenti di sollievo, chi di accompagno per andare al lavoro o per accedere alle abitazioni. “Le combinazioni possibili sono svariate. E più si è calati nel territorio, più si riesce a usare reti e risorse che già che ci sono”.

Oltre agli esempi più dinamici e in divenire però, se si allarga lo sguardo non è difficile imbattersi su criticità, assenze, mancanze di servizi. La cultura della vita autonoma non si è ancora radicata ovunque, specialmente al Sud permane un retaggio culturale che vede nell’affido familiare l’unica o almeno la più realizzabile forma di caregiving. E poi c’è il tema delle leggi, dei decreti, delle normative e dei finanziamenti. In Italia la situazione è estremamente variabile e frammentata, regione per regione o addirittura provincia per provincia e più i centri sono piccoli e periferici, più languiscono i fondi e con essi il concretizzarsi dei servizi. Così che ogni territorio finisce per essere un mondo a sé.

La disabilità si finanzia con il Fna, che ha una ricaduta sul bando Pro.Vi, poi ci sono i fondi delle Regioni per gravi e gravissimi, con la possibilità da parte dei Comuni di aggiungere risorse, alcuni bilanci regionali, inoltre, prevedono gli assegni di cura. Ma quando l’analisi si sofferma sui singoli territori, allora è un attimo rendersi conto che a sperimentazioni più avanzate si alternano disservizi. Soprattutto perché, spiegano gli operatori intervistati, occorre una legge nazionale capace di dare linee guida chiare e univoche in tutta la nazione, così che non ci siano più situazioni a macchia di leopardo e i centri metropolitani si ritrovino a essere più avanzati rispetto alle periferie, agli ambiti territoriali più piccoli o ai Comuni del Sud Italia dove dove a complicare la situazione è anche la lungaggine dei tempi d’assegnazione delle risorse, così estenuante che molte persone sono costrette a rinunciare al percorso di autonomia e a rimanere assistite dalla famiglia.

Nel Lazio, ad esempio, la situazione è completamente diversa da ciò che accade a Roma e ciò che avviene fuori. Come spiega Dino Barlaam, quella della capitale è un’area metropolitana che conta su un proprio bilancio e i fondi che si spendono per l’assistenza, sia domiciliare con le cooperative, sia per l’assistenza autogestita, arrivano per circa il 90 per cento dal proprio bilancio comunale, irrobustito delle Imu e delle tassazioni di una grande città. D’altro canto, le Province nel Lazio vivono principalmente di trasferimenti da parte della Regione e dello Stato, con somme più esigue e irrisorie che, oltretutto, hanno tempi di trasferimento, anche qui, molto lunghi e procedure farraginose.

Spiega Dino Barlaam: “Dove i comuni e gli ambiti territoriali sono più piccoli e le risorse languono, le risposte puntano sui centri residenziali perché non ci si può permettere la progettazione di percorsi personali. E i centri non sono spazi propriamente affini all’ideale della vita indipendente, in quanto luoghi che custodiscono più che creare interazione con la società attorno”.

Lo stesso divario fra grande città e provincia torna al Nord. “Tra Milano e l’hinterland cambia il mondo, per disponibilità di strumenti che servono a sostenere i progetti di vita indipendente” –racconta Marco Rasconi– “Spesso arrivo a fare consulenza in Comuni dove prima il tema non è stato mai trattato, nonostante la sua importanza. A me piacerebbe tantissimo, anche come presidente Uildm, che non ci siano divari, che non sia la fortuna del luogo dove si nasce a fare la differenza. Ci sono persone disabili che si trasferiscono per raggiungere migliori progettualità e ciò è inammissibile.

La normativa deve garantire almeno un nucleo di pari opportunità per tutti, ovunque”. E al contempo vanno ammorbiditi certi retaggi culturali. Perché nei regolamenti regionali dei progetti di vita indipendente il fulcro di ogni percorso resta l’assistente personale, ovvero quella figura che accompagna la persona disabile nelle azioni dove non si è autosufficienti e che in Italia è ancora priva di un contratto di lavoro o di una formazione specifica, mentre l’autonomia non si raggiunge solo con l’assistente personale, più adatto alle disabilità motorie, ma con una messa a sistema di diversi servizi. “I percorsi andrebbero costruiti a partire da esigenze singole e integrati con i nuovi strumenti tecnologici, utili alle disabilità anche cognitive”.

Pensiamo alla domotica. Il caso delle Marche offre un esempio significativo per inquadrare la situazione da una angolatura mediana, come è nelle caratteristiche di questa regione del Centro Italia, laboratorio da sempre di sperimentazioni virtuose così come per certi aspetti ancora più statica. Qui l’Agenzia per la vita indipendente è frutto del lavoro dell’Associazione vita indipendente, un’aps nata nel 2019 che oggi conta 180 soci e un consiglio direttivo.

È stata proprio questa realtà che ha fondato l’Avi per farne il proprio strumento operativo. Oggi l’agenzia ha quattro sportelli, uno per provincia, tranne quella di Fermo dove però è in programma una prossima apertura. Spiega il presidente Angelo Larocca che il lavoro è fortemente limitato dal

30 giugno scorso. Perché, almeno fino alla chiusura in tipografia di VDossier, la Regione non ha ancora programmato la distribuzione dei fondi Pro.Vi per i progetti sperimentali di Vita indipendente, risorse che arrivano dal Fna – Fondo nazionale per le non autosufficienze e sono gestite dagli ambiti territoriali (Ats). Nelle Marche i Pro.Vi finanziano programmi di cohousing, assistenza personale, domotica, nonché il lavoro stesso della Agenzia per la vita indipendente, che, ora, è privo di risorse per pagare i propri collaboratori, in attesa della ridistribuzione dei 100mila euro previsti per ogni ats. “I Pro.Vi sono erogati di anno in anno, sempre all’ultimo, con grande incertezza e insicurezza di chi ne fa affidamento. La loro rendicontazione è molto complessa, ancor più ora che devono essere integrati ai fondi del Pnrr sulla disabilità.

Risultato: molti ats non partecipano ai bandi, denuncia Angelo Larocca di Avi Marche, che aggiunge: “Quando i fondi ci sono, siamo presenti nei nostri sportelli con operatori sociali e consulenti alla pari. Non solo, con la nostra consulenza contribuiamo alla progettualità degli ambiti. Il sistema però è rigido, perché secondo le normative vigenti possiamo compartecipare solo a progetti coperti dai fondi ministeriali, mentre vorremmo aprirci ad altre possibilità e nuovi percorsi”. C’è poi un’altra questione nelle Marche, più volte denunciata dall’Avi regionale, l’inadeguatezza dei fondi che la giunta destina nel suo bilancio al progetto di vita indipendente. Allo stato attuale, il contributo massimo per finanziare l’assistente personale si ferma a 13 mila euro al mese. Sono 3milioni e 600 mila euro destinati a 417 disabili. Ma, spiega Angelo Larocca: “La cifra è palesemente inadeguata, basta a coprire solo 22 ore a settimana”. Secondo i calcoli dell’associazione, invece, per un’assistenza costante, h24, con più operatori che ruotano, di euro ne occorrerebbero fino a 4mila al mese. L’attuale assessore alla Sanità ha risposto alle proteste di Avi Marche promettendo di mettere a bilancio nuove risorse.

È in questo contesto in divenire che la necessità di costruire una rete a livello nazionale si fa ancora più significativa, per compattare le associazioni attive verso un orizzonte condiviso, capace di rafforzare politiche nazionali e stimolare la nascita di nuove Avi. “Il comune denominatore delle agenzie è, a mio parere, nello svolgere i servizi d’informazione e orientamento in una prospettiva multidisciplinare che mette assieme in modo snello e agile notizie disparate, opportunità frastagliate”. Si tratta di fare da cerniera, da collante, da facilitatore, in un orizzonte dove gli uffici comunali, regionali o delle Asl sono spesso distanti e non dialogano fra loro, dove spesso i servizi sociali non comunicano con quelli per la mobilità, nonostante le due dimensioni siano, soprattutto per la disabilità, strettamente compenetrate.

“In quest’ottica con l’Agenzia per la vita indipendente di Roma abbiamo costruito una banca dati che mette insieme e restituisce le più distanti informazioni sulla vita indipendente, così che chi si rivolge a noi riesce a costruire percorsi attingendo da numerose fonti che altrimenti diventerebbe estremamente complicato ricomporre”, continua Barlaam. Si tratta, in altre parole, di andare oltre quello che già una persona disabile potrebbe trovare negli sportelli comunali già attivi delle Asl, i Pua, Punti unici di accesso per l’integrazione sociosanitaria. Perché le agenzie possono avere un approccio più multidisciplinare, aiutando a costruire un percorso assemblato con più risorse, che dipendono da enti diversi fra loro, ricomponendo un ventaglio di servizi composito, così che la persona con disabilità o la famiglia che la segue possa costruirsi un percorso più su misura possibile, in base a specifiche esigenze.

“Possiamo dare risposte agli interrogativi più variegati, dalle richiesta per la legge 104 all’ottenimento di permessi di lavoro, alle questioni annesse al rifornimento alimentare, fino ai servizi classici d’assistenza domiciliare e diurni. Il Pua non ce la fa ancora a coprire tutte queste esigenze. Noi siamo più snelli e meno burocratici. Nel giro di tre anni puntiamo a completare la nostra banca dati capace di restituire tutti i servizi disponibili nel territorio di Roma con i suoi 3 milioni e 400mila abitanti”.

Le agenzie, quindi, fanno affiorare opportunità e con esse consapevolezze, spiegano come si fa una domanda, aiutano a costruire una ipotesi realistica di vita indipendente, mettono a terra la visione di una maggiore consapevolezza del diritto della vita autonoma, e per essere più efficaci potrebbero creare fra loro scambi e connessioni, per condividere le proprie forze secondo un ritmo dinamico che altri enti non sembrano avere. Rispetto al loro lavoro di rete, intanto si può già guardare all’ Enil (European Network on Independent Living) cioè la rete europea per la vita indipendente, organizzazione di persone con disabilità, fondata nel 1989 a Strasburgo, che opera per diffondere e promuovere l’applicazione di definizioni, concetti e principi dell’autonomia.

Mentre le agenzie sono già intergrate in reti associative, l’Avi di Roma per esempio è parte di Fish, la Federazione italiana per il superamento dell’handicap. Spiega ancona Dino Barlaam: “Siamo in un circuito associativo e stiamo ragionando per una rete sempre più vasta. Il primo obiettivo è che le agenzie avviate di recente dalla Regione Lazio inizino a dialogare. Ma ciò può avvenire anche a livello nazionale”. Roma ha buoni rapporti con Idea, l’associazione per la vita indipendente del Friuli Venezia Giulia, a cui presta aiuto per la parte contrattualistica, così come gli operatori della capitale hanno formato i colleghi dell’Avi Marche sull’utilizzo di un software che calcola le buste paga per gli assistenti personali e mette in fila questioni contrattualistiche. Buoni rapporti ci sono con l’Umbria mentre in Campania si sta lavorando affinché anche lì si formalizzi un’agenzia, ancora assente. “Tutte queste collaborazioni avvengono a livello amicale, per ora –spiega Barlaam– ma l’auspicio è che le interazioni si solidifichino in modo più strutturato e tali realtà possano diventare un piccolo braccio armato per il pieno raggiungimento del diritto alla vita autonoma”.

Un punto di forza degli sportelli attivi è sono luoghi dove l’inclusione si fa concreta. All’Avi milanese sono impegnate persone disabili nel ruolo di consiglieri alla pari, “Io sono uno di loro, dato che ho una malattia neuromuscolare degenerativa”, racconta il consigliere e direttore di Uildm Marco Rasconi, “Cerchiamo i consulenti alla pari tra le associazioni, così da poter venire incontro alle più differenti patologie. Ora ne abbiamo attivato uno con disabilità visiva, un’altra con una lesione midollare, abbiamo avuto anche una persona con una disabilità motoria diventata mamma. E anche sulla sindrome di Down stiamo organizzando percorsi di formazione”. Nello staff milanese collaborano sia dei volontari che provengono dalla rete associativa, consulenti.

C’è quindi chi ne sta facendo una forma di professione, magari specializzandosi in formazione psicologica. Lo stesso approccio lo si trova nell’Avi di Roma, dove consiglieri alla pari sono anche familiari di persone con disabilità socio cognitiva, che mettono a disposizione la propria esperienza ad altre famiglie. C’è poi il lavoro di psicologi, assistenti sociali o legali che prestano supporto. Il tutto anche e soprattutto per donare i propri interlocutori di strumenti che accrescano consapevolezze, fare empowerment, così che quello verso l’autonomia diventi un percorso possibile da costruire anche da soli, credendo in sé stessi.

L’obiettivo è aiutare le persone disabili a tracciare ognuno il proprio percorso socio sanitario, oltre la marginalizzazione indotta anche da una mancanza di programmazione amministrativa. Perché in assenza di servizi adeguati, progettazioni o assistenti personali, ogni azione che si desidera compiere può fare affidamento solo sul supporto e sull’aiuto del nucleo familiare. Oppure l’esistenza dei disabili si affida alla dimensione dei centri residenziali e diurni, dove si vive accuditi, certo, ma in cui la libertà di scelta su diverse azioni deve adattarsi a radicali compromessi. Invece, quello alla vita indipendente è un diritto che ormai viene da lontano, sancito dalla Convenzione dell’Onu sulle disabilità e sottoscritto anche dalla nostra Repubblica. Nasce a Berkeley alla fine degli anni Sessanta, grazie a uno studente disabile attivista, Ed Roberts che dà vita a un movimento capace di espandersi anche in Europa e allargarsi anche in Italia sull’onda del lavoro seminato in Emilia Romagna e Toscana, territori che hanno fatto da faro. Ma la strada da percorrere è ancora lunghissima e chiama a raccolta non solo persone con disabilità fisiche o socio

cognitive, ma anche le loro famiglie, le istituzioni e la società civile, per rafforzare una consapevolezza, cioè che il diritto alla vita indipendente per chi non è autosufficiente si può e si deve raggiungere, ma occorre mettere in rete informazioni, sistematizzarne altre, accrescere una cultura capace di smontare le strutture “abiliste” della nostra società, introiettate in tutti noi, così che chi è disabile sia protagonista dalle propria vita e possa lavorare o studiare secondo i propri orari, vivere da solo, decidere cosa cucinare, a che ora andare a dormire, o se uscire la sera, se fare shopping o una passeggiata.

Sono tutte azioni, queste, che a oggi per una persona con disabilità è estremamente difficile, se non impossibile, autodeterminare.

Foto © UILDM

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