di Marco Benedettelli – 23 gennaio 2024

INCHIESTA/ Volontariato in crisi?

 Prima puntata del viaggio di VDossier nelle ragioni che sembrano portare gli italiani lontano dall'impegno per gli altri, come Istat ha indicato nel suo nuovo censimento. Tra tempo che scarseggia, obiettivi di vita rifocalizzati e disillusione per le battaglie globali, ciò che sembrerebbe un addio sa piuttosto di arrivederci

Se lo vivi poi resta. Entra dentro così tanto che il suo ricordo persiste anche a distanza di anni. La voglia di fare volontariato non va più via, tanta è il piacere che sprigiona in chi ci è passato. Lo raccontano le storie di persone ex volontarie che abbiamo raccolto, con l’intento di gettare uno sguardo nelle statistiche del nuovo censimento Istat, la più recente fotografia sullo stato del non profit. E di dare corpo e voce a quei numeri che indicano, al 2021, un brusco calo della partecipazione dei volontari nella società italiana: meno 900mila persone, una flessione del 15% rispetto al 2015 quando i volontari nelle istituzioni non profit erano 5,528 milioni, mentre alla conta del 2021 sono risultati 4,661. Numeri importanti, su cui di certo impatta il trascorso periodo pandemico, quando in molti sono stati letteralmente costretti a smettere con la vita di comunità del volontariato.

Al di là della statistica Istat, è importante comunque ripartire dalle storie, perché queste ci testimoniano come, nonostante le flessioni, la forza del volontariato soffi più forte che mai nella società italiana, trasversalmente, in ogni campo. C’è chi negli ultimi anni ha smesso per mancanza di tempo, chi per problemi familiari, chi ha deciso di dedicarsi a forme di volontariato senza coprire più ruoli di coordinamento apicale e si è dedicato invece ad azioni civiche di prossimità. Chi in qualche modo nel volontariato è cresciuto, si è qualificato, fino a poi farne una strada d’ingresso nel mondo del lavoro. Il quadro è frastagliato, anzi caleidoscopico, ogni storia è a sé, ma tutte hanno una nota comune, che ritorna in un leitmotiv, di intervista in intervista: la voglia di volontariato è sempre viva, in chi ha dovuto smettere. E ognuno interpreta il proprio fermo come una pausa, che è tutt’altro d’ un addio, perché il volontariato ci ha portato in territori altrimenti inesplorati.

Matteo Venturini è fra chi ha dovuto smettere o anzi meglio interrompere il suo impegno per motivi di tempo, per questioni personali che lo stanno particolarmente assorbendo. Ma il ricordo dei suoi anni con Mario, la persona da lui accompagnata come volontario, riverbera. Racconta Matteo di aver iniziato la sua esperienza nel 2018, in un momento particolare della sua vita. “Avevo bisogno di dedicarmi alle persone. Ero appena uscito di casa”. A indirizzarlo all’Aism – Associazione Italiana Sclerosi Multipla di Milano è stato il CSV Milano. “Giuseppe Saponara, l’operatore di sportello, tra le varie opzioni a un certo punto mi ha presentato la possibilità di poter tenere compagnia, una volta a settimana, a una persona affetta da sclerosi multipla”. È come scattato un clic: “Ho sentito che era ciò che cercavo” e così è iniziato tutto.

Per quattro anni Matteo è andato a trovare a casa Mario ogni sabato, da volontario Aism, munito di relativa assicurazione. “Le mie erano visite fatte di lunghe chiacchierate, di compagnia reciproca, di qualche passeggiata, di confronti sulle più disparate esperienze e riflessioni sul lavoro, amicizia, relazioni”. Racconta Matteo di aver conosciuto in quelle ore un uomo “eccezionale”, dalla sensibilità straordinaria. Capace di capire le persone al primo sguardo e ascoltarle nel profondo. “È un imprenditore che è riuscito a creare tanto, che ha attraversato tante fasi, che si è sempre rialzato”. Il signor Mario si è ammalato di sclerosi multipla a 40 anni, in una forma non acuta che però gli portava problemi di deambulazione e di autonomia nel fare movimenti. “Il nostro rapporto si è trasformato in uno scambio, in un momento di amicizia, d’incontro. Ho conosciuto sua moglie e la sua famiglia, si è creata una sintonia intima, profonda, molto bella”. Nella fase acuta della pandemia gli incontri sono continuati al telefono, poi sono ripresi un paio di volte la settimana. Ora per impegni familiari Matteo Venturini ha dovuto sospendere.  “Non riuscivo più a garantire quella continuità di cui Mario aveva bisogno”. Questo tipo di servizio richiede presenza, costanza, stabilità.  Il suo ruolo ora è coperto da una nuova giovane volontaria, Matteo però non ha smesso di sentire Mario, di cercarlo, di andarlo a trovare quando ha tempo.

Da Milano ora ci spostiamo in Centro Italia, per conoscere un’altra storia, quella di Lucia. Il nome, come da lei richiesto, è di fantasia così come sfumati sono i riferimenti che daremo sull’associazione dove la giovane donna ha preso parte, un gruppo attivo in un quartiere considerato difficile. “Fanno un gran lavoro, non vorrei che la mia testimonianza d’esperienza negativa possa sminuirne l’operato”.

Purtroppo Lucia è rimasta un po’ delusa perché c’è stata della disorganizzazione e il tempo da lei donato non ha trovato la giusta valorizzazione. “Sono mancati dei coordinatori, qualcuno che tenesse il punto della situazione”, a un certo punto arrivavano più bambini di quanti se ne riuscissero a gestire e anche convocare una riunione di coordinamento era complesso. “Forse, prima di intraprendere la nuova avventura del doposcuola, l’associazione avrebbe dovuto aspettare e capire meglio risorse e obiettivi realizzabili. Temo che per andare veloci si siano sprecate delle possibilità”, spiega Lucia. Così dopo qualche mese, quando il servizio si era fatto un po’ troppo caotico, la convinzione è scemata e hanno prevalso altri impegni e il lavoro. “Peccato, perché con un maggiore coordinamento noi volontari saremmo stati più coinvolti”. E aggiunge: “In passato mi ero già resa attiva in un doposcuola. Era un progetto gestito da figure preposte a coordinare i volontari come me, e le cose erano andate benone”. Quelli di Lucia sono consigli piuttosto che rimproveri, anche perché l’associazione che ha lasciato è giovane e piena di risorse. E anche per Lucia la stagione del volontariato non è finita. “Tornerò, certo, a dare il mio contributo. Mi piace molto”. 

Serena Riina è invece un’ex volontaria palermitana, che testimonia come “Almeno per la mia generazione, fare volontariato è stata oltre che la risposta a un desiderio di impegno, anche una strada per aprirsi possibilità di lavoro nell’imprenditoria sociale”. Insomma un canale di esperimenti, di crescita, che ha coinvolto e entusiasmato molti giovani e che ha intrecciato voglia di partecipazione e progettualità esistenziale. Serena ha iniziato da giovanissima come volontaria, nel suo liceo insegnava Padre Puglisi ed è stato lui, sacerdote ucciso dalla mafia, a guidarla assieme a molti altri giovani verso l’impegno associazionistico . “Così mi sono data da fare nei primi doposcuola, o per i minori più a rischio marginalità nel quartiere di Brancaccio – ricorda. Poi, finita la scuola, la sua strada nel volontariato va avanti – Io e i miei amici stavamo uscendo dalla università, quando abbiamo fondato l’associazione MiscelArti creando progetti per le scuole e i minori, anche nelle carceri, con la volontà di dare una possibilità di riscatto sociale ai giovani attraverso attività artistiche”. Erano anni in cui nel cuore di Palermo nascevano associazioni come SOS Ballarò, Moltivolti. A idearle erano nuove generazioni, con volontari dal profilo diverso rispetto a quello fino ad allora più diffuso. Non erano persone magari in pensione, con tempo, tranquillità economica e impegnate in grandi associazioni. Ma giovani desiderosi di aprire nuove strade.

C’è stato un periodo in cui con l’associazione MiscelArti Serena e i suoi colleghi lavoravano anche cinque o sei ore al giorno, cercando bandi, organizzando opportunità. Come lei stessa ricorda, in quella fase a Palermo sono state tante le odv a trasformarsi prima in aps e poi in cooperative sociali, assumendo alcuni volontari come dipendenti. Grazie alle competenze acquisite, c’è chi è approdato talvolta lontano da Palermo. “La Sicilia è un luogo complicato, dove di lavoro c’è n’è poco. Il volontariato e l’associazionismo può divenire una possibile via per crearsi delle opportunità”, riflette Serena, che spiega come quella stagione sia infine sfumata quando è venuta meno la sensibilità e l’attenzione della politica, che non ha più sostenuto e indirizzato tale fermento progettuale.  Ora Serena lavora in una comunità psichiatrica ed è molto assorbita dal lavoro. Ma anche in lei il patrimonio d’esperienze nell’associazionismo resta un punto di riferimento forte, aperto al futuro.

Anche per Miriam Possamai il tempo è stato decisivo. Obiettivi di studio e annesse questioni di logistica l’hanno indotta a riorganizzarsi per un momento e a mettere da parte l’impegno continuativo nel volontariato. Il tirocinio dell’Università di Padova, durante il corso triennale in Relazioni internazionali, Scienze Politiche, l’aveva portata al Centro di ascolto della Caritas di Marcon, paese in provincia di Verona. Durante i colloqui guidava le persone arrivate allo sportello verso i servizi più indicati, affiancando i coordinatori dell’associazione, fino a gestire da sola gli incontri e a processare in autonomia i documenti che raccoglieva. Ma con il corso di laurea magistrale i ritmi sono cambiati, sono aumentati gli spostamenti ed è venuto meno il tempo per coprire con costanza i turni su cui si regge il servizio: due giorni a settimana, una mattina e un pomeriggio. E lo sportello funziona nei giorni feriali, quando Miriam ha le sue lezioni.  “Ora partecipo alla Colletta alimentare, è un tipo d’impegno che riesco a gestire meglio, al momento”. spiega la giovane. Non solo, tra poco Miriam andrà in Africa, Etiopia, per prestare servizio sempre da volontaria. “Quando troverò una routine lavorativa non escludo di riprendere al Centro di ascolto, mi è piaciuto molto. S’è trattata di un’esperienza che ha integrato diverse dimensioni, pratiche e umane. Ci tengo, il volontariato è parte della mia vita e voglio che resti presente in essa”.

Gli anni di massimo impegno di Osvaldo Projetti sono stati tra il 2006 e il 2012, quando era presidente di Ingegneria Senza Frontiere di Bologna, “E’ stato un periodo di attivismo, di partecipazione politica, di conferenze, incontri, confronti, coordinamento, sempre in prima linea”, ricorda. Finché, anno dopo anno, Osvaldo ha deciso di passare il testimone alle nuove leve, più giovani, “per non restare in una associazione a fare il dinosauro, l’anziano che finisce per voler dare la sua impronta nelle decisioni, forte della sua esperienza ormai inattuale”, scherza.

A 20 anni la voglia di cambiare il mondo ribolle nel sangue, si fa carica politica. Poi, crescendo, arriva anche un po’ di disincanto, che in un certo senso, spiega Osvaldo, può essere positivo: “Ci si rende conto che il mondo è più grande e complesso della rappresentazione che ci disegniamo in mente, che rischia di trasformarsi in una riduzione magari semplicistica”. Ora Osvaldo ha deciso di mettersi “davanti al palco”, e non calcarlo più nel ruolo di front man. Però il suo impegno continua in tante forme, dalle associazioni di tracking di cui si è fatto promotore, nel bolognese, diventando una guida del parco di Montesole, alla donazione di sangue. Inoltre, sta per diventare padre. “Mi dedico molto alle questioni del mio condominio, con le sue storie.  Mi muovo, in questa fase, più con esperimenti di prossimità. Che è un tipo di attivismo più semplice da misurare, se ne quantifica subito l’impatto, il peso, gli effetti”. Non più grandi sistemi e percorsi a lungo termine, ma azioni dirette, quindi. “La voglia di lasciare il mondo un posto migliore, quella non me la leva nessuno, e dunque continuo a rendermi utile. In futuro, superata questa fase di nuove responsabilità familiari, non è detto che non torni ad impegnarmi in modo diretto con associazionismo, come leva per migliorare, anche un po’, le cose attorno a me”.  

Un volontario-clown alla casa di riposo © Anna Maria Mantovani - Progetto FIAF-CSVnet Tanti per tutti. Viaggio nel volontariato italiano

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