di Violetta Cantori – 7 novembre 2023

Vent’anni di amministrazione di sostegno

 Due decenni di strada fatta dal suo varo. I numeri parlano di un successo quasi inatteso, ma le ombre sono ancora tutte lì e gli ostacoli pure. Qual è allora lo stato di salute dell'amministrazione di sostegno in Italia? Lo abbiamo chiesto a Paolo Cendon, "padre putativo" della legge

Sono trascorsi quasi vent’anni dalla nascita dell’amministrazione di sostegno, l’istituto introdotto dalla Legge 6 del 9 gennaio 2004, che offre alle persone con una limitazione, anche parziale o temporanea, dell’autonomia nella gestione di alcuni aspetti della vita quotidiana la possibilità di essere affiancate da una figura specifica per la cura dei propri interessi. L’amministratore sostegno è un familiare, o un professionista come avvocato o commercialista, o un volontario appositamente formato che il giudice tutelare nomina, affidandogli l’incarico di provvedere alla tutela giuridica dei diritti e delle scelte del proprio amministrato, nel rispetto dei suoi bisogni, desideri e aspirazioni. A pochi mesi dall’anniversario, abbiamo intervistato Paolo Cendon, giurista, scrittore e saggista riconosciuto come padre putativo della legge.

Paolo Cendon, quali sono le luci e le ombre di questi vent’anni di amministrazione di sostegno?

“La più grande sorpresa è il successo in termini numerici. Non mi aspettavo che saremmo arrivati a circa 400.000 amministrazioni di sostegno attive in tutto il Paese. Questo ha complicato molto le cose. Gli uffici giudiziari non erano preparati. Alcuni hanno saputo gestire bene il fenomeno, alcuni male. C’è molto fai da te, a macchia di leopardo in Italia, ogni tribunale per conto suo. Il rischio è che tutto si burocratizzi, diventi un po’ selvatico, rigido nella comunicazione.”

L’amministratore di sostegno può essere nominato per persone che vivono condizioni di fragilità anche molto diverse fra loro, dovute ad anzianità, a una disabilità fisica psichica o sensoriale, a un’infermità cronica o circoscritta nel tempo, a una dipendenza, e altro ancora. Ciò implica che sono molte le “categorie” di persone che possono avere necessità di un amministratore di sostegno e che possono essere molto diverse tra loro le caratteristiche di un’amministrazione.

“C’è stato anche un boom qualitativo inaspettato, che riguarda le materie di intervento del giudice. L’amministrazione di sostegno è stata applicata quasi subito non solo agli aspetti economici legati all’utente, come la gestione del patrimonio, il pagamento di tasse, imposte, affitto e così via, ma anche a quelli sanitari e di carattere personale. Ma finché amministrato e amministratore di sostegno sono d’accordo sulle scelte, il giudice manda avanti le pratiche e va tutto bene. Il vero problema si verifica quando c’è disaccordo tra amministrato e amministratore di sostegno, o quando la decisione dell’amministratore di sostegno viene scavalcata. Bisogna capire fino a che punto ci si possa spingere nella limitazione dell’autonomia personale della persona fragile, che dovrebbe essere solo quella necessaria a preservarne gli interessi. Nel caso dei Testimoni di Geova, ad esempio, rifiutare la trasfusione di sangue è un diritto concesso, in quanto strettamente connesso a interessi di carattere spirituale personale. In altri, come il Trattamento sanitario obbligatorio psichiatrico, il rifiuto non è concesso e il paziente è costretto a subirlo. Su altri casi ancora si discute molto, ad esempio le dipendenze, o le malattie come l’anoressia in cui, se non ammettiamo che si possa procedere anche senza il consenso dell’interessato, allora questo morirà. L’amministrazione di sostegno assorbe moltissimi casi e molto diversi tra loro, e l’istituto è un po’ esploso. Nessuno si era accorto fino a quel momento che i soggetti fragili in Italia sono tanti”.

L’amministrazione di sostegno ha modificato l’approccio alla tutela della fragilità nel tempo?

“In molti casi purtroppo l’ha cambiato in peggio. Specialmente nei tribunali in cui ci sono meno risorse, accade che vengano messi a punto decreti ripetitivi, adottati dal giudice in modo automatico, uno dopo l’altro, con delle soluzioni uguali, senza distinguere da caso a caso. Non dovrebbe succedere, mai, perché l’amministrazione di sostegno è un istituto nato dall’idea di un “diritto dal basso”. La persona fragile, articolo 409 del codice civile, primo comma, ‘conserva la capacità di agire per tutti gli atti che non richiedono la rappresentanza esclusiva o l’assistenza necessaria”. Quindi l’amministrazione di sostegno deve essere come un abito cucito su misura, frutto di ascolto, audizioni, riscontro delle peculiarità della persona. Se ci troviamo di fronte alla necessità di limitare il raggio d’azione di un individuo per via della sua incapacità temporanea o permanente di provvedere del tutto ai propri bisogni, occorre valutare e soppesare molto attentamente il da farsi, e si deve intervenire con restrizioni solo per lo stretto necessario, il resto no. Non ci sono in teoria due amministrazioni di sostegno uguali, in Italia, sono tutte diverse perché siamo tutti diversi. In alcune città le cose per fortuna funzionano, e il giudice prima di scrivere un decreto ci pensa quattro volte, si informa magari con lo psichiatra, sente i servizi sociali, parla con la persona interessata, con i suoi familiari e i suoi amici. Soltanto allora fa il decreto, molto meticoloso, specifico”.

L’amministratore di sostegno di solito è un familiare, ma quando non è possibile, entrano in gioco professionisti o volontari. Ci sono abbastanza amministratori di sostegno per coprire la necessità?

“Questo è il nodo più complicato da sciogliere: non c’è un numero sufficiente di amministratori di sostegno. Non sempre il familiare è la persona più indicata a fare da amministratore di sostegno e non sempre ce ne sono. Bisogna essere molto pazienti per fare l’amministratore di sostegno. È difficile trovare persone che siano disponibili a lavorare gratis o con un piccolo rimborso per creature in difficoltà spesso molto problematiche, con cui non è affatto semplice relazionarsi. Il clima a volte è pesantee ciòrende ancora più difficile trovare soggetti disposti a diventare amministratori di sostegno”.

Che ruolo può giocare il volontariato?

“Fondamentale, decisivo. Ma occorrono le condizioni perché questo sia possibile. Nella mia idea, che forse è un po’ utopistica ma non troppo, perché ci sono esperienze meritorie da imitare in Italia, in ogni città l’amministrazione pubblica locale dovrebbe farsi carico della protezione di tutte le persone fragili del proprio territorio di competenza e, secondo quanto recita l’art. 3 della nostra Costituzione, dovrebbe lavorare per ‘rimuovere gli ostacoli che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana’.

Come già esiste a Reggio Emilia, ogni Comune dovrebbe realizzare il ‘profilo esistenziale di vita’, cioè una scheda identitaria della persona fragile, che deve essere compilata e inserita in un apposito registro, perché possa guidare le scelte che si fanno sull’amministrato. Preferisce i cappelletti o i tortellini in brodo, preferisce il mare o la montagna, il jazz o il rock e così via. Ci sono persone che, nel momento in cui muore il familiare che conosceva tutti questi aspetti personali, se non hanno più punti di riferimento sono perse. Con il profilo esistenziale di vita invece esiste un faro di luce che domina tutto, obbligando gli altri ad adottare scelte che siano coerenti con il suo contenuto.

 Poi, l’ente locale dovrebbe attivare uno sportello di servizio e supporto per la fragilità, dotato di personale specifico, a cui affidare una serie di attività, come la gestione delle pratiche burocratiche, notarili, fiscali, finanziarie in accordo con l’amministratore di sostegno e con il giudice. In questo modo l’amministratore di sostegno sarebbe sgravato di molti compiti complicati e noiosi, e il tempo che recupera potrebbe dedicarlo alla cura dell’amministrato e della sua sfera personale, grazie a una migliore possibilità di ascolto e dialogo. Questo vale sia per gli amministratori di sostegno familiari, che sono i più numerosi, e spesso sono anche caregiver e hanno anche loro bisogno di supporto, sia per gli amministratori di sostegno estranei alla famiglia. 

Per principio non si deve chiedere a un amministratore di sostegno di essere un grande esperto di economia, o di diritto. Per questo ci sono commercialisti e avvocati, che però hanno un costo. Dobbiamo invece puntare su amministratori di sostegno che siano come degli angeli custodi, e che facciano da cerniera tra le parti. Il giudice gli affida l’incarico di prendersi cura della persona, lui o lei si informa e dà istruzioni allo sportello di supporto che risolve le questioni tecniche e burocratiche. Allora sì che si troverebbero molti più amministratori di sostegno volontari, persone motivate da uno spirito solidale a tessere buone relazioni con l’altro. Il volontariato sarebbe prezioso in questo senso e andrebbe valorizzato. Il Comune sì, dovrebbe dare l’intelaiatura di base. Ma poi, il buon assessore dovrebbe avere la capacità di organizzare uno sportello che lavora in rete con il volontariato locale.

 Sono molto favorevole anche all’associazionismo tra amministratori di sostegno. È uno dei punti di forza che dovrebbe contemplare lo sportello che controlla e organizza. La rete va costruita con molta pazienza e sensibilità, con molta fantasia, riconoscendo tutto ciò che i volontari sono capaci di mettere in campo, come la passione, l’impegno, l’attenzione alla relazione. Il buon amministratore di sostegno è colui o colei che va a trovare l’amministrato e chiede ‘Come stai?’. Bisogna valorizzare questo soffio di umanità e bisogna sostenere la figura dell’amministratore di sostegno in tutti i modi possibili, farla conoscere a tutta la città, festeggiarla. Si dovrebbe istituire la giornata dell’amministratore di sostegno”.

Cambierebbe qualcosa della legge?

“La legge no, non credo che vada cambiata come fatto legislativo nel Codice civile, ma va razionalizzata sul piano applicativo. Occorre fare un regolamento operativo, delle linee guida che diventino normative e cerchino di uniformare un po’ le prassi a livello nazionale. Si può partire dagli esempi meritevoli già diffusi in alcune città, come il profilo esistenziale di vita di cui ho appena parlato. L’ascolto è imprescindibile: è un valore culturale, paradigmatico, metodologico, universale che ha dato forma all’istituto dell’amministrazione di sostegno. Bisogna smettere di fare le cose senza tenere conto della persona fragile, soggetto che invece la legge mette al centro di tutto”.

Un nipote si prende cura della nonna © Santiago Sito

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