di Nunzio Bruno – 10 febbraio 2022

Il Terzo Settore contro la violenza sulle donne

 Argine, via di salvezza e spesso unica difesa perché abusi tra le mura domestiche cessino e non si tramutino in omicidi. In Sicilia e Toscana due realtà non profit lottano contro il tempo e contro la cultura maschilista, per salvare donne vittime di violenza

Gli ultimi due casi a febbraio. Rosa Alfieri, nel napoletano, e Daniela Cadeddu, nell’oristanese. Femminicidi.

In Italia il fenomeno conta un assassinio ogni tre giorni. Come nel 2021, in cui le vittime sono state 118. Fra queste, 102 uccise in ambito familiare e affettivo, 70 dal proprio partner o ex. “La punta di un iceberg”, dice disincantata Alessandra Pauncz, presidente del Centro di Ascolto Uomini Maltrattanti (CAM) di Firenze, Onlus nata nel 2009 grazie a un progetto di innovazione supportato dal Cesvot – Centro Servizi Volontariato Toscana, presente adesso in diverse regioni italiane, nato per dare agli uomini informazioni e riferimenti nel tentativo di aiutarli a fare qualcosa per fermare la loro violenza.

Alessandra, con venticinque anni di impegno su questo fronte, evidenzia che “i numeri sono questi ogni anno e, nella loro drammaticità, non riescono a mostrare la realtà di un fenomeno che ha proporzioni enormi e radici culturali e sociali profonde”. La causa? Un maschilismo che ancora domina e pone le donne in situazioni di sudditanza e sfruttamento. Lo confermano anche i dati dell’organizzazione di volontariato siciliana Cotulevi (Contro tutte le violenze) che, con i suoi 73 sportelli antiviolenza sparsi in Sicilia, ha accolto negli ultimi diciotto mesi ben 363 denunce di donne vittime di maltrattamenti e violenze. La presidente Aurora Ranno tiene a precisare che “nell’insieme si nota un preoccupante aumento di minorenni vittime di molestie e stupri di gruppo da parte di coetanei”.

CAM in Toscana, Cotulevi in Sicilia. Due esperienze che VDossier ha incontrato per rappresentare il vasto fronte degli enti di Terzo settore che hanno creato sportelli antiviolenza, centri di ascolto, case protette, insomma una rete di aiuto fondamentale e che ha giocato un ruolo centrale, fin dagli anni ’80, nel cambiamento culturale e normativo di questi ultimi anni.

L’associazione Cotulevi Sicilia quotidianamente è al centro di una fitta rete di protocolli, collaborazioni, azioni di sensibilizzazione che l’hanno portata ad essere un punto di riferimento per cittadini e istituzioni. “Mi trovavo – racconta Aurora Ranno – a Roma per un raduno di volontari. Avevo una spalla malconcia. Imbottita di antidolorifici, ero riuscita a prendere sonno molto tardi. Squilla il telefonino. Salto dal letto. Penso che sia successo qualcosa a casa. Invece era il comandante di una caserma di Carabinieri, che scusandosi dell’ora mi chiedeva una mano per trovare un posto sicuro per una donna che aveva denunciato il marito violento e che loro non sapevano dove alloggiare. In un’ora, per telefono, abbiamo risolto. Una casa protetta avrebbe accolto la donna”.

Spesso, però, non finisce così. Ranno racconta, infatti, di come nonostante tutta l’assistenza garantita dall’associazione, ancora molte donne decidano di non denunciare. A un certo punto desistono, minimizzano e tornano nel sistema di violenza da cui non riescono ad emanciparsi. Una sudditanza psicologica che proprio è il perimetro d’azione del Centro di ascolto di Firenze, che dopo esperienze al fianco delle donne abusate e maltrattate, ha deciso di intervenire sulla causa, su chi agisce la violenza. Innanzitutto, per proteggere la vittima che è la donna con tutto il suo contesto familiare (figli e parenti conviventi), poi per ridare consapevolezza dei suoi gesti all’uomo maltrattante. “Noi interveniamo su più livelli – continua Alessandra Pauncz – e in coordinamento con tutta la rete dei servizi. Prima sensibilizzando gli operatori e chiedendo a loro di cogliere tutti i segnali senza sottovalutarli, poiché ancora c’è, purtroppo, tanta ‘normalizzazione’ della violenza. Inoltre, facciamo lavoro diretto con gli uomini attraverso colloqui iniziali di valutazione individuale e poi con incontri di gruppo fra maltrattanti, in cui si parla e si spiega la violenza, dando strumenti per modificare credenze, emozioni e comportamenti”.

Un lavoro che serve? Dipende dall’obiettivo che ci si prefigge. “Il CAM – conclude Pauncz – procede per gradi successivi. Se innanzitutto fermiamo la violenza fisica, le opzioni della donna e dei bambini in quella situazione aumentano. Hanno meno paura. Possono agire e tutelarsi. Poi, si punta all’interruzione della violenza psicologica e dell’abuso emotivo. In tal modo, migliora progressivamente la qualità della vita delle persone che stanno attorno al maltrattante. Infine, si cerca il massimo che si possa ottenere a partire dalle risorse e capacità individuali e familiari”.

Interventi che “riducono il danno”, ma non si fermano lì. Queste associazioni hanno ben chiaro che occorre pure la sensibilizzazione e l’azione formativa nelle scuole, fra le istituzioni, nell’opinione pubblica. Mostrando così il ruolo fondamentale di prossimità, inventiva e innovazione che riveste il Terzo settore anche in quest’ambito.

Immagine: UN Women/Carlos Rivera

Immagine di UN Women/Carlos Rivera

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