di Anna Donegà – 17 dicembre 2021

Carola Carazzone. Empatia: linfa per gli esseri viventi

 I volontariati sono reti, si sa. Esiste, però, una rete poco esplorata e mai associata al mondo del volontariato, che arriva dalle scienze forestali. Ci introduce a questa metafora Carola Carazzone segretario generale di Assifero

*CAROLA CARAZZONE
Avvocato specializzato in diritti umani, è Segretario Generale di Assifero, l’Associazione Italiana delle Fondazioni ed Enti della Filantropia Istituzionale. È stata la prima donna italiana a diventare Presidente della rete internazionale DAFNE, Donors and Foundations Networks in Europe. Docente universitaria, è membro di prestigiose realtà che si occupano di filantropia.

Le metafore per descrivere la solidarietà e i volontariati sono innumerevoli e, a volte, scontate. Sicuramente la parola “rete” è quella che ricorre più spesso. Il motore di ricerca, in pochi secondi, richiama 19.600.000 risultati con “rete volontariato” e 38.800.000 di risultati con “rete associazione”. C’è però un tipo di rete finora poco esplorata e mai associata al mondo del volontariato, che arriva dalle scienze forestali. Ci introduce a questa metafora – con una visione che man mano
si allarga – Carola Carazzone segretario generale di Assifero, associazione italiana delle fondazioni ed enti filantropici e da gennaio 2021 presidente di DAFNE Donors and Foundations Networks in Europe.


“Sono cresciuta nelle Alpi piemontesi e ho sempre amato le foreste alpine, mi ha colpito e illuminato il lavoro della scienziata Suzanne Simard che ha dedicato 30 anni della sua vita a dimostrare che sottoterra gli alberi, anche di specie diverse, sono connessi gli uni agli altri attraverso un sistema vivente complesso di enormi reti di funghi e filamenti che, a partire dalle radici, permettono loro di comunicare e cooperare. Simard, derisa per anni, ha scoperto che gli alberi, isolati e immobili in
superficie, sono di fatto in dialogo tra loro, connessi attraverso la rete micorrizica, un complesso sistema sotterraneo di sentieri biologici che permettono loro di scambiarsi acqua, carbonio, nutrienti, ormoni e segnali di pericolo. In sostanza la rete micorrizica è un sistema vivente basato sulla negoziazione, il compromesso, la reciprocità, la collaborazione
e la connessione. Esattamente gli stessi principi che sono alle fondamenta dei volontariati, sistemi dinamici e vivi, capaci di
resilienza, flessibilità e reciprocità. Nel fare esperienza di volontariato si entra in una relazione di reciprocità vitale e, in questo senso, la rete sotterranea scoperta da Simard è straordinariamente simile”.


Una rete tra sistemi vegetali, come la rete micorrizica e una rete tra persone però hanno gradi di complessità diversi. Come possiamo tenere insieme, in un sistema così “intrecciato” come quello umano, le mille spinte, i mille fini, i mille modi di fare, preservando la diversità?
In realtà proprio dallo studio della rete micorrizica si rende evidente come il sistema cooperativo che si instaura tra le piante si adatti al grado di complessità e che in questa connettività ciascun elemento ne trae beneficio. Anche in questo caso quindi quanto ha scoperto Suzanne Simard ci viene in aiuto. La diversità crea ricchezza e occasione di maggior cooperazione, non rappresenta un ostacolo. Se vogliamo utilizzare un’altra metafora pensiamo ai sistemi di permacultura che sono in grado di esaltare le sinergie tra risorse naturali ed umane, sviluppando resilienza proprio grazie alla ricchezza di diversità.
Sono sistemi abilitanti, nei quali si sviluppa nutrimento reciproco. Dovremmo quindi imparare dalla natura
a dare valore alle differenze nelle nostre comunità, tra organizzazioni e tra le esperienze di volontariato.


Alcune tipologie di reti e di legami creano dipendenza. Una rete di questo tipo, che scambia anche nutrimenti e risorse, corre lo stesso rischio?
Io trovo che crei più dipendenza – e più distorsione – una visione del volontariato come erogatore di servizi a basso costo piuttosto che una visione di autoregolamentazione, scambio e nutrimento reciproco.
Diventa a mio avviso molto pericoloso quando un sistema di welfare fa affidamento al volontariato e al lavoro di cura gratuito in ambito familiare, spesso assunto dalle donne, senza prendersi in carico i bisogni delle comunità. Un sistema di welfare sano – come una rete micorrizica – dovrebbe far leva sul volontariato innescando dei meccanismi virtuosi che creano qualità della vita e benessere, che si prendono cura olisticamente delle nostre comunità e delle persone che ci
vivono e del pianeta.


Una rete, abbiamo visto, è tanto più sana quanto più soggetti diversi sono in grado di interagire tra loro alimentando
un circolo virtuoso. Nella nostra rete sotterranea sociale oltre ai volontariati, entrano in gioco altri attori. Uno degli
attori strategici è l’ente pubblico. Che relazione c’è ad oggi?

Le politiche pubbliche investono al momento troppo poco. Il volontariato va sostenuto, alimentato e curato. Mi piacerebbe vedere un sistema di cura dei volontari e delle volontarie, persone e comunità che offrono dimensioni aggiuntive e generative alla nostra società. È necessario investire nella formazione, nel supporto psicologico, nel sostegno alle loro
capacità e competenze relazionali ma anche alla loro dimensione affettiva ed emotiva.
Il volontariato senza dubbio è ancora poco valorizzato nel nostro sistema Paese. Se ci fosse un investimento sistematico a livello di policy, vedremmo esplodere potenzialità e competenze di supporto e di cura, vedremmo una rete viva e vitale. Ma deve essere un investimento intenzionale, voluto, sistemico. Il PNRR può essere in questo senso una grande opportunità, a patto che i volontariati vengano chiamati non solo come meri esecutori, ma ai tavoli programmatici e decisionali.

Un altro nodo strategico delle reti sociali sono le Fondazioni filantropiche, che hanno un ruolo di sostegno economico non indifferente. Come lei stessa ha evidenziato già dal 2018 però anche il sistema dei finanziamenti può influire sulla vitalità delle organizzazioni e quindi della rete. Ci sono cambiamenti in atto?
Sì, sicuramente con la pandemia è cambiato il mondo. È stata l’occasione che ha permesso alle Fondazioni di rispondere alle esigenze delle organizzazioni, non solo sul quanto e sul cosa, ma anche sul come finanziare, entrando davvero come nodo della rete. Ad esempio a metà marzo 2020 abbiamo pubblicato a livello europeo una dichiarazione formale di impegno sottoscritta da 186 Fondazioni, 46 italiane, dal titolo evocativo. Togetherwestand, per impegnarci a cambiare le modalità di finanziamento e rendicontazione, verso un approccio più flessibile, agile e partecipativo, più abilitante e meno pianificante. Queste nuove modalità di finanziamento che valorizzano il processo e l’impatto danno la possibilità alle organizzazioni di cogliere nuove opportunità e di gestire i cambiamenti senza restare legati ad micro output e
progettualità superate dalla realtà. La Compagnia di San Paolo a Torino, tra le più grandi Fondazioni, ha sviluppato un
supporto chiamato “di valore complessivo alle organizzazioni del Terzo settore” che mette a disposizione un portfolio di
strumenti complesso, ma agile, sartoriale e meno standardizzato e standardizzante.
Spostandoci negli Stati Uniti è di febbraio 2020 il lancio del “Radical flexibility fund” un fondo che si impegna a “migliorare l’attuale modello di finanziamento delle fondazioni private per garantire risorse in modo più efficiente ed efficace per individui, reti e organizzazioni della società civile” partendo da 10 principi chiave tra i quali la flessibilità, l’inclusività e la sostenibilità. Anche nel Regno Unito ci sono state dichiarazioni di impegno di “flexible funders” e in Italia la strada è
aperta. Sono convinta che le modalità di finanziamento e di rendicontazione del passato non siano più adeguate e che sia
urgente investire nelle organizzazioni perché possano dotarsi di capacità digitali, di comunicazione, di raccolta fondi, di gestione, di internazionalizzazione e allo stesso tempo di radicamento nella comunità. Perché tutto questo avvenga, oltre al cambiamento già in atto sul modello di finanziamento va scardinato un altro falso mito. È aberrante il fatto che i costi di struttura siano ancora praticamente l’unico elemento per valutare l’efficienza di una organizzazione del Terzo settore. È una visione che, per prevenire pochi furbetti, condanna tutte le organizzazioni a non crescere. Innanzitutto è fondamentale
capire che i fondi destinati alla struttura sono fondi destinati alle persone, alla loro formazione e alla loro crescita. Inoltre è
necessario capire che in qualsiasi progettualità l’organizzazione è parte integrante della missione, non è un costo a parte, ma un investimento a impatto, parte integrante della strategia di raggiungimento della missione. Semplicemente senza investimento sull’organizzazione non si raggiunge la missione e questo, in Italia, è ancora un tabù.
Per terminare la carrellata, altri elementi
fondamentali nella rete sono i cittadini e le cittadine, non solo i volontari. Che ruolo ha il singolo?
Sono convinta che ciascuno nel suo piccolo (o grande) possa essere attivatore e attore di cambiamento. Il cambiamento sociale è un processo composto da diverse spore, che diventano alberi, piante, fiori ciascuno nella sua diversità e ciascuno con una piccola parte. Rifiuto l’idea che il cambiamento sia del genio, del condottiero, dell’eroe, per me è movimento collettivo inarrestabile dal basso. Ciascuno può fare un pezzo, che diviene parte del tutto. E in questo il volontariato
è quel sistema vivente di connettività che consente a ciascuno, attraverso un’educazione permanente all’empatia, alla capacità di mettersi nei panni degli altri, di contribuire a creare immaginazione sociale e promuovere cambiamento sociale.

Un estratto di questo articolo è stato protagonista di una “lecture” al festival milanese BookCity Milano, grazie alla voce di Tommaso Amadio, attore, regista, co-direttore artistico Teatro Dei Filodrammatici.

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