di Michela Di Michele – 18 ottobre 2021

Il “Non in presenza” che ferma i volontariati. Il futuro?

 Il concetto di “distanziamento sociale” si è insinuato nella cultura collettiva, e la diffidenza sarà un fattore destinato a connotare le attività solidaristiche dei prossimi anni. Da Nord a Sud, ecco chi sta programmando un possibile impegno civico post-pandemico. Tratto da VDossier n.1 - settembre 2021.

A Pescara luglio brucia, sul cemento il sole si fa ancora più prepotente e il riverbero ti prende in piena faccia senza nessuna possibilità di migliorare la tua condizione. La bici cigola e nel silenzio della controra, il rumore si fa inquietante man mano che si propaga nell’afa quasi liquida tutta intorno, ma si impiglia in qualche ostacolo, forse occhi dietro le tapparelle, la diffidenza e l’allerta dietro le lenti scure di una taciturna figura seduta sotto gli ombrelloni di un bar con le inferriate.

A Rancitelli, quartiere burrascoso della città, non si viene a parlare di futuro. Qui c’è la Ludoteca Thomas Dezi, gestita dal CEIS, dove i bambini vengono a giocare e guardano senza sovrastrutture a un domani di cui non hanno nessuna esperienza. Un buon posto da cui partire e Vdossier inizia proprio da qui la sua inchiesta per capire come muterà il volto del volontariato al termine dell’emergenza sanitaria.

Il futuro dopo la pandemia è imperscrutabile per tutti, nessuno ha elementi per fare delle proiezioni sulla scorta di elementi concreti. Siamo davanti a una situazione del tutto inedita e mai esperita prima. Tuttavia, dopo essere rimasti frastornati dal brutale incontro con il Covid-19, dopo esserci fatti sorprendere impreparati e recidivi dalla seconda ondata e dopo avere generato migliaia di ore di riflessione pubblica su cosa sta accadendo e cosa è accaduto, è arrivato il momento di provare a chiedersi cosa accadrà, e nello specifico osservatorio di queste colonne, ragionare su cosa accadrà al volontariato in Italia quando la pandemia sarà, davvero, finita.

“In questo posto è da escludere a priori un’attività basata sulle tecnologie”. Maria Rosaria Teofili, responsabile della Ludoteca, è lapidaria e ha le idee molto chiare sul futuro. O si torna a com’era prima, o non si fa più nulla. Dalla sua esperienza deduce che il volontariato che opera nel campo della scuola non ha chance di proseguire online, bisogna sperare che le cose migliorino al punto tale da poter far sì che tutto riprenda in presenza.  Si possono ripensare le modalità, ad esempio facendo entrare nelle strutture pochi volontari per volta, in modo da riprendere il contatto, fondamentale per bambini che più persone incontrano, più possibilità hanno di introiettare modelli positivi, di confrontarsi con realtà diverse dalle situazioni difficili dalle quali provengono. 

La tecnologia, inoltre, non arriva a tutti in modo corretto e per i ragazzi di quartieri complessi come questo, il problema si è acuito con la scuola. Afferma Maria Rosaria Teofili: “qui c’è già una forte criticità di dispersione scolastica, con la DAD ci sono ancora più difficoltà a garantire l’impegno dei ragazzi e a tenere in contatto famiglie e insegnanti. Bisogna sempre partire dal contesto per capire quali risposte si possono dare, però mai si potranno eliminare le relazioni che sono di vitale importanza”.

Il volontariato è un mestiere fatto di contatto e questa sua impostazione, per così dire genetica, non è modificabile. Partendo da questa consapevolezza, risulta facile immaginare le gravi conseguenze che avrà la pandemia sul mondo della solidarietà. Il concetto di “distanziamento sociale” si è insinuato nella cultura collettiva come un herpes, latente ma pronto a riaccendersi con le condizioni adatte. Per questo motivo, la diffidenza sarà un fattore destinato a connotare le attività solidaristiche dei prossimi anni. Come si legge nel 2° Rapporto su “Opinione pubblica e volontariato in Toscana” commissionato nel 2021 dal Cesvot – Centro Servizi Volontariato Toscana, la pandemia ha aggiunto al virus biologico quello della diffidenza, che fa vedere negli altri un pericolo. 

“In pochissimi hanno chiaro quale sia l’impatto dell’epidemia sulle associazioni di volontariato, sulle imprese sociali, sulle cooperative sociali, cioè sul grande e variegato mondo del Terzo Settore – dichiara il presidente del Cesvot Federico GelliPerciò in Toscana, si è deciso di svolgere questa indagine sull’impatto dell’epidemia sulle singole associazioni, cooperative sociali e imprese sociali ponendo l’attenzione sul futuro: cosa cambierà per le organizzazioni? Quali saranno le loro condizioni economiche? Quale il destino dello spirito del volontariato? Quanto è forte da parte delle associazioni la volontà di continuare la loro missione?”.

L’indagine rileva un impatto sugli enti molto negativo e per quanto riguarda il volontariato, nello specifico, il distanziamento sociale rappresenta una difficoltà potenzialmente micidiale. Il problema fondamentale non è tanto nella disponibilità dei volontari, quanto nella difficoltà a farli lavorare, a far svolgere loro le funzioni e le attività. Che ci sia spazio all’innovazione anche per gli Enti del Terzo settore lo dice il 37,5% del campione, mentre quelli che escludono un loro possibile contributo innovativo sono limitati al 12,9% dei casi. La grande maggioranza, il 59,6% ritiene che probabilmente gli enti del Terzo Settore avranno nuovi compiti o che li avranno in alcuni ambiti particolari. L’opzione che più è stata citata riguarda l’assistenza agli anziani, gli enti del Terzo Settore potrebbero avere una delega del servizio pubblico per svolgere alcuni servizi specifici o servizi sanitari che oggi non sono disponibili o non sono svolti dal servizio pubblico, a cominciare dall’istituzione di presidi sanitari aggiuntivi nel territorio.

“La sensazione generale – prosegue Gelli – è che la sanità abbia bisogno di un suo rilancio e che i servizi siano sempre più indispensabili. È evidente, però, che la necessaria espansione sanitaria non potrà essere un impegno esclusivamente statale o di soggetti pubblici”.

Dall’indagine emergono nuove paure e nuove convinzioni per il futuro del volontariato. Le organizzazioni stanno vivendo un momento di grave difficoltà, anzi sotto certi aspetti si è davanti a un vero e proprio allarme per il futuro del Terzo Settore. L’indagine apre scenari a tinte fosche, che prevedono la caduta delle attività di solidarietà e un pesante impatto economico che non consentirà a molte organizzazioni di portare a compimento le attività previste nei loro programmi, ma emerge anche una forte capacità di adattamento dei volontari con una convinta disposizione delle persone a svolgere attività solidaristiche, il primo nodo da affrontare sarà come arginare le conseguenze negative della cancellazione degli eventi che ha impedito di raccogliere risorse e reclutare nuovi volontari.

La ricerca rileva un fabbisogno crescente del volontariato in campo sanitario, dal quale nei primi mesi di emergenza è stato bandito: qui il volontariato potrebbe mitigare l’effetto high tech-low touch che si sta profilando con il dilagare degli strumenti tecnologici.

Sono coinvolte in prima battuta e associazioni che operano nel campo sanitario, un settore che è stato fortemente messo in discussione e che ora si trova ad essere la chiave di volta verso la nuova normalità del volontariato. Massimo Silumbra, presidente nazionale di Federavo, la Federazione che raccoglie le Associazioni di Volontariato Ospedaliero, spiega: “In questi mesi abbiamo cercato di essere il collante tra i volontari che di colpo si sono ritrovati a non poter più prestare servizio, di mantenere viva la comunicazione, di fare formazione e di tutelarli affinché non mettessero a rischio la loro salute per continuare ad operare. I volontari non devono essere degli eroi”.

Ora è il momento di  riprogrammare le attività e di contarsi, perché una delle più grandi paure per il futuro è che quando si potrà ritornare nelle strutture sanitarie, i volontari saranno molti meno. Questo considerando, soprattutto, che l’età media dei volontari ospedalieri è intorno ai 68 anni, quindi si tratta di persone che difficilmente torneranno a prendere servizio negli ospedali con serenità o supportati da familiari che temono il contagio. “Il nostro timore – ammette Silumbra – è patire un forte depauperamento numerico al termine di questa epidemia”.

Ora il volontariato sanitario è alla ricerca di soluzioni alternative da attuare sul territorio nazionale, collaborando con altre associazioni e stipulando accordi a livello nazionale e locale per attività di servizio che rivestono un’utilità sociale di supporto alle nuove criticità e delle nuove povertà che stanno emergendo con la crisi sanitaria. Rimane, però, un volontariato di vicinanza fisica che in futuro dovrà essere declinato in modo diverso e che avrà il compito di cogliere le nuove problematiche che emergeranno non negli ospedali, ma sul territorio. “Il nostro fondatore, il prof. Longini – racconta ancora Silumbra – negli anni ’70 amava dire che per entrare negli ospedali avremmo dovuto abbattere i muri del pregiudizio, anche da parte degli stessi sanitari che non comprendevano bene il nostro tipo di operare, ma ora dobbiamo ribaltare la sua prospettiva euscire dagli ospedali per andare nelle case. Nessuno può affermare che al termine di questa pandemia si potrà tornare a svolgere servizio nelle strutture ospedaliere, perché mancheranno i presupposti, l’organizzazione sarà cambiata e l’accesso sarà regolamentato in modo differente. Si dovrà andare sul territorio a cercare le nuove povertà e le nuove solitudini che esploderanno nel post-pandemia,  per andare a dare sollievo a chi è solo e soffre. “Non facciamo nulla di pratico – conclude Silumbra – solo ascoltare e stare vicini a chi è in un momento di fragilità. Dove saranno persone sole e ammalate, lì dovremo andare a focalizzare il nostro intervento. Ci saranno nuovi problemi da affrontare e risolvere ma non abbiamo paura di farlo”.

Per le associazioni, infatti, diventerà necessario fare rete con altre realtà e andare a domicilio sarà una sfida, perché nelle strutture sanitarie il volontario è molto più tutelato e, per così dire, a suo agio, cosa che non avviene nelle case private.

La tecnologia, con molta probabilità, non avrà un ruolo centrale, sebbene in questi mesi sia stata di supporto, perché per un volontariato “dell’esserci” la presenza a distanza è un paradosso che rischia di diminuire molto la loro efficacia.

Come ha reagito il volontariato a questo stress test ha potuto osservarlo bene Maria Rita Dal Molin, direttrice del Centro di Servizio per il Volontariato della provincia di Vicenza: “Qui, pur con le enormi difficoltà legate soprattutto a una normativa non sempre chiara, il volontariato, promotore e sentinella attenta ai bisogni della comunità, ha continuato ad avere un ruolo insostituibile nel campo sociale e assistenziale, coadiuvando e in diversi casi supplendo alle iniziative delle istituzioni pubbliche”. Le indagini svolte sul territorio vicentino da Volontariato in Rete hanno rilevato uno sforzo delle associazioni nel rimanere al fianco della propria utenza oppure alla cittadinanza nel suo complesso, attraverso la consegna di alimenti, buoni spesa, farmaci (48,1%), fornendo attività di supporto sociale, psicologico e informativo (44,4%).

Durante la pandemia sono venute meno le relazioni, il contatto, la programmazione in presenza, le riunioni, gli incontri, lo scambio e il confronto. Il volontariato è cittadinanza attiva, cura, attenzione e dialogo. C’è bisogno di una visione futura condivisa, che tenga conto delle nuove generazioni e che sappia valorizzare l’esperienza consentendo un invecchiamento attivo a chi desidera occuparsi anche della propria comunità. “Oggi più che mai – prosegue Maria Rita Dal Molin – i volontari si sentono chiamati a rispondere a questa emergenza sociale attrezzandosi per riattivare alcune di quelle attività che ancora sono penalizzate per l’impossibilità di ritrovarsi insieme”. La tecnologia sta consentendo una modalità ibrida per gli incontri operativi tra le istituzioni e il volontariato, tra persone in presenza e altre collegate online. Lo scenario è cambiato: c’è la necessità di recuperare chi è rimasto indietro, chi ha ancora paura, chi non si è “tesserato” perché ha legato l’adesione associativa ai servizi che riceveva, invece di pensarla come opportunità di appartenenza e di condivisione. Il volontariato è sempre più alle prese con una burocrazia non voluta, dovendo trasmigrare nel Registro Unico Nazionale del Terzo Settore, ma sente la necessità di dedicare il proprio tempo al fare, per coerenza con la scelta di dedicarsi agli altri: “la dimensione del dono – afferma la direttrice del CSV di Vicenza – per chi crede nella carta dei valori del volontariato, è l’essenza della solidarietà. È un dare per giustizia e non per carità. Dialogare di qualità di vita, di pari opportunità significa procedere in un percorso di cambiamento, di attenzione, di cura che appartiene all’animo umano, al senso civico, alla promozione della pace. In questo senso, come CSV di Vicenza condividiamo la proposta del CSV di Padova di impegnarci tutti perché il volontariato venga riconosciuto come patrimonio culturale immateriale dell’UNESCO”.

L’impatto pandemico nel Sud Italia è stato allo stesso modo incisivo: “Il mondo del volontariato dell’area metropolitana del capoluogo partenopeo – racconta a Vdossier Nicola Caprio, presidente del Centro di Servizio per il Volontariato di Napoli – dopo un iniziale e comprensibile periodo di preoccupazioni, ha reagito anche prima di alcune istituzioni. Il CSV Napoli ha cercato subito la strada del confronto e del dialogo con i volontari per trovare soluzioni, strumenti e modalità per far fronte alle nuove esigenze dettate dall’emergenza. Il discorso del futuro, invece, è diverso: ora è il momento di vedere il mondo con altri occhi”. 

Il volontariato e il Terzo settore conoscono bene le diverse fragilità e si ritiene che reagiranno cercando di intercettare nuovi bisogni e attrezzandosi per dare subito risposte. Il Sud è terra di opportunità ma anche di grande povertà ed emergenza e queste caratteristiche oggi vengono acuite dalla pandemia. “Viviamo tutti in un grande Sud – afferma il presidente –  l’Italia è un territorio che ha tante risorse per reagire ma deve trovare il modo giusto per farlo”. Occorre una riflessione dinamica, complessa, innovativa sul rapporto tra le tecnologie digitali e la comunità, in modo da supportare il “volontariato” nella riorganizzazione delle proprie attività con l’utilizzo delle soluzioni innovative favorendo un cambiamento culturale, che vada oltre la fase emergenziale. Un’altra delle priorità su cui investire per trarre quanti più benefici sia possibile dall’uso del digitale è rappresentata dalla formazione e dal supporto continuo ai volontari in questo settore per lo sviluppo di una comunità che sia allo stesso tempo digitale e solidale. “Il Terzo settore e il volontariato in particolare sono pronti a fare la loro parte – conclude Caprio – ma tutti gli sforzi sono vani se non ci sono visioni strategiche condivise tra tutti i livelli istituzionali per garantire l’interesse generale. Deve esserci sinergia e collaborazione reale tra tutti gli attori per assicurare sostenibilità agli investimenti previsti dal PNRR: il rilancio può iniziare se c’è volontà e serietà da parte di tutti e mettendo in pratica metodologie differenti da quanto fatto finora.

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