di Elisabetta Bianchetti – 3 luglio 2025

Tagliare l’evidenza: i risparmi sull’impatto costano

 Molte ONG tagliano i fondi per la valutazione d’impatto nei momenti di crisi. Ma senza evidenza non c’è fiducia né miglioramento. Valutare costa, ma non valutare può costare molto di più.

Quando il budget stringe, a saltare sono spesso le voci “intangibili”. E tra queste, una delle prime a finire sotto la lama è la valutazione d’impatto. Peccato che senza evidenza non si costruisce né fiducia, né futuro. 

In un recente articolo pubblicato su Stanford Social Innovation Review (SSIR ) dal titolo eloquente We Just Lost $54 Billion. Now What? gli autori Louisa Seferis, Alix Tiernan e Maysa Ayoub lanciano un allarme che risuona anche nel contesto europeo e italiano: sotto la pressione crescente della scarsità di fondi, molte ONG stanno tagliando proprio quei programmi di valutazione e ricerca che servono a capire se ciò che fanno funziona davvero. 

Un paradosso? Solo in apparenza. Nel mondo dell’azione sociale, l’urgenza tende a divorare la riflessione, e l’impatto – quel cambiamento misurabile che dovrebbe essere la stella polare di ogni intervento – diventa un concetto vago, retorico, a volte perfino inutile agli occhi dei donatori. “Le risorse per valutare sono state viste come un lusso – scrivono gli autori – ma nel lungo periodo, non sapere cosa funziona può danneggiare la credibilità e la capacità delle organizzazioni di apprendere e adattarsi“. 

Il costo della cecità 

Gli autori, nel loro lavoro sul campo con International Rescue Committee in Siria, Libano ed Egitto, raccontano di come la riduzione dei fondi abbia comportato il taglio di strumenti di monitoraggio e valutazione (M&E- Monitoring and Evaluation), con l’effetto collaterale di indebolire la capacità delle organizzazioni di rispondere efficacemente ai bisogni delle comunità locali. È un cane che si morde la coda: meno valutazione significa meno evidenza; meno evidenza significa meno fiducia da parte dei finanziatori; meno fiducia significa ancora meno fondi. 

In Italia, il tema è altrettanto urgente. Molte realtà del terzo settore – specialmente quelle di piccole dimensioni – faticano a sostenere attività di valutazione strutturata, nonostante i crescenti obblighi di trasparenza e rendicontazione sociale. 

Senza numeri, senza voce 

Eppure, senza dati, le storie restano nell’ombra. E senza metriche, anche le buone pratiche rischiano di non essere riconosciute, replicate, finanziate. Valutare non serve solo a “dimostrare” qualcosa agli altri. Serve, prima di tutto, a comprendere ciò che si sta facendo. A correggere il tiro, a migliorare i processi, a restituire significato al tempo dei volontari e delle comunità coinvolte. La valutazione è, in questo senso, una forma di cura. Cura della relazione con gli stakeholder. Cura della propria missione. Cura della democrazia. 

Una sfida culturale (prima ancora che economica) 

Il problema, allora, non è solo di risorse. È anche di visione. In molti ambienti, la valutazione è ancora percepita come un esercizio tecnico, distante, burocratico. O, peggio, come una perdita di tempo rispetto alla “vera azione” sul campo. Eppure è proprio la valutazione a dare forza all’azione. È la lente che aiuta a vedere l’effetto di ciò che si fa. È il linguaggio che consente di parlare non solo alle istituzioni, ma anche all’opinione pubblica, ai cittadini, ai giovani che cercano un senso nelle cose. 

Una proposta per il terzo settore italiano 

Che fare, allora? Gli autori dell’articolo della SSIR propongono di inserire la valutazione in ogni progetto sin dall’inizio, come parte integrante della progettazione, non come appendice. Suggeriscono di trovare metodi leggeri, accessibili, partecipativi. E di formare team interni capaci di leggere la complessità, senza delegare tutto a consulenti esterni. 

Anche in Italia servirebbe un’alleanza tra enti del terzo settore, fondazioni erogatrici e pubbliche amministrazioni per promuovere una cultura condivisa della valutazione: meno orientata al controllo, più attenta all’apprendimento. 

Perché valutare costa, sì. Ma non valutare costa molto di più. 

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