di Marco Benedettelli – 13 giugno 2025

Accendere la speranza. Anche nei campi profughi

 In viaggio con David Dube, alias Double D, artista congolese di Goma e rifugiato in Uganda, incontrato per le strade di Kampala e conosciuto grazie all’associazionismo marchigiano.

Un nuovo concerto per la pace nel campo profughi di Nakivale, Doube D ci sta lavorando sodo, perché per lui la musica va oltre ogni cosa e vince la paura, la disperazione e la follia della guerra che da sempre tormenta la sua terra, nella Repubblica democratica del Congo.

David Dube Ndayomba – Doube D è il suo nome d’arte – è nato  31 anni fa a Goma, capoluogo del Kivu Nord, una provincia dalla bellezza paradisiaca ma attanagliata da guerre senza fine. Lo scorso gennaio, con l’invasione della sua città da parte delle milizie irregolari di M23, Doube D ha dovuto abbandonare la sua casa, con la moglie e i tre figli, per rifugiarsi oltre confine, nell’immenso stanziamento per profughi di Nakivale, a sud dell’Uganda.
Dopo qualche mese tra lamiere e container, ora Doube D si è trasferito con la famiglia a Kampala, la capitale ugandese, “ma in quel campo torno spesso, c vivono tanti amici, ci ero già stato per suonare prima dell’occupazione di Goma – mi racconta al nostro appuntamento –  Sono nato per mandare messaggi, la mia unica arma è la musica, sono un combattente per la pace”.

Con David Dube ci siamo incontrati  propria a Kampala, nei pressi della moschea nazionale che dalla cima di una collina guarda la  multiforme e aggrovigliata metropoli dell’Africa centrale, i suoi mercati che si sviluppano verticali negli edifici del downtown e la sua cappa di smog. “A Goma, casa mia, avevamo un’associazione musicale per i bambini di strada. Si chiamava Mummayago. Accoglievamo i giovanissimi scappati dai villaggi della campagna attorno Goma, in Kivu. Ma quando i miliziani dell’M23 sono entrati hanno distrutto tutto, gli strumenti musicali, i mixer, ogni cosa. Ora la sede è chiusa”,  mi racconta attorno a un tavolo di un ristorante somalo. Grazie a Mummayago, i ragazzi di strada erano aiutati a fare musica, fondare band. Componevano e cantavano canzoni raggae e rap, di pace, libertà, unione. “Messaggi che non sono tollerati da chi porta la guerra, da chi distrugge”, racconta Doube D. Nella sede dell’associazione invece l’arte sbocciava come riscatto, era resistenza al lavaggio del cervello che la disperazione della guerra senza fine imprime su chi la subisce.  Nei villaggi attorno a Goma, sulle sue verdi colline equatoriali, il destino non lascia molte possibilità e le più comuni sono le più infami, subire violenze o morire sotto gli assalti, essere arruolati con la forza in qualche esercito o scappare in cerca di rifugio.

Lo scorso gennaio il gruppo di ribelli armato M23 è tornato con determinazione all’attacco nel Kivu Nord e Sud e ha ripreso in un lampo i capoluoghi provinciali prima di Goma e poi di Bukavo. È una terra bellissima, ricca di acqua e foreste sopra, gravida di minerali sotto, come cobalto e litio, indispensabili per il nostro high tech. Una fortuna che si è tramutata in una maledizione infinita. Da metà degli anni 90, soprattutto dopo il trauma del genocidio ruandese, nell’area un caleidoscopio di gruppi armati non cessano di essere in guerra, tra loro e con gli eserciti regolari.  Sono formazioni mosse da tensioni etniche ma non solo, pronte a ricombinarsi e allearsi in alleanze sempre inedite, asserragliate nel profondo delle foreste ma connesse attraverso intermediari allo scacchiere del traffico e commercio internazionale di minerali. “C’è la guerra da quando sono nato. Io non so spiegarmi le ragioni del conflitto.  Capire cosa c’è dietro l’M23 è come entrare dentro la mente di una divinità lontana. È impossibile”, mi dice con rassegnazione David Dube. È la prima volta che ci parliamo e ci incontriamo, nel cuore dell’Africa centrale.

Ad aver reso possibile il nostro appuntamento è una catena di amicizie che collega Goma, l’Uganda e le Marche nel segno dell’associazionismo. 
Sono in viaggio da qualche giorno, per raccontare i progetti sanitari dei Medici con l’Africa Cuamm ed Emergency dopo i tagli di UsAid e visitare realtà missionarie sostenute da un’associazione delle Marche, Centro Missioni. Quando passo qualche giorno a Kampala ho per le mani il contatto di Doube D. A girarmelo è stato un altro musicista che vive da anni a Falconara Marittima, si chiama Wanny S-King, nome d’arte. Anche lui viene da Goma ed è un profugo della diaspora congolese, che oggi partecipa con la sua musica alla vita associativa di tante realtà delle Marche, dall’Ambasciata dei diritti, all’associazione Arcopolis di Ancona, alla Galleria delle Idee di Falconara. Wanny, che è sempre stato un attivista, è il fondatore di Mummayago e dal 2009 grazie alla sua associazione ha sviluppato tanti progetti, anche di risonanza internazionale.
È nel centro per ragazzi di strada che Wanny e David Dube collaboravano, organizzando anche festival per Goma. Entrambi erano in Kivu Nord lo scorso gennaio e quando l’M23 è arrivato in città hanno visto i morti e le esplosioni. Wanny è riuscito a sconfinare in Ruanda e poi è tornato in Italia, dove vive con la sua compagna Laura e i due figli piccoli. Quando lo ho incontrato prima della partenza per l’Uganda, mi ha detto le stesse parole che mi avrebbe ribadito il suo amico Double D: “A Goma non possiamo più fare niente, è tutto distrutto. I militari armati danno la caccia a noi artisti perché attraverso la musica, le sue parole, i giovani si fanno domande. Questo a loro non piace. Ho molti amici che hanno dovuto cercare salvezza in Uganda, David Dube è uno di questi”.

Ed è così che ci siamo dati appuntamento con David, un messaggio al telefono dopo l’altro, inseguendoci per le strade di Kampala. Durante il nostro incontro, tra le chiacchiere, a un certo punto mi spiega di conoscere solo una canzone in italiano, e dal nulla inizia a fischiettare il motivo di “Bella ciao”. Sorpreso, gli spiego che quella canzone racconta il sacrifico per la liberazione della propria terra dall’invasore, dal fascismo. È un canto universale, a pensarci bene. Doube D sgrana gli occhi, ne ignorava il senso, quella musica gli parla anche della storia di Goma, la sua città occupata tra le sponde del lago Kivu e le pendici del vulcano Nyiragongo, azzurra d’acqua, nera di roccia lavica. Mi promette: “Al mio prossimo concerto ne canterò una versione in Swahili”, la sua lingua africana.

Ora Doube D il suo concerto lo sta organizzando davvero, è tornato nel Refugee Settlement di Nakivale quando lo sento, qui ha già parlato coi funzionari del campo profughi, ha trovato uno spazio, qualche strumento. A Nakivale vivono  circa 264mila  persone, è un conglomerato sorto negli anni ‘50 dello scorso secolo fatto di piccoli insediamenti sparsi su una vasta area. Ci sono mercati, scuole, mototaxi e autobus che collegano le varie zone, comunità della Rd Congo e Sud Sudan vi sono stanziali ormai da decenni. L’Uganda ospita il numero record di quasi due milioni di rifugiati e richiedenti asilo, in prevalenza dall’Africa centrale e orientale. “Anche in un campo profughi non bisogna mai perdere la speranza”, mi ha detto David Dube al nostro primo incontro. Il suo prossimo concerto sarà una festa di pace, mi ripete nei suoi messaggi. “Per le strade del settlement ho incontrato gente di Goma, di Bukavo, arrivata da poco. Tutti ci hanno chiesto di suonare”. In un angolo, gli amici di Doube D tengono vivo il laboratorio musicale dei International Fighters for Peace, che era nato a Goma nel 2010 e che oggi continua a pulsare fra le baracche dell’insediamento. È da li che Double D mi manda una foto e poi mi dice in un vocale: “La musica ci rende uniti, anche se abbiamo diverse culture. Ci dà la forza per farci domande, tenere accesa la testa e guardare oltre il destino di tutti i giorni”.

*Foto di David Dube*

TI POTREBBERO INTERESSARE