Mentre il sistema sanitario pubblico arranca tra tagli, burocrazia e disuguaglianze, in tutta Italia stanno emergendo forme di welfare costruite dal basso. Nei quartieri, nelle periferie e nei contesti marginali, medici in pensione, infermieri volontari, studenti e attivisti danno vita ad ambulatori popolari, sportelli sanitari solidali e farmacie mutualistiche. Questi presidi, gestiti su base volontaria, offrono visite mediche, supporto psicologico, orientamento e ascolto a chi è escluso dai canali ufficiali: migranti, lavoratori poveri, anziani soli, persone senza documenti o fissa dimora. Ma la loro funzione va oltre la risposta emergenziale: sono laboratori di cittadinanza, che praticano un’idea di salute come diritto universale, gratuita e relazionale. Realtà che dimostrano come il volontariato sanitario non si limita a “tappare buchi”. Costruisce modelli alternativi di cura, in cui la salute non è un privilegio ma un bene comune.
Reportage: i volti del welfare alternativo. Presìdi, storie, città




Foto di MVI – Medici Volontari Italiano
A Bologna, la salute non si chiede per favore
Nel cuore della città, tra i palazzi popolari e le linee di autobus che portano verso la periferia, c’è un ambulatorio dove il diritto alla salute non è messo in discussione. È la sede di Sokos, un’associazione nata nel 1993 e gestita interamente da volontari – medici, infermieri, psicologi, mediatori culturali – che offrono gratuitamente visite, ascolto e orientamento a chi è escluso dal sistema sanitario. Il loro ambulatorio sociale è una risposta concreta alla marginalità sanitaria. Sokos si rivolge a persone senza permesso di soggiorno, senza fissa dimora, a chi ha perso tutto o non ha mai avuto nulla: chi non può iscriversi al medico di base, chi teme la burocrazia, chi ha paura anche solo di farsi vedere. Qui non si fanno distinzioni: ogni persona è accolta e curata con dignità. Il principio è semplice e radicale: la salute è un diritto universale, non un privilegio da conquistare. Sokos rifiuta la logica emergenziale: non è “la croce rossa per poveri”, ma un laboratorio di umanità dove si sperimenta ogni giorno un altro modello di sanità, basato su accoglienza, ascolto e presa in carico integrale. I volontari non si limitano a curare: raccolgono dati, segnalano casi, fanno advocacy per denunciare le contraddizioni del sistema: «Non sostituiamo il pubblico: ci battiamo perché torni ad essere di tutti», è una frase ricorrente tra chi ci lavora.
A Roma, rimettere a fuoco la dignità
Succede a Trastevere, ma potrebbe essere ovunque. Un anziano entra timidamente nella sala d’attesa, accompagnato da una volontaria. Non ha mai fatto una visita oculistica in vita sua. Non se l’è mai potuta permettere. Adesso invece è qui, al Centro Oculistico Sociale aperto nel 2024 da Sant’Egidio con il supporto di Luxottica, dove tutto – dalla visita agli occhiali – è gratuito.
Qui non si entra con un ticket, ma con una storia. Uomini e donne invisibili alla sanità pubblica trovano un posto dove essere guardati negli occhi, e curati. Il centro è un presidio nuovo, ma la logica è antica: la salute visiva non è un lusso, è parte della dignità. I medici ci sono, i macchinari anche. Ma quello che colpisce di più è l’accoglienza: nessuno viene spedito via, nessuno è di troppo. Il progetto si rivolge in particolare a chi vive ai margini – anziani in povertà, migranti, persone senza dimora – per i quali una visita oculistica può significare tornare a lavorare, a leggere, a muoversi nel mondo. Non è beneficenza. È giustizia sanitaria. E forse è anche un modo per ricordarci che non c’è sguardo che possa dirsi sano se ignora la sofferenza intorno a sé.
A Milano, la clinica dei dimenticati
L’unità mobile si ferma sotto i portici di una stazione. È notte, fa freddo. Un medico apre il portellone, un’infermiera sistema il tavolino. È così che i Medici Volontari Italiani portano la sanità dove lo Stato non arriva. Su quattro ruote, senza clamore, incontrano chi vive in strada, chi dorme nei rifugi, chi non ha un documento, né un medico, né una tessera sanitaria. Nel 2023, oltre 2.500 persone si sono rivolte a loro. L’88% erano straniere. Alcuni avevano ferite da curare, altri solo bisogno di essere ascoltati. I volontari visitano, medicano, orientano. Ma soprattutto restano. In tre ambulatori fissi, oltre che sulla strada, costruiscono giorno dopo giorno un punto di riferimento per chi non ne ha. Ogni visita è anche un atto di riconoscimento. Ogni terapia, una forma di resistenza. Perché in una città che corre, che esclude, che spesso ignora, questi presìdi sono isole di cura e di senso, dove la medicina torna a essere una relazione prima che una prestazione.
A Napoli, la cura è popolare e politica
Nel quartiere Materdei, all’interno dell’ex Ospedale Psichiatrico Giudiziario “Je so’ pazzo”, la salute è tornata a essere un diritto collettivo. Qui sorge l’Ambulatorio Popolare dell’ex OPG, uno spazio autogestito dove centinaia di volontari, tra medici, studenti e attivisti, offrono visite gratuite, supporto psicologico, orientamento legale e farmaci di base a chiunque ne abbia bisogno. Zero burocrazia. Nessuna distinzione tra italiani e stranieri. Nessuna tessera sanitaria richiesta.
Chi arriva qui spesso non ha alternative. È un migrante appena sbarcato, un disoccupato, una persona che ha perso la casa o che vive con una pensione minima. Ma non si viene solo per farsi curare. L’ambulatorio è anche un centro politico, che denuncia le ingiustizie sanitarie, organizza cortei, partecipa alle battaglie per un SSN più equo. Nel 2024 sono state effettuate più di 3mila. Ma dietro ogni numero c’è una storia, un corpo fragile, un’esistenza che rifiuta l’invisibilità. Questo spazio non è neutro. È ribelle. E dimostra che anche nei luoghi abbandonati, può nascere una medicina capace di ricostruire legami sociali.
A Torino, lo sportello che ascolta prima di curare
Nel quartiere Aurora, a due passi da Porta Palazzo, il Progetto Camminare Insieme fa una cosa semplice e rara: ascolta. Nato dall’iniziativa di un gruppo di medici, mediatori e volontari, lo sportello accoglie ogni settimana centinaia di persone – migranti, richiedenti asilo, donne vittime di tratta, italiani impoveriti – che non sanno dove sbattere la testa per una visita, un farmaco, un documento.
Non è un ambulatorio nel senso stretto. È un luogo di orientamento e accompagnamento sanitario, dove si prova a ricostruire un percorso interrotto. I volontari aiutano a ottenere il codice STP, a capire come funzionano le visite specialistiche, a trovare uno studio medico che accetti chi è fuori dalle reti ufficiali.
Ma, prima di tutto, si fermano ad ascoltare: cosa ti è successo? di cosa hai bisogno davvero? Il lavoro è paziente, silenzioso, spesso invisibile. Ma senza questo primo passo, nessuna cura è possibile. È una medicina fatta di tempo, relazione e fiducia.
Riflessione: chi si cura e perché
Dietro ogni accesso a questi ambulatori c’è un vuoto lasciato dal sistema pubblico. Non si tratta di pochi casi: parliamo di migliaia di persone ogni anno che si rivolgono a queste realtà perché non hanno altra scelta. Secondo i dati di Medici Volontari Italiani, solo nel 2023 sono stati assistiti 2.599 pazienti, con l’88% stranieri e l’81% uomini, spesso senza tessera sanitaria o residenza. Il Naga, sempre a Milano, effettua oltre 10.000 visite l’anno. E l’ambulatorio mobile di Emergency ha erogato più di 7.700 prestazioni in un solo anno, molte delle quali a persone che non avevano mai visto un medico prima.
I profili sono diversi, ma i fattori di esclusione si somigliano: migranti senza documenti, lavoratori in nero, anziani soli, cittadini italiani impoveriti, persone senza dimora, donne e uomini sprofondati in una zona grigia dove il diritto alla salute diventa opzionale. Non è solo una questione di povertà: è una questione di barriere sistemiche, burocratiche, linguistiche, culturali.
Per molti, questi ambulatori rappresentano l’unico luogo dove essere accolti, ascoltati, curati con rispetto. Dove il tempo di una visita non è misurato in minuti, ma nella qualità della relazione. Dove nessuno deve giustificarsi per ricevere cure.
Visioni: Non toppe, ma alternative
Non si tratta di “tamponare” i buchi della sanità pubblica. Questi spazi propongono un modello di salute diverso, fondato sulla gratuità, sull’accesso incondizionato, sulla presa in carico complessiva. Offrono prestazioni mediche, certo, ma anche supporto psicologico, orientamento legale e sociale, mediazione linguistica. E soprattutto, restituiscono centralità alla persona. La cura diventa un atto di riconoscimento, non di concessione.
Sono spazi politici, nel senso più profondo del termine. Mettono in discussione un modello di sanità che seleziona chi curare in base alla residenza, al reddito o ai documenti. Dimostrano che un altro approccio è possibile: uno in cui la salute non si compra, ma si garantisce.
In questo senso, il volontariato non sostituisce il pubblico. Lo sfida. Lo interroga. Lo integra. E ci mostra, giorno dopo giorno, che una medicina più umana non è utopia, ma pratica quotidiana.
Quello che emerge dagli ambulatori ribelli, dai centri oculistici solidali, dagli sportelli informali e dalle unità mobili non è solo una rete di emergenza, ma una mappa viva di possibilità. Un welfare costruito dal basso che non aspetta riforme, ma le anticipa. Che non si accontenta di tappare i buchi, ma immagina un altro modo di curare.
Oltre l’emergenza: una sanità che cambia dal basso
Il potenziale trasformativo di queste esperienze è enorme: restituiscono fiducia alle persone, rimettono al centro la relazione, combattono l’isolamento e la paura. Ogni presidio raccontato resiste a una deriva. E pone una domanda scomoda: fino a quando il volontariato potrà colmare l’assenza del pubblico senza diventarne il surrogato? Quando l’eccezione diventa la regola, il rischio è accettare una sanità a due velocità. Una per chi può. Una per chi spera.
Eppure, queste realtà non si rassegnano. Non solo curano: denunciano, documentano, accompagnano. Ogni ambulatorio è anche una presa di parola. Una forma di resistenza. Un atto politico, anche se silenzioso. In definitiva, non sono un’alternativa. Sono una dichiarazione:
una sanità più giusta, inclusiva e umana non è un sogno da chiedere. È già in atto. E lavora per tutti, ogni giorno.
Mappa dei Presìdi Sanitari Solidali in Italia
Una selezione di ambulatori, sportelli e unità mobili attivi sul territorio, raccolti attraverso fonti pubbliche, siti delle organizzazioni e articoli online. L’elenco non è esaustivo, ma vuole offrire uno sguardo rappresentativo sulla rete del volontariato sanitario che opera dal basso, spesso in silenzio, per garantire cure a chi è escluso dal sistema pubblico.
Fonti consultate: siti ufficiali delle associazioni, portali informativi del Terzo settore, report di settore
Se conosci realtà simili e vuoi segnalarle, scrivici: questa mappa è aperta, come lo sono i presìdi che racconta.