di Iria Cogliani – 17 giugno 2024

Non è un gioco. L’azzardo, una patologia molto grave

 L’impegno degli enti del Terzo settore di fronte a un fenomeno senza confini di età, geografici e ceto. Avviato il numero verde nazionale

Anzitutto chiamiamolo gioco d’azzardo patologico e non ludopatia, sottolineano i volontari impegnati nel settore. Gioco d’azzardo patologico è infatti il termine tecnico, specifico e raccomandato, che trova posto nelle classificazioni scientifiche.

Il composto neoclassico ludopatia, invece, al di là delle nobili ascendenze (il latino lūdum, relativo al gioco, e il greco pátheia ovvero malattia, stato di sofferenza), “è meno preciso dal momento che si perde il riferimento specifico alla componente dell’azzardo” (Accademia della Crusca). L’azzardo è dunque il problema. Almeno per chi se ne occupa al fianco –e dal punto di vista– del giocatore e dei suoi cari. Un po’ meno per le realtà, tra cui ovviamente anche lo Stato, che ci guadagna.

I numeri del fenomeno. Secondo la Conferenza Stato – Regioni e l’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli, si stima che il gioco illegale in Italia ogni anno abbia un “valore” tra i 20 e i 25 miliardi di euro. Nel 2022 la raccolta (cioè la spesa complessiva) è stata di 136 miliardi (+292per cento dal 2006): 63 miliardi per gioco fisico e 73 miliardi (+ 373per cento rispetto al 2012) l’online. In pratica si tratta di 1.069 euro per ciascun italiano per il gioco nei locali e di 1.239 euro per il gioco telematico.

Ma anche ciò che succede da un anno all’altro dà l’idea della dimensione del fenomeno. “Il libro nero dell’azzardo – La crescita impetuosa dell’azzardo online in Italia. Mafie, dipendenze, giovani” pubblicato da Federconsumatori e Cgil, in collaborazione con la fondazione Isscon (Istituto studi sul consumo), ricorda che tra il 2021 e il 2022 il volume lordo del giocato in Italia è aumentato del 22,3 per cento e la raccolta online ha raggiunto un + 8,8 per cento.

I territori da “primato” (negativo). La regione con il primato italiano di spesa in azzardo (10,4 miliardi) è la Campania. Il presidente della locale Federconsumatori, Giovanni Berritto, spiega: a fronte di 136 miliardi per il gioco, la spesa alimentare complessiva è stata di 160 miliardi, la spesa per la Difesa viaggia sui 28 miliardi, quella per l’Istruzione sui 52 miliardi. E aggiunge: “Esiste una relazione inversa tra la situazione socio-economica e l’incremento dell’azzardo. All’acutizzarsi della crisi, reale o percepita, corrispondono la crescita della propensione al gioco e la contrazione dei consumi.

Sull’online è ancora più evidente. Dalla visuale dell’azzardo i cittadini più tecnologici abitano in Campania, Sicilia e Calabria”. Ed è fondamentale ricordare che “l’azzardo online è uno dei più importanti canali di riciclaggio del denaro sporco. Nei territori ad alto tasso di criminalità organizzata la quantità di giocato è enorme. Nelle province di Benevento, Crotone, Reggio Calabria, Messina, Siracusa e Palermo si giocano somme tre o quattro volte più alte rispetto a Modena, Bergamo, Firenze, Trieste, Padova, Verona”.

“La politica dovrebbe dare maggiore attenzione alle diverse dipendenze che da anni sono fondatamente percepite come nuovi allarmi sociali”, aggiunge Daniela Milano, di Mettiamoci in gioco, la campagna nazionale contro i rischi del gioco d’azzardo avviata nel 2012 per sensibilizzare l’opinione pubblica e le istituzioni. Daniela Milano è la referente della campagna per Messina, una delle grandi città di quella Sicilia che è seconda solo alla Campania per ampiezza del fenomeno (i siciliani spendono ogni anno 8,67 miliardi di euro nel gioco).

“Non basta approvare leggi, quando si riesce a farlo, se non vengono elaborati regolamenti che disincentivino le persone al gioco d’azzardo, se non vengono incrementati gli organigrammi dei servizi sanitari, se non vengono potenziati gli stessi servizi riconoscendo anche un valore alla co-progettazione con il terzo settore che quotidianamente vive accanto alle persone, possibili bersagli delle diverse forme di dipendenza e possibili protagonisti di vissuti di disagio e precarietà esistenziale”

Proprio di recente la campagna nazionale “Mettiamoci in gioco” e la Consulta nazionale antiusura Giovanni Paolo II hanno espresso la loro contrarietà all’impostazione che il governo ha seguito nel riordino del comparto del gioco d’azzardo. “Sembrano prevalere gli interessi dell’erario e quelli della filiera che gestisce l’offerta di azzardo, mentre non sono adeguatamente considerati i rischi sanitari e sociali del settore. Preoccupa particolarmente la soppressione dell’Osservatorio per il contrasto della diffusione del gioco d’azzardo e il fenomeno della dipendenza grave, costituito al ministero della Salute, e l’istituzione al suo posto della Consulta permanente dei giochi pubblici al ministero dell’Economia. Si pone così in primo piano l’aspetto economico e non il diritto alla salute del cittadino”.

Le persone dentro i numeri. Dai numeri alle persone il passo è obbligato. Per lo studio campionario Ipsad (Italian population survey on alcohol and other drugs), condotto nel 2022, sono quasi 30 milioni gli italiani tra i 18 e gli 84 anni che hanno giocato d’azzardo almeno una volta nella loro vita (62 per cento), 20 milioni e mezzo lo hanno fatto nel corso dell’anno (43 per cento) e in 10 milioni hanno riferito di aver giocato negli ultimi 30 giorni (21 per cento) rispetto al sondaggio. E se è preoccupante quest’ultimo dato c’è anche di più. Dall’analisi dei comportamenti individuali viene fuori che oltre 2 milioni e mezzo di giocatori (13 per cento del totale) sono seriamente a rischio.

Sono quelle persone che hanno giocato somme di denaro maggiori rispetto a quanto potevano permettersi di perdere, che hanno preso in prestito denaro o venduto qualcosa per realizzare somme destinate al gioco o che si sono sentiti in colpa per il loro modo di giocare o per le conseguenze del proprio gioco.

Non bastasse, c’è la diffusione del gioco d’azzardo fra gli adolescenti. Lo studio campionario Espad (European school survey project on alcohol and other drugs) condotto anch’esso nel 2022, rileva che il 57 per cento degli studenti tra i 15 e i 19 anni, pari a quasi un milione 500 mila ragazzi, afferma di aver giocato d’azzardo nella propria vita e il 51 per cento (un milione 300 mila ragazzi) nel corso dell’anno.

Entrambi i valori sono i più alti mai registrati dal primo anno di rilevazione. Tra i ragazzi, circa 67 mila presentano un profilo di gioco definibile problematico e quasi 130 mila a rischio. Si tratta di giovanissimi che prendono in prestito denaro o rubano qualcosa pur di avere i soldi per giocare, fanno assenze a scuola, non riescono a smettere di giocare e hanno discussioni con amici e parenti a causa del gioco.

L’impegno del terzo settore. La dipendenza dal gioco d’azzardo è una patologia in carico al servizio sanitario nazionale dal 2012 ed è tra le dipendenze inserite nei trattamenti previsti dai Livelli essenziali di assistenza (Lea). E infatti uno degli obiettivi principali del terzo settore impegnato in questo campo è quello di garantire ai giocatori l’assistenza sanitaria e permettere loro di riacquisire dignità e rispetto per se stessi.

Oltre all’Osservatorio e al Fondo statale per il gioco d’azzardo patologico, in Italia sono stati attivati dall’Istituto superiore della sanità il telefono verde nazionale (800 558822) che fornisce un servizio di counselling telefonico, anonimo e gratuito, attraverso il quale una équipe di psicologi fornisce informazioni sul disturbo gioco d’azzardo e sulle risorse territoriali a disposizione, e la piattaforma Uscire dal gioco, che fornisce indicazioni concrete e orientamento verso i servizi di cura.

Numerose sono le realtà di rilievo nel terzo settore e nel privato sociale. Solo per fare qualche esempio: il Conagga (Coordinamento nazionale gruppi per giocatori d’azzardo), il gruppo Amalo-Arcenciel costituito da volontari e professionisti che promuovono e sostengono l’auto mutuo aiuto, And (Azzardo e nuove dipendenze) che si occupa dalla sensibilizzazione alla presa in carico, dalla ricerca all’advocacy, il progetto Orthos, i cui interventi terapeutici si basano sulla metodologia dellapsicoterapia della gestalt, la linea dedicata di San Patrignano.

Solo il Cnca (Coordinamento nazionale comunità di accoglienza) conta, con riferimento al gioco d’azzardo patologico, 62 servizi attivi in quattordici diverse regioni d’Italia, tra servizi ambulatoriali, centri diurni, comunità dedicate e moduli residenziali. Eppure è sempre in crescita la platea di persone coinvolte dalla problematica: giovani, meno giovani, anziani, lavoratori, studenti, disoccupati, casalinghe, libero professionisti, pensionati.

“Spesso”, sottolinea Daniela Milano, “ci troviamo davanti a persone insospettabili che affidano le loro fragilità, le loro difficoltà, al gioco d’azzardo esponendosi a rischi gravi e sottovalutati, come perdere il lavoro, indebitarsi con le banche e/o agenzie di credito, affidarsi a usurai. Ritrovandosi in situazioni che diventano insostenibili”. Secondo Emiliano Contini, coordinatore sottogruppo “azzardo” del Cnca “dal Covid in poi la normalizzazione del fenomeno azzardo è proseguita con l’ampliamento dell’offerta ai vari target di clientela (giovani, donne) e il ricorso a giustificazioni socio-culturali (lotterie finalizzate al restauro di monumenti, coinvolgimento di enti che si occupano di disabilità per la grafica di alcune lotterie, nuova estrazione del lotto giustificata dalla devoluzione dei proventi ai danni di alluvioni).

Negli ultimi giorni, poi, stiamo assistendo alla decadenza dell’ultimo baluardo di difesa della salute dei cittadini: gli enti locali in sede di consulta Stato Regione presso la commissione finanze del Senato hanno promosso la compartecipazione delle Regioni al 5 per cento dei proventi di slot e Vlt (Video lottery terminal, apparecchi di intrattenimento e svago automatici), lasciando via libera alla fine di strumenti di argine quale, in primis, il cosiddetto distanziometro per l’avvio di nuove sale di gioco”.

Che fare? Consapevolezza è la parola chiave secondo Milano. “È difficile aiutare chi non sa di avere un problema. Nel corso degli anni abbiamo accolto decine e decine di giocatori, spesso accompagnati dal partner e/o dai genitori, che sottovalutano o addirittura negano il problema. Poi, chi torna ai colloqui e si confronta con gli operatori, racconta che non riesce a smettere di giocare, ha perso interesse per tutto quello che non è il gioco, sono a rischio legami affettivi, occupazione e, decisamente, situazione economica”.

Il campanello d’allarme è il calo finanziario, di cui spesso si accorge un familiare. E poi bugie, eccessiva irritabilità, continue assenze in famiglia, al lavoro, a scuola. Non per caso “il percorso prevede un lavoro incisivo sulla gestione del denaro ma ancor di più sul rispetto del denaro e sul rispetto per sé stesso e sull’autostima”.

Per Berritto sono indispensabili il contrasto reale ai fenomeni criminosi, l’inaccessibilità al gioco da parte dei minori, limiti severi alla straordinaria capacità di comunicazione e marketing del settore. Ma anche e soprattutto: “una legge-quadro sul gioco online che oggi manca e che preveda accertamento dell’identità del giocatore e tracciamento dei flussi di denaro, e una battaglia culturale, rivolta anzitutto ai giovani, che sia scevra da tentazioni di proibizionismo e di moralismo ma capace di raccontare la realtà”.

“Grazie all’esperienza di 18 anni di accoglienza ed intervento sulle dinamiche del disturbo da gioco d’azzardo”, aggiunge Contini, “ritengo opportuno continuare a promuovere i servizi territoriali: creare spazi di corretta informazione e prevenzione, a partire dalle scuole, ma coinvolgendo il tessuto socio-economico, compresi i luoghi commerciali con attività di azzardo; potenziare i SerD (Servizi dipendenze delle Asl) con personale, luoghi e orari di accesso dedicati; mantenere, e dove non ci sono favorire, la nascita di sportelli di ascolto territoriali, presidio che favorisce la riduzione della distanza e della mancanza di informazione che spesso separano chi ha un problema dai servizi preposti all’accoglienza della richiesta di aiuto; creare luoghi di confronto con tutti gli stakeholders territoriali. Abbiamo capito anche nell’esperienza con le dipendenze da sostanze psicotrope che il fare rete è elemento imprescindibile per favorire la corretta informazione sui servizi e agganciare soggetti e famiglie che rischiano di rimanere invisibili. In attesa di un riordino nazionale del comparto -con le prime avvisaglie non proprio confortanti- ci appigliamo alla nostra esperienza, alla professionalità costituita, alla territorialità e alla nostra tenacia di comunità accoglienti, sempre e malgrado tutto”.

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