di Lara Esposito - Cantiere Terzo Settore – 30 ottobre 2025

Fiscalità del Terzo settore: dal 2026 cambia tutto

 Una nuova prospettiva per gli enti: tra regimi fiscali, criteri di commercialità e il ruolo chiave di CSV, cambia il metodo di analisi per valutare la sostenibilità economica delle proprie attività. Una sfida da raccogliere insieme a CSV, reti e professionisti.

Sulla fiscalità, dal 1° gennaio 2026, gli enti del Terzo settore dovranno imparare a cambiare prospettiva. Dopo anni di attesa, infatti, e a seguito della “Comfort letter” della Commissione Europea e delle modifiche al codice del Terzo settore del decreto legge n. 84 dello scorso 17 giugno, l’operatività del regime fiscale sancito dalla riforma del 2017 diventerà finalmente effettiva.

Il nulla osta dell’Europa, in particolare dalla Direzione Generale Concorrenza, era necessario per escludere che il nuovo impianto fiscale fosse considerato come aiuto di Stato, riconoscendo che i benefici fiscali previsti sono giustificati dalle peculiari caratteristiche alla base del Terzo settore italiano.

Rimangono sospesi alcuni elementi della riforma fiscale la cui operatività è soggetta all’autorizzazione della Commissione europea, come i titoli di solidarietà e alcune disposizioni per le imprese sociali, come quelle legate all’accesso agevolato al capitale di rischio e al Fondo per la promozione e lo sviluppo delle imprese sociali.

Si chiude quindi un cerchio e se ne apre uno nuovo, tutto ancora da costruire, basti pensare che dal prossimo anno verrà dismessa l’Anagrafe delle Onlus, riferimento fin dal 1997 per decine di migliaia di organizzazioni italiane.

Tra le grandi abrogazioni di questo nuovo regime, c’è quello del regime fiscale forfettario previsto dalla legge 398, che si potrà continuare ad applicare solo alle associazioni sportive dilettantistiche.

Rimane sullo sfondo anche il passaggio del regime Iva da “escluso” a “esente” o “imponibile” per le organizzazioni non profit, richiesto dall’Europa, su cui il vice Ministro dell’Economia e delle Finanze Maurizio Leo ha annunciato in più occasioni una proroga pluriennale.

Ma cosa implica il nuovo regime fiscale?

Con la riforma del Terzo settore cambiano profondamente i criteri di valutazione fiscali applicabili agli enti. Muta proprio lo sguardo verso gli enti, che dovranno imparare ad analizzare il modo il cui svolgono le proprie attività, “pesandole” e confrontandole per determinare se siano di tipo “commerciale” o “non commerciale”. Non è più “ciò che si fa” ma “il modo in cui lo si fa” a fare la differenza.  

Se ad esempio un’associazione si occupa di ripetizioni ai bambini con difficoltà, in base ai criteri stabiliti nella norma, potrebbe farlo in modalità “commerciale” o “non commerciale”.

Questo significa che ora il fisco guarderà agli enti del Terzo settore entrando nel dettaglio di come agiscono concretamente. La stessa organizzazione, inoltre, potrà quindi svolgere attività commerciali ma, se nel complesso prevalgono quelle non commerciali, manterrà una qualifica di “ente del terzo settore non commerciale”.

La “casella fiscale” in cui rientrare non sarà definitiva: il regime da applicare dovrà essere calcolato anno per anno. Si tratta di una sfida indubbiamente complicata, che coinvolge oltre agli enti anche l’Agenzia delle entrate, chiamata a stabilire criteri certi e prassi consolidate per evitare che gli enti, anche in modo inconsapevole, facciano errori.

Essere ente del Terzo settore “commerciale” o “non commerciale” implica regimi fiscali molto diversi. Per quelli “non commerciali”, infatti, è previsto un regime forfetario agevolato (ad esempio, se l’ente ha ricavi commerciali pari a 100.000 euro di entrate, la base imponibile su cui pagherà le imposte è 7000 e su quello che si applica l’aliquota Ires), mentre se si risulta “ente commerciale” la tassazione rimane uguale a quella di qualsiasi altro soggetto societario, in base comunque alla propria forma giuridica. Questo significa che si pagheranno Ires ordinarie, come qualsiasi altro contribuente. Per le cooperative sociali continuano invece ad applicarsi i regimi fiscali da tempo in vigore.

Rimane comunque un approccio specifico per organizzazioni di volontariato e associazioni di promozione sociale, per le quali alcune attività, se svolte in determinati modi, saranno considerate di default non commerciali. Inoltre, le Odv e le Aps con ricavi commerciali sotto determinate soglie, potranno usufruire di un regime particolarmente agevolato e di esenzione dell’Iva.

A complicare il quadro c’è il rapporto tra tassazione diretta e Iva: alcune attività potrebbero essere considerate commerciali per il fisco e non commerciali per l’Iva. Il metodo di calcolo è infatti diverso.

Non lasciamoli soli

In questo scenario in profonda trasformazione, la sfida non riguarda solo gli enti, ma coinvolge l’intero ecosistema del Terzo settore. CSV, reti associative, professionisti e istituzioni sono chiamati a un ruolo attivo e strategico: accompagnare, formare e supportare le organizzazioni nell’interpretazione e nell’applicazione delle nuove regole fiscali. In particolare, alle istituzioni si chiedono regole certe e tempi congrui per adeguarsi al meglio.

La fiscalità del Terzo settore non è solo una questione tecnica, ma è un altro pezzo di quel quadro di trasparenza, fiducia e sostenibilità che deve caratterizzare il Terzo settore.

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