Il volontariato e l’attivismo sociale si stanno trasformando in Italia: la partecipazione non cala, cambia forme, motivazioni e impatti. Emergono nuovi dati per comprendere questi fenomeni da una ricerca curata dall’Osservatorio Volontariato “Dono e Agire Gratuito” 2025 promosso da AICCON Research Center in collaborazione con il Forum Nazionale del Terzo Settore e CSVnet, con il sostegno di UniCredit e Fondazione di Modena e le rilevazioni curate da IPSOS Italia.
L’analisi è stata presentata sabato 11 ottobre alla XXV edizione delle Giornate di Bertinoro per l’Economia Civile. La ricerca non si concentra solo sulle forme organizzate, ma anche le motivazioni e le esperienze individuali di chi sceglie di impegnarsi. L’indagine – basata su un approccio misto quantitativo e qualitativo – mostra come l’impegno civico e il dono siano dimensioni sempre più centrali dell’economia sociale italiana.
Oggi solo 1 italiano su 10 è volontario attivo e il 22% lo è stato in passato; tra gli ex volontari, quasi la metà (46%) dichiara di voler tornare a impegnarsi nei prossimi sei mesi, e il 36% di chi non ha mai fatto volontariato vorrebbe provarci. In particolare, gli under 35 si confermano la fascia più propensa a un futuro coinvolgimento, segnale di una generazione che riscopre il valore della partecipazione e del dono.
“Ci sono alcune differenze interessanti nella spinta alla partecipazione alle associazioni di volontariato, per classe sociale e per livello di istruzione. In maggioranza fanno parte del ceto medio – ha spiegato Enzo Risso, direttore scientifico di Ipsos Italia –. Per quanto riguarda il livello di istruzione vediamo che chi ha laurea o titolo di studio più alto è più presente rispetto a quelle che hanno un più basso livello di istruzione”.
L’Osservatorio evidenzia una trasformazione culturale profonda: accanto al tradizionale “desiderio di aiutare gli altri” (46%), cresce il “sentirsi utili” (44%) come motivazione principale. Tra i volontari attivi, questa esigenza di utilità personale diventa dominante (47%), mentre tra gli ex volontari resta centrale la spinta altruistica (46%). Il volontariato si configura dunque come un’esperienza che unisce dono e autorealizzazione, rafforzando il legame tra individuo e comunità. Cresce anche la motivazione legata al miglioramento della propria comunità (37%) e alla coerenza con i propri valori (29%), segno di un impegno civico sempre più radicato nella sfera locale e identitaria.
Risso ha illustrato anche i dati relativi a chi non ha mai fatto volontariato e a perché non l’ha mai fatto. “Il quadro è molto variegato, il dato principale è che ci sono due grandi pilastri: il primo è quello di avere altre priorità nella vita come lo studio, il lavoro o la famiglia. Il secondo motivo principale è non averci mai pensato, di non avere interesse o motivazione”.
Tra le barriere più rilevanti emergono la mancanza di tempo (36%), priorità familiari (44%) e scarso accesso alle informazioni sulle opportunità di volontariato (35%). Per i più giovani, pesano anche l’impegno lavorativo o di studio e la percezione che l’impegno volontario abbia un impatto limitato: un segnale che invita le organizzazioni a comunicare meglio il valore e i risultati delle proprie azioni. “C’è un tema di azione – ha aggiunto Risso – che il volontariato e tutto il mondo ella cooperazione può fare per implementare una relazione con la società civile e l’opinione pubblica non solo per dare informazioni ma ricostruire appeal nei confronti delle associazioni. È uno dei temi su cui occorre lavorare nei prossimi anni”.
“Abbiamo un tema di fondo che in qualche modo si registra dai dati: l’identità nella contemporaneità è sempre più fluida e si riflette anche sul modo in cui viene vissuto il volontariato”. Così ha concluso Risso che ha sottolineato come ci sia “un passaggio negli ultimi anni da un aspetto non solo di desiderio di aiutare gli altri ad un più concreto senso di sentirsi utili”. “Oggi in qualche modo il volontariato è passato da una visione più idealizzata dell’altruismo ad una più pragmatica dell’impatto del ruolo che il volontariato e le persone possono fare concretamente per dare un piccolo contributo a cambiare la società e la sua direzione. L’altra cosa che emerge è una spinta in una società sempre più globale ad essere una forma di glocalizzazione della solidarietà: fare cose locali, più concrete e più precise per la propria comunità”.
“Il volontariato si sta confrontando in questo periodo con una serie di ricerche che stanno uscendo che ci fanno pensare con molta attenzione al momento storico in cui stiamo vivendo. Che è un momento – ha detto la presidente di CSVnet Chiara Tommasini nel corso della presentazione – di grande cambiamento per il mondo del volontariato, un sistema in cui dentro ci sta qualcuno che dona qualcosa, competenze o risorse”. “Siamo passati – ha aggiunto Tommasini – nell’arco di questi ultimi due anni da una serie di ricerche e stiamo vedendo un’articolazione per quattro fasce: la prima è che esiste un volontariato organizzato che non è più l’unico perché in mezzo a questo ce n’è uno non organizzato, quello che non ha una forma organizzata, ma nemmeno informale. In terzo luogo, c’è il volontariato che lavora per programmi e progetti, che è molto organizzato e spesso molto regolato da normativa, dal basso che non ha leadership formale, uno sforzo più o meno coordinato magari di un gruppo di persone, legato ad un luogo o ad un progetto che magari nel corso del tempo si trasforma in qualcosa di più organizzato. Ci ritroviamo a dover gestire una complessità molto sfidante e molto arricchente dal punto di vista di chi, come i Csv, si trovano a dover fare accompagnamento e sostengo e dover pensare oggi a come impostare l’attività per il futuro”.
Ricaviamo l’immagine di un impegno civico che è un fenomeno multidimensionale che intreccia moltissima la dimensione individuale con quella social, l’azione locale ocn una consapevolezza globale. Ci troviamo di fronte ad un volontariato che risponde alle sfide di una modernità liquida. Tommasini ha ricordato come l’osservatorio dei Csv abbia identificato, insieme a molte associazioni e attivisti, 4 parole chiave su cui costruire la vision del sistema dei Centri di servizio per il volontariato: reciprocità, sogno, coraggio e creatività. Ne è uscita una visione che orienta il futuro dell’azione contenuta nella “vision” dei Csv e le quattro direttrici che orientano le strategie. “Il volontariato non si legge solo attraverso i dati, ma non solo: va visto nella sua complessità centrandolo nella realtà in cui vive”.
Il volontariato emerge così come una pratica di cittadinanza attiva, un gesto che costruisce legami e genera capitale sociale. “È necessario alimentare processi d’innovazione sociale per trasformare il potenziale in dono – evidenzia Paolo Venturi, Direttore AICCON Research Center –. Modelli organizzativi, autonomia ed una maggior inclusione anche in termini di protagonismo son alla base delle aspettative dei nuovi volontari. È chiaro che “diverse motivazioni” genereranno azioni diverse. Il dono inteso come “relazione e agire gratuito” si sta trasformando, senza perdere la sua radice più autentica”.





