Riccardo Guidi è docente di Sociologia all’università di Firenze. Fra i suoi campi di studio c’è anche il volontariato, ha fatto parte del team di ricerca che ha accompagnato la sperimentazione in Italia degli standard internazionali raccomandati dal “Manuale dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro” (OIL) per la valorizzazione economica e sociale del lavoro volontario.
Riccardo Guidi, quali tendenze emergono in modo rilevante da questa nuova ricerca?
La statistica report è molto ricca e come sempre necessita ancora di essere approfondita, di scavare dentro i dati per capire meglio alcune cose. Ci sono alcuni elementi che parlano di stabilità del volontariato: è chiaro che alcuni aspetti sono strutturali e non cambiano. Ma ce ne sono altri che segnano delle tendenze di cambiamento piuttosto evidenti, seppur non sorprendenti.
Quali trasformazioni sono fotografate?
Il primo elemento chiaro è un cambiamento in certa misura atteso: diminuiscono le persone che prestano attività di volontariato, sia coloro che lo hanno svolto in forma organizzata sia quelle che lo hanno svolto in forma diretta, cioè senza organizzazioni. La flessione del volontariato organizzato negli ultimi anni era già nota da altre indagini Istat, mentre il calo del volontariato diretto non era finora stato registrato. Nel contesto di questo calo, ci sono tre elementi di rilievo da segnalare. In primo luogo, la crescente continuità del volontariato diretto: oggi il 30% di chi fa volontariato senza organizzazioni lo fa da oltre dieci anni. In secondo luogo, tra i volontari senza organizzazione aumenta in modo notevole – raddoppia – la quota di coloro che si dedicano alla collettività, all’ambiente e al territorio anziché a specifici destinatari. Viene da pensare che ci sia un certo movimento verso un volontariato “dei beni comuni” che presta la sua attività fuori da logiche organizzate. In terzo luogo, rispetto al 2013, cresce molto in proporzione l’area del “doppio impegno”, ovvero il numero delle persone che fanno sia volontariato organizzato che diretto.
Una buona notizia?
Mi pare uno degli aspetti più interessanti dell’indagine Istat, ma abbiamo bisogno dei microdati dell’indagine per sviluppare ulteriori analisi e fornire interpretazioni più sofisticate. Forse volontariato organizzato e volontariato diretto hanno oggi confini più labili del passato. Un’ipotesi potrebbe essere che negli ultimi anni le organizzazioni si siano dimostrate più capaci di “intercettare” le persone che avevano una sensibilità e già facevano volontariato diretto. Tuttavia, potrebbe anche essere verosimile l’opposto, dato che il tasso di volontariato organizzato è calato di più di quello del volontariato diretto. In ogni caso, dovremo studiare bene questa area del “doppio impegno”.
Il volontariato regge, ma dai dati emerge una minore intensità temporale dell’impegno…
Il numero delle ore di volontariato è un ulteriore elemento d’interesse dell’indagine: il questionario chiede non solo se hai fatto volontariato ma anche per quali attività e per quante ore e possiamo così capire quante ore sono state erogate nel mese precedente alla risposta alle domande del questionario. A questo proposito il dato è chiaro: nel 2013 erano state prestate circa 126 milioni di ore di volontariato, nel 2023 siamo a circa 84 milioni di ore, un calo significativo e non scontato perché in altri paesi si osserva la tendenza al restringimento del numero delle persone impegnate e contemporaneamente all’aumento del loro impegno orario.
Il calo del numero dei volontari è generalizzato, ma non totale. L’età media in Italia aumenta, come aumentano i volontari in età avanzata…
A livello di profili calano sostanzialmente tutti: i volontari più giovani, soprattutto studenti, gli adulti, ma in controtendenza c’è il volontariato delle persone anziane: il tasso di volontariato delle persone di 65 anni e più tiene, anzi sperimenta un piccolo incremento rispetto al 2013. In un’Italia sempre più anziana, l’invecchiamento attivo è una risorsa-chiave per l’impegno civico. Ma il fatto che il futuro del volontariato possa essere soprattutto degli anziani dovrebbe interrogarci profondamente.
Che conferme arrivano dalla statistica?
Ci sono tanti altri elementi di continuità: il nordest con i tassi di volontariato più alti, il centro-nord che performa meglio del sud, impegno crescente al crescere del titolo di studio, tassi di volontariato maggiori nelle fasce di età di mezzo sono sempre maggioritarie. Sono confermate anche le motivazioni al volontariato, principalmente civiche, a conferma che ci sono aspetti strutturali che non cambiano.
Quindi dobbiamo essere soddisfatti o meno di questi dati?
Indagini come queste sono miniere informative da cui è possibile derivare considerazioni molteplici. Per il momento, mi pare importante considerare questi dati nel contesto degli ultimi dieci anni vissuti dal nostro paese. Dal 2013, l’Italia ha attraversato situazioni di crisi molteplici che hanno segnato significativamente aspetti diversi della vita – salute, redditi e diseguaglianze, senso di insicurezza, risentimento. In questo contesto, avere ancora uno zoccolo duro di persone che si aiutano e regalano il loro tempo a beneficio di cause collettive è un’ottima notizia. Mi pare anche importante sottolineare che – come evidenziato da molte analisi – oggi il volontariato è una risorsa rinnovabile solo a determinate condizioni. Una condizione fondamentale è culturale: il volontariato è connesso alla cultura. Investire nell’accesso a titoli di studio elevati e nell’estensione delle opportunità culturali a beneficio di fette più ampie della popolazione è fondamentale per l’aumento dei tassi di volontariato. La chiusura culturale è invece deteriore. Se ha a cuore il volontariato, un Paese investe sulla cultura.
di Giulio Sensi – 31 luglio 2025
Le buone notizie che escono dalla ricerca
“Se ha a cuore il volontariato l’Italia deve investire sulla cultura”. Il commento ai nuovi dati del sociologo Riccardo Guidi.

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